27 ottobre 2007

I testi ufficiali degli editoriali di Vian e Di Cicco per l'Osservatore ed il commento di Angela Ambrogetti


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L'editoriale del direttore

Tradizione e futuro

Un giornale difficile, anzi difficilissimo, ma soprattutto un “grande giornale”. A definire così “L’Osservatore Romano” era nel 1961 il cardinale Giovanni Battista Montini.
Quasi mezzo secolo più tardi, quanto scriveva il futuro Paolo VI, nel numero per il centenario del quotidiano vaticano, è ancora attuale.
Così come le potenzialità del giornale – descritte nel celebre articolo e tanto grandi quanto importanti sono la sua storia e la sua tradizione – meritano un nuovo sviluppo. Guardando con fiducia al futuro, perché questa apertura è il senso più profondo della tradizione, che significa appunto trasmissione in una continuità vitale.

Perché è difficilissimo “L’Osservatore Romano”? L’allora arcivescovo di Milano – che in Segreteria di Stato per oltre un quindicennio, come è stato rilevato, aveva anche esercitato “l’alta direzione sul giornale” – rispondeva additando “la sproporzione fra il vastissimo campo, di cui il giornale avrebbe dovuto essere specchio, il campo cattolico, e la relativa esiguità delle sue notizie, anzi, per vero dire, della stessa capacità a darvi voce e risalto”, senza trascurare il punto dolente della sua ristretta diffusione. Montini enumerava poi, con lieve ironia, difficoltà minori legate alla natura speciale del quotidiano: “Giornale serio, giornale grave, chi mai lo leggerebbe sul tram o al bar; chi mai vi farebbe crocchio d’intorno?”; mentre la sua cronaca vaticana “ci procura, sì, il piacere d’uno spettacolo aulico incomparabile, ma non senza qualche dubbio d’averlo già provato eguale tant’altre volte”.

Come rendere allora “L’Osservatore Romano” un grande giornale? Questo si chiedeva il futuro papa, che non dimenticò mai il padre, direttore del piccolo ma battagliero quotidiano “Il Cittadino di Brescia”. E dava una risposta chiara: sviluppando la sua natura di “giornale di idee”. Sì, perché il foglio vaticano – scriveva – “non è, come moltissimi altri, un semplice organo d’informazione; vuol essere e credo principalmente di formazione. Non vuole soltanto dare notizie; vuole creare pensieri. Non gli basta riferire i fatti come avvengono: vuole commentarli per indicare come avrebbero dovuto avvenire, o non avvenire. Non tiene soltanto colloquio con i suoi lettori; lo tiene col mondo: commenta, discute, polemizza”. Con una vocazione dunque universale, analoga a quella della sede romana che il giornale intende servire. In questo impegno quotidiano “il giornalista è interprete, è maestro, è guida, è talvolta poeta e profeta”. Un’arte difficile – chiosava Montini – e nel foglio vaticano “quanto mai delicata ed esigente”. Per la necessità di una “continua testimonianza al panorama di verità morale e religiosa, nel quale ogni cosa dev’essere inquadrata”, e per la natura insieme ufficiale e ufficiosa del quotidiano della Santa Sede: giornale “di idee”, ma anche “d’ambiente”, non facile ma dal quale esso trae autorità e forza. Così fu durante la seconda guerra mondiale, e allora “avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro”. Con un’immagine di orgoglio mite e sicuro che richiama quella evangelica del candelabro che arde e illumina.

L’esperienza della guerra lasciò così un legato al giornale, perché “la sua sede, la sua funzione, la sua rete d’informatori e di collaboratori, la sua autorità e la sua libertà, la stessa anzianità ed esperienza possono farne un organo di stampa di primissimo ordine”; e persino le difficoltà possono essere considerate – concludeva il futuro Paolo VI – “peculiarità, e come tali costituire un’interessantissima originalità del giornale. Nessun altro può avere orizzonte più ampio di osservazione; nessun altro può avere più ricche sorgenti d’informazione; nessun altro più importanti e più vari argomenti di trattazione; come nessun altro più autorevole giudizio di orientazione e più benefica funzione di educazione alla verità e alla carità”.

