30 ottobre 2007

Sergio Luzzatto difende il "suo" Padre Pio e ne approfitta per qualche frecciata a Chiesa e Cattolici


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R.

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Sergio Luzzatto

«Voi Ebrei fate tutto per farvi odiare. A che pro infangare il Nome di Padre Pio, segno di devozione di milioni di cattolici, che Le ha fatto Padre Pio? per infangarlo, per farvi odiare di nuovo e disprezzare, non aveva Lei altri argomenti di cui scrivere? Non c'è verso che impariate la lezione: distruzione di Gerusalemme e del Tempio, diaspora, shoah, persecuzioni ecc. (e me ne dispiace) niente da fare siete Gente di dura cervice come vi chiama Gesù, cattivi dentro e brutti fuori come i rossi, di cui siete emuli, stessa pasta. Brutta gente, e peraltro un libro pieno di fesserie e falsità».
Questo — debitamente firmato — è soltanto uno dei molti messaggi che ho ricevuto nei giorni scorsi, a seguito delle anticipazioni di stampa relative al mio libro su Padre Pio. Volume disponibile in libreria da stamattina, ma di cui tanti sembrano essersi già fatti una (pessima) idea.
Come il signore che mi ha suggerito di versare sulle mani mie e sui piedi miei l'acido fenico forse impiegato da Padre Pio: «Prova quello che dici, se anche a te vengono e perdurano le stigmate», altrimenti «dovresti gettare i tuoi trenta denari raggranellati, prendere una fune e seguire l'esempio del tuo illustre, ma infausto predecessore, Giuda, l'Iscariota».
O come il responsabile di una sedicente Lega cattolica anti-diffamazione, che senza nulla conoscere del volume lo ha pubblicamente definito «un libello anticattolico», invitando «il prof. Luzzatto a dedicare le proprie energie allo studio della propria religione». Per fortuna, i messaggi che ho ricevuto non sono tutti come questi. Non riflettono soltanto l'inconsistenza culturale di chi si esprime sul merito di un libro senza neppure averlo avuto in mano. Né parlano soltanto il gergo dell'intolleranza, un livore antisemita tanto usualmente volgare quanto singolarmente déplacé, dal momento che quella ebraica non è la mia religione.

Altri messaggi parlano una lingua diversa. Più amichevole, e magari più commovente. Come la lingua — incerta nell'ortografia — del signor Giuseppe, che mi ha scritto dall'Olanda per raccontare («mi piacerebbe sapere il suo parere ») un miracolo recente del frate con le stigmate. «Io mi sono recato da padre pio a san giovanni rotondo ed o fatto delle foto con il mio cellulare nella cella del santo padre. quando sono tornato in olanda mi sono accorto che nella cella ce il santo padre che siede difronte alla finestra. io o pensato che poteva essere un riflesso di un quadro fuori dalla cella, percio mi sono recato di nuovo a san giovanni rotondo per verificare ma non ce nessun quadro che poteva riflettere. io o scaricato la foto sul computer».

Dedicarmi allo studio della figura di Padre Pio mi sarà servito, se non ad altro, a entrare in contatto con i signori Giuseppe. Non con i vip, ma con i fedeli qualunque del cappuccino con le stigmate, con il gigantesco sommerso di una devozione popolare. Mondo più genuino, più dialogante, migliore di quello che accede direttamente alla grancassa mediatica, e che brandisce lo sfollagente più diffuso nell'Italia di oggi — la logica dell'appartenenza, o l'ossessione dell'identità — per denunciare un libro di storia come l'arma di un bieco «attacco a Padre Pio». Inoltre, studiare la vicenda del frate sanguinante mi sarà servito ad apprezzare tanto più la correttezza di certi padri cappuccini della provincia di Foggia, che hanno atteso di leggere il libro (sulle bozze) prima di giudicarlo, e hanno poi raccolto l'occasione di uno Speciale Tg1 per riconoscere nel mio Padre Pio «un lavoro serio e rigoroso ». Mettiamo le cose in chiaro. Il libro non aspira a stabilire una volta per tutte se quelle di Padre Pio siano state vere stigmate, o se Padre Pio abbia compiuto veri miracoli. Perché non è questo il terreno sul quale deve misurarsi uno studioso di storia.

