29 ottobre 2007
Il Card. Schönborn racconta il viaggio di Benedetto in Austria e ricorda la sintonia del Prof. Ratzinger con i suoi studenti
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AUSTRIA. Benedetto XVI a Vienna, Mariazell e Heiligenkreuz, 7-9 settembre
“Un pellegrinaggio contro la fredezza del nostro presente”
Il racconto e la testimonianza dell’arcivescovo di Vienna: «Papa Benedetto, nei giorni trascorsi in Austria, non si è stancato di testimoniare il cristianesimo come “il dono di un’amicizia” che “perdura nella vita e nella morte”»
del cardinale Christoph Schönborn
Papa Benedetto XVI in Austria. Se dovessi riassumere in poche parole quello che mi ha colpito di quei tre giorni di settembre, direi che si è trattato di “un pellegrinaggio contro la freddezza del nostro presente”.
Sotto la pioggia e in mezzo al freddo che ci hanno messo duramente alla prova sia a Vienna, sia a Mariazell e sia a Heiligenkreuz, questo Papa ha sorpreso il nostro Paese – e anche, credo, molti dei suoi critici – con una cordialità e un calore umili e per ciò stesso convincenti; un calore che la sua stessa persona esprimeva, non meno che le sue parole, e che sempre più sensibilmente avvolgeva coloro che lo ascoltavano.
Ben presto è risultato evidente questo: non si trattava di una forma esteriore, di un mero modo di porgersi, o soltanto di un tratto del suo carattere. Questo stile amorevole che naturalmente predispone all’ascolto e alla riflessione, in effetti, ha definito per decenni il pensare e l’attività di insegnamento del Santo Padre.
Così il Papa, credo, ha offerto una sintesi di ciò che sta al cuore della sua riflessione.
La sua teologia vive di un «“sì” a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida, che ci porta e, tuttavia, ci lascia la nostra libertà, anzi, la rende vera libertà» (omelia al santuario di Mariazell, 8 settembre 2007).
Credo che, nella sua predica a Mariazell, il Papa abbia voluto esprimere proprio ciò che sta al cuore alla sua riflessione. Da tale punto sorgivo emerge un’immagine del cristianesimo che è ben di più e ben altro che un sistema morale, una serie di imposizioni e precetti.
Papa Benedetto, nei giorni trascorsi in Austria, non si è stancato di testimoniare il cristianesimo come «il dono di un’amicizia» che «perdura nella vita e nella morte» (omelia al santuario di Mariazell, 8 settembre 2007).
È proprio questo approccio che già ci affascinò quando eravamo studenti del professor Ratzinger. Già allora questo quid, questo qualcosa che amorevolmente t’invita, definiva sia lo stile delle sue lezioni sia il modo in cui il professore si metteva in relazione con noi, i suoi studenti. E così in questi giorni ho potuto sperimentare con gioia e gratitudine come, con l’ascesa al soglio di Pietro, quel preciso modo di vivere e testimoniare la fede ha acquisito nuova vitalità e luminosità.
Tale atteggiamento di fondo pervade davvero tutte le sue omelie e i suoi discorsi, e nei giorni trascorsi in Austria si è palesato in ogni circostanza. Penso ad esempio alle parole sul modello di vita europeo, che egli ha messo positivamente in luce nelle sue peculiarità, compresa anche la capacità di esercitare l’autocritica.
Bisogna appellarsi a questa capacità proprio ora, mentre l’Europa rischia di buttarsi via: ad esempio rispetto ai suoi valori, nel sempre crescente relativismo; e poi nella perdita di spazi per il sacro, e in particolare della domenica, che senza un autentico centro «finisce per essere un tempo vuoto che non ci rinforza e ricrea» (omelia nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna, 9 settembre).
Tale sguardo è emerso anche quando ha lanciato un accorato appello per la vita dei nascituri, esprimendo non «un interesse specificamente ecclesiale», ma piuttosto «una richiesta profondamente umana» (discorso alle autorità e al corpo diplomatico, Vienna, 7 settembre).
Facendo questo, non ha mai nemmeno per un attimo dato l’impressione di chiudere gli occhi «davanti ai problemi e ai conflitti interiori di molte donne», quasi ignorasse che, per dirla con le sue stesse parole, «la credibilità dei nostri discorsi» dipende «anche da quel che la Chiesa stessa fa per venire in aiuto delle donne in difficoltà» (ibidem).