La permanente attualità delle notazioni di Montini giustifica la loro riproposizione oggi, in un panorama mondiale e informativo profondamente mutato. La realtà globale rende infatti ancora più necessario e largo quel respiro internazionale caratteristico del foglio vaticano, e questa stessa realtà mondiale oggi richiede una sua presenza in rete reale ed efficace, la cui urgenza è stata annunciata di recente dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che più volte ha espresso attenzione e stima per il giornale della Santa Sede, dove ha voluto recarsi di persona.

“L’Osservatore Romano” – cioè il quotidiano e le sue diverse edizioni periodiche – è prima di tutto il “giornale del papa”, e diffonderà in due modi l’insegnamento e la predicazione del vescovo di Roma: conservando cioè la sua peculiare natura documentaria, e sviluppando quella dell’informazione giornalistica. Ma anche facendosi maggiormente espressione degli organismi e delle rappresentanze della Santa Sede, a Roma e nel mondo.

Al servizio di Benedetto XVI, pontefice teologo e pastore, il “servo dei servi di Dio” che senza stancarsi, con mitezza fiduciosa e ferma, alle donne e agli uomini del nostro tempo testimonia e ripete con l’apostolo Giovanni che “Dio è amore” e che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona”, come ha sottolineato all’inizio della sua prima enciclica.

Da Roma il foglio vaticano continuerà a osservare con sguardo attento e amico la realtà internazionale, mantenendo in quest’ottica l’attenzione per quell’Italia di cui il papa è primate e per la sua diocesi, dove tanti vescovi e sacerdoti di ogni continente hanno studiato e con la quale mantengono legami fecondi.

E respiro internazionale avrà l’attenzione per i fenomeni culturali, riservando spazio al confronto delle idee, con un’apertura cordiale nei confronti della ragione, alla quale Benedetto XVI si richiama per favorire il colloquio e il dibattito, com’è avvenuto con la lezione di Ratisbona, i cui frutti cominciano a maturare.

E al mondo guarderà il giornale del papa informando sulla comunione cattolica nei diversi continenti, su Chiese e confessioni cristiane, ebraismo, islam e altre religioni, nell’attuazione del concilio Vaticano II interpretato alla luce dello storico discorso che il romano pontefice ha tenuto per il quarantennale della sua conclusione.

Seguendo l’esempio di Benedetto XVI e diffondendone gli insegnamenti, il suo giornale vuole rivolgersi con amicizia a tutti, credenti e non credenti, e con tutti confrontarsi con rispetto e chiarezza su temi come la dignità dell’essere umano e la promozione della giustizia. Per rendere sempre più evidente la testimonianza e la verità di Cristo nel mondo moderno. Nella vitalità di una tradizione per sua natura aperta al futuro, e nella certezza che la parola dell’unico Signore, Gesù, seminata nell’intimo delle anime, prevarrà sulle forze del male e resterà per sempre.

g.m.v.


La riflessionde del vicedirettore

L’andare in profondità di Benedetto XVI

L’uomo a una dimensione, senza almeno una finestra aperta alla trascendenza, non convince Benedetto XVI. Per natura sua l’uomo ha una capacità di dialogare con Dio e con un riferimento a Dio, pur nel rispetto della società pluralista, le cose potrebbero andare meglio. E questa convinzione il papa va proponendo alla riflessione comune. Dio costituisce il centro della azione pastorale e culturale di Benedetto XVI.
Egli intende parlare anzitutto e soprattutto di Dio come una possibile chiave di lettura del reale.

Il dialogo di fede e ragione si muove nel rispetto di due grandi interlocutori che ne sono attori: Dio stesso e l’uomo, prima ancora che laici e credenti.

L’umanesimo di Benedetto XVI è pari alla sua passione per Dio. Il Dio biblico, entrato nella storia con Gesù di Nazaret, è un Dio che salva e un Dio che dialoga. Se la ragione è chiamata a misurarsi con questo annuncio, la fede è chiamata a conformarsi con esso, conformarsi all’amore. Perciò il binomio di fede e ragione tanto caro al teologo Ratzinger, quando è rivolto ai fedeli si allarga a un terzo elemento: la preghiera. Il nome di Benedetto è stato scelto dal papa per richiamare sul piano storico gli uomini al primato della pace e sul piano della fede a ridare a Dio il primato sull’azione: ora et labora.