Certo, il lavoro di ricerca negli archivi può consentirgli — com'è stato nel mio caso — di scoprire documenti inediti che attestano realtà meno incantate di quelle agiografiche.
Richieste sotto banco dell'uno o dell'altro prodotto farmaceutico. Bassa cucina del prodigioso, tra conversioni e ritorsioni, pellegrinaggi e sciacallaggi, congiure ed abiure.
Ma non compete allo storico del Novecento italiano decidere se Padre Pio sia stato davvero un «altro Cristo», esattamente come non compete a uno storico della Grecia classica decidere se Giove abitasse davvero sull'Olimpo. In sede storica, quello che importa è ricostruire le circostanze attraverso le quali uno dei numerosi taumaturghi che il Mezzogiorno d'Italia ha prodotto nei secoli, un frate insieme rude e buontempone, diretto e levantino, ordinario e carismatico, è potuto diventare Padre Pio. Cioè un fenomeno di immensa portata spirituale e temporale. L'oggetto di una devozione ormai senza eguali nella pratica della fede cattolica, e il soggetto di un business economico senza più limiti né frontiere.

Importa capire che cosa abbia reso possibile tutto questo, da un'epoca all'altra della nostra storia novecentesca: dal trauma collettivo della Grande guerra all'abbraccio clerico-fascista tra Chiesa e regime, dall'andata al popolo della Democrazia cristiana fino all'odierno new age del miracolismo. Importa scomporre la miscela di vecchio e nuovo, premoderno e postmoderno, istituzionale e irregolare, ragionevole e improbabile, sacro e profano, che ha fatto di Padre Pio ( dixit Giulio Andreotti) un personaggio decisivo per l'Italia del XX secolo, «l'evento più importante dal 1900 a oggi». Per svolgere un lavoro del genere a poco servono le carte d'identità spirituale, ancora meno gli autocertificati di garanzia confessionale, meno che mai le attestazioni di appartenenza politica. Poco conta che il ricercatore si senta credente oppure agnostico, partecipi di una tradizione cattolica o ebraica o musulmana, si dica di centro, di destra o di sinistra. Perciò, fanno sorridere i commenti di alcune testate nazionali, che a proposito del mio libro hanno titolato strepitando «Padre Pio, il santo che non piace ai progressisti». Se fatta bene, la storia non è progressista né reazionaria, è semplicemente buona storia. Insigne studioso dell'Illuminismo, Franco Venturi amava ripetere — gustando il sapore del paradosso — che «fare lo storico è semplice: basta leggere tutto, e controllare le citazioni ».

Personalmente, non pretendo di avere letto tutto su Padre Pio da Pietrelcina, benché confidi di avere controllato con scrupolo le citazioni. Ma è pur vero che per scrivere il libro ho lungamente scavato negli archivi. Sono stato il primo storico che il Vaticano abbia autorizzato a consultare il fascicolo inquisitoriale su Padre Pio, nel quale si trova l'evidenza documentaria dei sospetti che il Sant'Uffizio coltivò per decenni sul conto del frate stigmatizzato. Ho scoperto nell'Archivio centrale dello Stato di Roma le tracce della collaborazione fornita all'Ovra dal principale promotore della devozione garganica, Emanuele Brunatto. Ho ritrovato in un paesino della Francia centrale, negli archivi della Justice Militaire, le prove che la Casa sollievo della sofferenza (l'ospedale di Padre Pio) nacque grazie ai soldi guadagnati da Brunatto come collaborazionista, un principe del mercato nero nella Parigi dell'occupazione tedesca. Ho sbrogliato da New York, negli archivi delle Nazioni Unite, i fili della connection che permise alla Casa sollievo di prosperare, attraverso un accordo fin troppo riservato fra la Dc di Alcide De Gasperi e la segreteria di Stato vaticana di Giovan Battista Montini. Nulla di tutto questo era mai stato raccontato — e forse neppure sospettato — da centinaia di zelanti pseudo-biografi di Padre Pio. Il che non significa che io abbia ragione e loro abbiano torto. Significa solo che svolgiamo mestieri diversi. Io faccio lo storico, loro fanno gli agiografi.

