9 marzo 2008
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DISCORSO DI BENEDETTO XVI SUL MONDO MODERNO
IMPORTANTE TESSERA NEL MOSAICO D’INTERPRETAZIONE DEL NOSTRO TEMPO
FRANCESCO BOTTURI
Con il discorso di ieri al pontificio Consiglio della Cultura, Benedetto XVI ha aggiunto un’importante tessera all’ampio mosaico di interpretazione del nostro tempo che sta componendo. Intervenendo sul tema dell’assemblea plenaria «La Chiesa e la sfida della secolarizzazione», il Papa ha ripreso il suo discorso sul mondo moderno in chiave di secolarizzazione.
È un passo importante perché si tratta di una chiave di lettura poco sviluppata nel Concilio Vaticano II e ancora non del tutto consueta nel magistero. Eppure è una categoria interpretativa essenziale della modernità, perché, più che quelle di razionalismo, illuminismo, ateismo, scientismo, ne esprime il dinamismo interiore e complessivo.
Si può legittimamente proporre una lettura dell’intera modernità dal punto di vista della secolarizzazione, di cui le posizioni ora ricordate sono piuttosto delle figure interne, come le forme che la modernità ha assunto nel suo tempo storico.
Il Papa ha subito cura di distinguere «secolarizzazione» e «secolarismo », segno del dramma che ha abitato la modernità, la quale avrebbe potuto percorrere un processo di secolarizzazione non secolaristico (come ebbe a prospettare Henri De Lubac nel suo magistrale testo «L’alba incompiuta del Rinascimento»); che dopo l’età medievale avrebbe potuto guadagnare i giusti spazi di una «secolarità» (culturale, scientifica, giuridica, politica...) non antitetica al cristianesimo e al senso religioso. Così, però, non è stato; anche perché l’esigenza di una «positiva secolarità» fu travolta dai conflitti teologici tra cattolici e protestanti e dalle orribili guerre di religione del tempo.
Certamente fu in quel contesto traumatico che prese corpo nella coscienza europea l’idea di una riprogettazione del 'mondo' «etsi Deus non daretur», che dopo un iniziale significato giuridico e metodologico non irreligioso, ne ha assunto uno di alternativa irreligiosa o areligiosa, divenendo alla fine forma dominante di cultura, una «impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, [che] invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana». E questa mentalità – osserva ancora il Papa – si è fatta talmente pervasiva da manifestarsi «già da tempo in seno alla Chiesa stessa»; come energia corrosiva del senso religioso e della fede, che non fa più percepire «il bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui». Osservazione preziosa. La secolarizzazione secolarista non è (più) identificabile con una concezione del mondo o una dottrina, ma è divenuta piuttosto un «ambiente del pensare », come ha detto Heidegger del nichilismo, il cui effetto è quello di obnubilare l’umile senso del bisogno di Dio e il gusto del rapporto con Lui. E quindi di rendere «superficiali» rispetto alle esigenze elementari e profonde dell’umano e in definitiva «egocentrici ». Così, più in generale, la sindrome spirituale dell’uomo secolarizzato non è confortante agli occhi del Papa: «sterile culto dell’individuo », «atrofia spirituale», «vuoto del cuore», talvolta accompagnati da forme religiose surrogate e spiritualistiche.
Un’analisi che difficilmente l’uomo contemporaneo può sopportare di sé (aspettiamoci proteste), ma che hanno l’evidente scopo di una diagnosi per un riscatto, che, infatti, è subito proposto con l’idea centrale nel discorso di un «richiamo dei valori alti dell’esistenza che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità » e con la proposta culturale del «dialogo tra uomini e donne impegnati alla ricerca di un autentico umanesimo, al di là delle divergenze che li separano».
© Copyright Avvenire, 9 marzo 2008
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