Anadare in profondità, diventare discepoli del vangelo per imparare a pregare, è il primo comandamento del pontificato. Il fine teologo che attualizza la riflessione razionale sulla fede, esprime netta la sua convinzione: i nodi storici che rendono difficile il dialogo tra credenti e non credenti, le angustie che sembrano inaridire in occidente credibilità e dinamismo delle Chiese e confessioni cristiane, si scioglieranno non tanto trasformando i cristiani in attivisti, quanto in discepoli della preghiera. Impegno politico, competenze professionali, capacità progettuale per liberare solidarietà e libertà, diritti e giustizia non vengono accantonate, ma si richiedono ai cristiani come a ogni altro abitante nella città dell’uomo. Di loro specifico i cristiani mettono la preghiera al Dio vivente, al Dio di Gesù Cristo. E questo specialmente devono praticare.

Pregare, secondo papa Ratzinger, non vuol dire, tuttavia, ripetere formule a un Dio tappabuchi. È invece un’esperienza di vita che trasforma, migliora la capacità di amare, lascia intravvedere il cammino verso la felicità interiore. È un principio attivo per uomini nuovi.

Benedetto XVI lo ha detto in circostanze importanti, come il discorso ai cattolici italiani nel convegno di Verona, lo ha ripetuto parlando di recente di emergenze ambientali, economiche, politiche e sociali.
Accanto a sviluppo sostenibile, a economia sociale che modera il profitto e riscatta il lavoro, lotta alla camorra, resistenza alla violenza con l’impegno civile e l’azione non violenta, Benedetto XVI colloca immancabilmente la preghiera.
Non come aggiunta che ci si aspetta da un prete e tanto più da un papa. La consegna, prima tra tutte le consegne ai cattolici italiani e non solo, non è stata alcuna agitazione attivistica, ma la preghiera. “Prima di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l’adorazione, che ci rende davvero liberi e dà i criteri del nostro agire”, ha affermato a Verona.

“La forza che in silenzio e senza clamori cambia il mondo e lo trasforma nel Regno di Dio – ha detto alla città di Napoli – è la fede, ed espressione della fede è la preghiera. Quando la fede si colma d’amore per Dio riconosciuto come padre buono e giusto, la preghiera si fa perseverante, insistente, diventa un gemito dello spirito, un grido dell’anima che penetra il cuore di Dio. In tal modo la preghiera diviene la più grande forza di trasformazione del mondo. Di fronte a realtà sociali e difficili complesse, come sicuramente è anche la vostra, occorre rafforzare la speranza, che si fonda sulla fede e si esprime in una preghiera instancabile”. La preghiera ci riconsegna alla vita quotidiana come uomini e donne convertiti, liberi da interessi, pronti a operare per il bene dei deboli e dei più poveri.

Raccontare Benedetto XVI uscendo dalla leggenda, è raccontare un percorso culturale che punta all’essenziale. Ci si imbatte così nella preghiera che richiede di cominciare a esaminare se stessi anziché puntare il dito sulla pagliuzza nell’occhio del prossimo.

È un modo per vedere ogni grande questione del vivere e del morire anziché quale occasione di contesa, come momento per ritrovarsi tra diversi per l’affermazione del bene comune. Che significa per ciascuno lasciare fuori della porta i rispettivi ritardi e pregiudizi. Il Dio che Benedetto XVI invita a pregare è un Dio liberatore, che non è presente a sprazzi, ma si è inserito nella nostra esistenza, garantendoci un “risveglio alla vita” al di là della morte. Questa infatti, non riesce a spezzare il dialogo tra Dio e l’uomo che, una volta iniziato, ci libera dall’angustia del limite mortale.

Il papa non è preoccupato di una fantomatica egemonia, quanto piuttosto della testimonianza cristiana che ora fatica a essere percepita. Non si testimonia niente di Dio se prima non si è vissuto almeno qualche tempo con lui. Pregare è fare esperienza di Dio. È l’esperienza che porta a una testimonianza non a parole.

Benedetto XVI lo ripete dal momento della sua elezione narrando alle udienze generali la storia dei grandi testimoni della fede a cominciare dagli apostoli. Il teorema ratzingeriano a questo punto appare con tutta evidenza e onestà intellettuale. Con le conseguenze.