© Copyright Corriere della sera, 30 ottobre 2007


Ah, Luzzatto! Complimenti! Attaccare gli altri per difendersi è una buona mossa. Comunque Tornielli non si riferiva a Lei, nell'articolo citato, ma a Melloni che, ovviamente, ancora tace e non risponde.
Le faccio i complimenti per l'eco che il Suo libro suscita: articoli ed articoli sui giornali (soprattutto sul Corriere). Leggo anche di uno speciale del TG1.
Pensi che il libro di Papa Benedetto XVI, "Gesu' di Nazaret" non ha mai goduto di
certi onori ma, alla faccia di tutti, ha venduto milioni di copie.
Raffaella

5 commenti:

Luisa ha detto...

Mi piace molto il confronto fra Padre Pio e Giove !

Ho dovuto rileggere per essere sicura di quello che avevo letto....

"Ma non compete allo storico del Novecento italiano decidere se Padre Pio sia stato davvero un «altro Cristo», esattamente come non compete a uno storico della Grecia classica decidere se Giove abitasse davvero sull'Olimpo."

E Luzzato dovrebbe sapere che i sacerdoti sono tutti degli "alter Christus" ...ma forse potrebbe fare un`inchiesta sulla questione....verificarne la storicità...la verità!

Sappiamo tutti che c`è la Storia, e ci sono gli storici che l`interpretano almeno con altrettanta parzialità, passione, con le quali gli agiografi studiano le vite de Santi.
Essere storico non significa essere depositario della verità.....pensiamo a certi storici del CVII e cosa è diventato il Concilio una volta passato attraverso le loro ricostruzioni.

Allora Luzzato un pò di modestia!

Anonimo ha detto...

Tutta questa discussione mi fa solo sorridere. Il Corriere cerca solamente di creare un caso ad arte per vendere copie. Non s'è mai visto che un giornale così autorevole (lo è ancora?) pompi a dismisura un libro scritto dal responsabile culturale di quelle pagine. Io voglio fare l'avvocato del diavolo: il libro che ho tra le mani vuole colmare il buco storiografico su padre Pio - è tutta agiografia - dice l'autore - io faccio il mestiere di storico. A prima vista noto però che Luzzatto non ha tra le fonti storiche gli Atti della Postulazione della Causa mentre ha solo, cosa del resto molto importante, visionato l'Archivio della Congregazione della Fede. Negli Atti della Postulazione infatti molte di queste questioni sono ampiamente trattate come ha scritto Tornielli. Poi uno storico dovrebbe stare attento a certe cose...ad esempio a morire di febbre spagnola è una sorella di padre pio e non un fratello, l'unico infatti morirà solo in età avanzata assistito dallo stesso padre pio. Poi la questione di Giovanni XXIII che Melloni vuole fare risalire solamente a due cattolicesimi diversi è ben più complessa come scritto da Tornielli, da Campanella sul sito di Teleradiopadrepio, e da altri e mi pare che Luzzatto non metta ben in evidenza la vera motivazione di quella "inquisizione", le vagonate di denaro da stornare dall'ospedale verso i debiti che l'ordine aveva contratto con il bancarottista Giuffrè. Anche i soldi che l'ospedale riceve dal piano marshall dopo la guerra non è ben esposta. Occorre mettere in evidenza il ruolo di Barbara Ward che arriva a San Giovanni accompagnata dal marchese Sacchetti che ha allacci con la Segreteria di Stato e con padre Pio...
Insomma se il tentativo di Luzzatto è farne un testo storico...tutto ciò è apprezzabile e credo all'autore quando dice che non vuole essere onnicomprensivo...credo meno a Melloni e al suo essere incendiario a tutti i costi...
In conclusione vorrei segnalare la cosa più importante.
La Grande Storia ha realizzato un documentario su Padre Pio che è andato in onda questa estate che ha trattato, certamente non in forma saggistica, non è un libro, questi argomenti. é stato molto apprezzato, lo stesso Aldo Grasso sul Corriere (!) ha scritto una recensione elogiativa del lavoro dal titolo "padre pio. la storia si fa con la tv" e indovinate chi era il consulente...Alberto Melloni. Probabilmente avrà dimenticato di vedersi la puntata.
Il mio giudizio? che quel documentario, che lo speciale tg1 ha ripreso abbondantemente, abbia "bruciato" ben tre-quattro mesi fa il libro. Di qui tutta la provinciale auto-polemica del Corriere.