Se ripercorro i pensieri, gli impulsi e le sollecitazioni che egli ci ha trasmesso in questi giorni, credo che su tutto abbiano brillato le tre stelle della fede, della verità e della ragione, che io intendo e ho sempre percepito come il grande motivo dominante del suo pensiero.
Fede e ragione: per tanti uomini del nostro tempo tra i due termini c’è una contraddizione apparentemente irrisolvibile. Invece per questo Papa fede e ragione sono indissolubilmente legate l’una all’altra. Una fede che non chiede sempre anche l’assenso della ragione sarebbe per lui una deminutio dell’uomo. Dio non vuole solo gente che ama, ma anche gente che pensa, insieme a Lui.
Il pensiero tuttavia presuppone la libertà. Dopo lunghe dispute intorno a tale questione, la Chiesa è infine giunta a una grande chiarezza, e questo Papa ha un rispetto enorme per la libertà dell’uomo. Dunque solo a partire da questo atteggiamento la Chiesa è credibile nella sua azione a livello globale per la libertà religiosa. E in ciò tuttavia essa si addentra nella grande questione del rapporto tra libertà e verità.
Per Benedetto XVI è del tutto chiaro che noi abbiamo bisogno della verità. Non appena il Papa parla di verità si affaccia la paura che dietro questa aspirazione alla verità si nasconda anche l’intolleranza. In quest’uomo, sempre propenso all’ascolto e allo stesso tempo sempre pronto alla discussione, io ho sempre ammirato proprio questo: egli fa affidamento solo sul “potere interiore” della verità, e non sulla costrizione e sull’indottrinamento. In questa profonda fiducia nella forza persuasiva della verità e nella capacità dello spirito umano di accogliere la verità nasce il suo sguardo verso Cristo. Così la verità è umile, non è un nostro prodotto, non è un nostro possesso. Essa si dimostra da sé stessa, avvince per forza propria, così «come anche l’amore non si può produrre, ma solo ricevere e trasmettere come dono» (omelia al santuario di Mariazell, 8 settembre 2007).
Cosa dunque rimane di questa visita? Innanzitutto una profonda gratitudine nei confronti del Santo Padre, che evidentemente ama questo Paese, e ha espresso in molti modi questo suo amore. Forse noi stessi non ne siamo stati tanto coscienti, ma papa Benedetto ha fatto in Austria effettivamente la sua prima visita pastorale, giacché finora gli altri viaggi del suo pontificato erano tutti avvenuti sempre a partire da occasioni e celebrazioni particolari. Così, le parole che qui ha pronunciato erano indirizzate innanzitutto a questo Paese e ai suoi abitanti, pur sempre tenendo presente che esse sarebbero state ascoltate da un’opinione pubblica ben più vasta, effettivamente universale.
Sono grato a tutti coloro che con la propria azione e il proprio amore per la Chiesa hanno reso possibile questa festa della fede. In effetti sono stati migliaia coloro che si sono prodigati per la buona riuscita di questi giorni indimenticabili. Grande gratitudine debbo anche a tutti coloro che non si sono lasciati impaurire né dalle intemperie né dalle riserve di tipo sociale e tanto meno da pregiudizi infraecclesiastici. Quanti si sono messi in cammino nella “via del pellegrinaggio della fede”, sono certo che non sono tornati a casa senza un arricchimento interiore. Sono grato anche ai mass media che hanno permesso a centinaia di migliaia di persone di compiere questo “pellegrinaggio della fede” anche da casa. I mass media hanno potuto sperimentare che nel venire incontro a una forte richiesta pubblica nasce per loro anche un nuovo compito.
Ricordiamoci anche del monito di Mariazell: «Abbiamo bisogno di un cuore inquieto e aperto». Aperto per Dio che attraverso Gesù Cristo ci ha mostrato il Suo volto e aperto il Suo cuore. Aperto per il prossimo che è in difficoltà, che ha bisogno di noi, del quale però anche noi abbiamo bisogno, per non perdere i parametri di ciò che è umano. Aperto anche a una riflessione nuova. Molti dei problemi e delle questioni che ci hanno toccato in passato ci accompagneranno anche nel futuro, dopo la visita del Papa. Sarebbe naïf pensare diversamente. E tuttavia il Papa ci ha lasciato con questa visita una certezza che ci dà forza: «Priva di futuro sarà la terra solo quando si spegneranno le forze del cuore umano e della ragione illuminata dal cuore – quando il volto di Dio non splenderà più sopra la terra. Dove c’è Dio, là c’è futuro» (omelia al santuario di Mariazell, 8 settembre 2007).
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