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IL COMMENTO DI ANGELA AMBROGETTI:

Osservatore Romano, inizia la gestione Vian-Di Cicco

di Angela Ambrogetti

Difficilissimo ma grande. Il nuovo direttore dell’Osservatore Romano giudica così il quotidiano vaticano, riportando l’opinione di Giovanni Battista Montini. Il suo editoriale e la lettera del papa.

CITTA' DEL VATICANO - Difficilissimo ma grande. Il nuovo direttore dell’Osservatore Romano giudica così il quotidiano vaticano, riportando l’opinione di Giovanni Battista Montini. Nel primo numero firmato dallo storico Gian Maria Vian, in edicola da sabato 27 pomeriggio con la data del 28 ottobre, si possono rileggere le attualissime riflessioni del futuro Paolo VI. “Perché è difficilissimo “L’Osservatore Romano”? Vian riporta l’idea di Montini ricordando “la sproporzione fra il vastissimo campo, di cui il giornale avrebbe dovuto essere specchio, il campo cattolico, e la relativa esiguità delle sue notizie, anzi, per vero dire, della stessa capacità a darvi voce e risalto”.

Il direttore prosegue tracciando la linea futura del giornale che strizza l’ occhio ai new media, in particolare internet, secondo le indicazioni del Segretario di Stato.

Ma aggiunge: “L’Osservatore Romano” è prima di tutto il “giornale del papa”, e diffonderà in due modi l’insegnamento e la predicazione del vescovo di Roma: conservando cioè la sua peculiare natura documentaria, e sviluppando quella dell’informazione giornalistica”. Un respiro internazionale per favorire il colloquio e il dibattito, “com’è avvenuto con la lezione di Ratisbona, i cui frutti cominciano a maturare.” Il giornale del pastore-teologo Ratzinger: “Il suo giornale vuole rivolgersi con amicizia a tutti”.

Al fondo di Gian Maria Vian fa da supporto la riflessione del neo vice direttore Carlo di Cicco. “Il dialogo di fede e ragione si muove nel rispetto di due grandi interlocutori che ne sono attori: Dio stesso e l’uomo, prima ancora che laici e credenti”. L’autore del libro Benedetto XVI e le conseguenze dell’amore, che ha sorpreso non pochi, evidenzia quello che chiama il primo comandamento del pontificato: andare in profondità, diventare discepoli del vangelo per imparare a pregare. E prosegue: “Impegno politico, competenze professionali, capacità progettuale per liberare solidarietà e libertà, diritti e giustizia non vengono accantonate, ma si richiedono ai cristiani come a ogni altro abitante nella città dell’uomo. Di loro specifico i cristiani mettono la preghiera al Dio vivente, al Dio di Gesù Cristo. E questo specialmente devono praticare”. E ancora :”Raccontare Benedetto XVI uscendo dalla leggenda, è raccontare un percorso culturale che punta all’essenziale”.

Vian e Di Cicco si trovano una struttura di più di 100 persone da gestire, una redazione molto più qualificata ed ampia di quella che trovò Mario Agnes e una situazione di impegno mediatico vaticano molto diversa da quella del pontificato di Giovanni Paolo II. Allo studio il formato del quotidiano, la presenza in rete, la revisione delle cronache italiane, la assunzione di giornaliste. Ci vorrà del tempo e la stessa coinvolgente passione che ha avuto Agnes nella vita del giornale vaticano.

Lo sa anche il papa che in una lettera indirizzata a Vian, dopo averne elogiato le qualità intellettuali ed umane, scrive: “Cercando e creando occasioni di confronto, "L'Osservatore Romano" potrà servire sempre meglio la Santa Sede, mostrando la fecondità dell'incontro tra fede e ragione, grazie al quale si rende possibile anche una cordiale collaborazione tra credenti e non credenti. Suo compito fondamentale resta ovviamente quello di favorire nelle culture del nostro tempo quell'apertura fiduciosa e, nello stesso tempo, profondamente ragionevole al Trascendente su cui in ultima istanza si fonda il rispetto della dignità e dell'autentica libertà di ogni essere umano”.

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