Anonimo ha detto...

Nel mio libro (che non ha certamente avuto il successo di quello di Luzzatto, forse perché diceva già una decina di anni fa la verità) “Padre Pio e i Suoi Papi” Ed.Aisthesis, pubblicato in occasione della santificazione di Padre Pio, a proposito delle dicerie che già allora giravano (e Luzzatto non ha detto nulla di nuovo) sulla contrarietà di Papa Giovanni XXIII all’opera di Padre Pio, si ritiene giusto considerare la regola francescana, come vera chiave di lettura della vicenda, per superare barriere, rancori e dicerie mantenendo Padre Pio nella giusta dimensione senza coinvolgerlo in esasperazioni, fanatismi che certamente rischiano di adombrare ed offendere la Sua persona che non può essere paragonata a Vanna Marchi come ha fatto qualcuno recentemente a Porta a Porta. A sostegno di questa tesi il libro propone un’intervista a Mons. Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni XXIII che smentisce in maniera categorica l’ipotizzata persecuzione del Pontefice nei confronti del Santo nonostante la recente pubblicazione da parte del Sig.SergioLuzzatto dei quattro appunti scritti dal Papa: si tratta indubbiamente di parole durissime che però non si riferiscono alla complessa questione delle stigmate.
Nel libro sono citati alcuni scritti tratti dal volume “Giovanni XXIII, nel ricordo del segretario L.Capovilla, ed. San Paolo che vi propongo col consenso dell’autore:
Intervista: D: Durante il pontificato giovanneo c’è anche “il caso Padre Pio”. Quale fu la posizione di Roncalli nei suoi confronti?
R:Non se ne occupò direttamente durante tutta la sua vita. Non era compito suo. Da Parigi, dove operava un comitato d’appoggio alle iniziative assistenziali di San Giovanni Rotondo, il 6 febbraio 1947 scrisse a monsignor Andrea Cesarano arcivescovo di Manfredonia per averne lumi; e un mese dopo ricevette la risposta (due lettere). Questi due documenti fanno onore sia agli interlocutori sia al personaggio in oggetto e testimoniano l’interessamento prudente di Roncalli.
D: Quale fu il ruolo di Giovanni XXIII nella visita di Maccari?
R:Quella visita apostolica venne proosta al papa dalla Congregazione del Sant’Uffizio; la nomina del visitatore pure. Il Papa diede l’assenso e in quell’occasione si dimostrò sereno e obiettivo più di altri suoi collaboratori. Le visite apostoliche non sono intrusioni indebite e men che meno atti persecutori. A San Giovanni Rotondo ce n’erano state altre. E il Sant’Uffizio aveva iscritto nell’indice dei libri proibiti più d’una biografia del cappuccino. Durante il pontificato giovanneo nessuno di questi atti fu compiuto. Su questo tema, come su altri, non ebbi confidenze direte dal Papa.Tante cose le ho sapute di riflesso, nel corso degli anni, leggendo ricostruzioni più o meno documentate, chiarendo talora presso la Postulazione giudizi infondati e illazioni fantasiose. I competenti dicasteri hanno avuto il tempo per vagliare e giudicare. Adesso non si tratta dell’opinione dell’uno o dell’altro, bensì di verità oggettiva da esporre e del finale giudizio dell’Autorità Suprema.
D:Lei è stato interrogato dal Tribunale ecclesiastico di Manfredonia…
R:Non venni convocato ed interrogato. Posso immaginare che il tribunale abbia ritenuto esaustivi il colloquio che ebbi con Monsignor V.Vailati il 16 ottobre 1984 e la mia corrispondenza con la Postulazione della causa.
Scrisse Papa Giovanni all’Arcivescovo:
…Sarei ben riconoscente a Lei, cara Eccellenza, se volesse a suo tempo e con sua comodità, scrivermi qualcosa circa padre Pio, suo diocesano,….: Qui c’è gente che lo ha in istima e venerazione. Io non ho preconcetti a suo riguardo, ma mi fa piacere sentire cosa ne pensi il suo Vescovo.
Rispose l’Arcivescovo:…Conosco benissimo Padre Pio, cappuccino, residente nel convento di San Giovanni Rotondo, di quest’Arcidiocesi. Prima che io venissi a Manfredonia, il fanatismo popolare s’era talmente esaltato da provocare severe misure da parte del S.Uffizio. Era necessario. Lo vidi per la prima volta nel 1933 e viveva nel suo convento da vero recluso. Gli era stato proibito ogni contatto, anche epistolare, con l’esterno. La mia impressione fu ottima: lo trovai calmo, sereno, giocondo, pienamente sottomesso agli ordini ricevuti; gli era stato proibito perfino di celebrare in chiesa, ma nel solo oratorio privato del convento. Dicono che abbia le stimmate, e difatti porta sempre i guanti. Non è a me giudicare sulla sua santità, miracoli, profezie, ecc.; però non si può escludere che è un uomo di preghiera, di profonda pietà e di sode virtù. Richiesto più volte nelle mie udienze dal Santo Padre Pio XI e da sua eminenza il card. Bisleri, allora segretario del S.Uffizio, sottomisi la mia convinzione, che dopo tanti anni in coscienza non ho che a riconfermare, come già ho avuto occasione di fare con Sua Santità Pio XII. Fin dalla mia prima relazione nel 1933, Padre Pio fu nuovamente autorizzato a confessare, prima gli uomini, poi, al solo mattino, anche le donne, e di celebrare in chiesa. Certo, anche ora, da tutti è ritenuto come un santo, ed il bene spirituale che se ne ricava è immenso. Ostinati peccatori si convertono, alti personaggi se ne ritornano edificati e commossi, tutti partono da lui confortati e riconciliati col Signore. Di ciò sono testimone oculare e per i continui contatti in quel convento posso attestare, mettendo da parte ogni virtù, e che il suo nascosto apostolato è una vera sorgente di feconda vita spirituale per le anime. Quello poi che più importa è che tutto, ora, colà proceda con ordine, regolarità ed edificazione di moltissimi fedeli senza fanatismo e senza esagerazioni.

P.s.: per ulteriori approfondimenti relativi alla questione delle stigmate si rimanda al sito dell’autore dove vengono trattati questi temi con ipotesi e soluzioni in spazi e ambiti diversi http://www.museosolari.com/
agenda news omaggio a Padre Pio (in formato pdf)

Anonimo ha detto...

Datevi una calmata! Leggetevi per intero il libro. E non state sempre sulla difensiva, che nessuno vi vuole dare in pasto alle fiere, indigesti e acidi come siete.

Ciao ciao.

Anonimo ha detto...

La battuta sulle fiere? Che delicatezza...una vera spiritosaggine!