16 marzo 2008

L'inno "All'ora terza" di sant'Ambrogio: "Cristo ascende la Croce. Inizia il tempo nuovo" (Osservatore Romano)


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L'inno "All'ora terza" di sant'Ambrogio

Cristo ascende la Croce
Inizia il tempo nuovo


di Inos Biffi

L'ora terza raccoglie i fedeli quando torna alla memoria l'ascesa di Gesù sulla croce e l'effusione del suo Spirito a Pentecoste. Sono i due eventi che Ambrogio illustra nell'inno composto per l'orazione dei suoi fedeli dopo il Gallicinium e dopo l'Aurora, soprattutto soffermandosi sulla contemplazione del Crocifisso e sulla salvezza che ne è scaturita.
L'inizio agile dell'inno suona come uno schietto e mirato avvertimento: "Sorge ormai l'ora terza", l'ora "che Cristo ascese la croce".

Il verbo non è fuori posto. Gesù, infatti, non subì il patibolo semplicemente come inevitabile costrizione, ma vi "ascese", a dire tutta la sua interiore libertà a compiere il sacrificio. Nel tempo angosciato dell'agonia, con amorosa e dolorosa disponibilità, si era posto nelle mani del Padre: "Non come voglio io, ma come vuoi tu" (Matteo, 26, 39). Egli non si incammina al Calvario perché una forza dall'esterno lo costringe, ma per amore del Padre, o per un'obbedienza e un consenso che nascono da quell'amore: "Affinché il mondo sappia che io amo il Padre e agisco come il Padre mi ha comandato, levatevi, partiamo di qui" (Giovanni, 14, 31).

Sembra quasi che Ambrogio abbia voluto sottolineare una analogia tra l'ora terza che sale all'orizzonte e Gesù che a sua volta sale il patibolo, per attrarre tutti a lui, una volta elevato da terra (Giovanni, 12, 32).

Ma se l'ascensione sulla croce è l'avvenimento richiamato in quest'ora, bisogna che la mente si componga per l'orazione, abbandonando ogni frivola e inopportuna divagazione. Sant'Ambrogio alterna in quest'inno la meditazione del mistero col richiamo al comportamento a esso conveniente, in cui possa riflettersi e rivivere: "Nessun pensiero vano ci distragga, / ma si raccolga l'animo in preghiera". Il tocco che segue è tutto ambrosiano: "Chi accoglie Cristo in cuore / una coscienza incolpevole serba / e con assidua supplica persiste / a meritare lo Spirito Santo". È possibile mantenere limpida la coscienza e la condotta, e perseverare nell'orazione come gli apostoli nel cenacolo, in attesa della venuta dello Spirito, a condizione di accogliere Cristo nel cuore.

"Accogliere Cristo": è un motivo che torna nel vescovo di Milano, "Chi accoglie Cristo nell'intimo della sua casa - egli dice - viene saziato delle gioie più grandi"; "Ognuno che riceva Cristo è sapiente". E se nell'inno troviamo: l'innoxium gerere sensum ("serbare una coscienza incolpevole") sorprendiamo in lui anche l'espressione: gerere Christum, nel senso di portare in sé e mostrare Cristo.

D'altronde, sant'Ambrogio è il Padre dalla teologia più cristocentrica: il "Signore Gesù" - come si compiace di chiamarlo - ha rappresentato la sua grande attrattiva. Egli ne ha vissuto con intimità unica l'amicizia, e ne ha illuminato appassionatamente il mistero. Cristo non fu l'argomento supremamente importante, ancora però astratto della sua riflessione e predicazione, ma il termine di un amore vivo, confidente, aperto; così si spiega che al predicatore o allo scrittore tracimi inattesa e ardente la preghiera rivolta a lui.

"Il mio Gesù" - come scriverà un giorno in una lettera - è la ragione per la quale l'antico consolare, eletto vescovo, si era convertito e l'infaticabile pastore avrebbe lavorato e patito fino all'ultimo, fino a quando, pochi giorni prima di morire, vide - lo attesta Paolino nella Vita (47, 1) - "il Signore Gesù venire a lui e sorridergli".

L'inno ripassa al mistero della Croce, per affermare che l'ora della crocifissione ha segnato la fine del peccato dell'umanità, che l'aveva paralizzata e invecchiata con una inerzia e un torpore mortifero; il crollo del potere o della regalità della morte; e l'inizio di un'età nuova o dei tempi beati, in virtù della grazia: "È l'ora, questa, che termine pose / al lungo torpore dell'orrido crimine, / abbatté il regno di morte / e cancellò dalla storia la colpa. / Di qui per la grazia di Cristo / iniziò un'era felice".

L'ascesa di Gesù sulla Croce è il principio di un tempo nuovo, rispetto a quello, intristito e decrepito, di prima: la morte di Cristo ricrea l'innocenza nell'umanità e vi fa scaturire la gioia. Altrove Ambrogio aveva scritto: "Cristo ha patito, e tutte le cose con la redenzione cominciarono a essere fecondate dai germi di una grazia nuova".
Questo evento, rifuso dal poeta in versi densi e chiari, dal Calvario si è come esteso in tutto il mondo, e ogni Chiesa lo professa come sostanza del suo Credo: "La verità di fede ha ricolmato / le Chiese tutte dell'universo". È il compimento e la conferma del mandato di Gesù di predicare il Vangelo sino ai confini della terra.

Ma un momento particolare del dramma dell'ora terza richiama l'attenzione di sant'Ambrogio: il colloquio del Crocifisso con la madre, dall'alto del suo patibolo. Il tratto mariano di sant'Ambrogio non sorprende. Egli fissa volentieri lo sguardo alla Vergine sul Calvario: "Maria stava ritta presso la croce del Figlio e la Vergine contemplava il tormento del suo unigenito. Il Figlio le disse: "Donna, ecco tuo figlio", e al discepolo disse: "Ecco tua madre", lasciandogli l'eredità del suo amore e del suo affetto"; "Maria stava ritta di fronte alla croce e mirava con occhi pietosi le piaghe del Figlio, perché attendeva non la sua morte, ma la salvezza del mondo".

L'inno riprende esattamente quel momento mariano del Calvario, facendoci ascoltare le parole di Gesù dal legno dell'immolazione, in realtà considerato come un trono di gloria: "Dall'alto vertice di sua vittoria / così alla Madre parlava: "O madre, ecco tuo figlio"; / all'apostolo: "ecco tua madre"". È la visione giovannea della crocifissione come esaltazione, che fa parlare sant'Ambrogio di "trionfo della croce (triumphum crucis)", di "trofeo del Signore vincitore (trophaeum Domini victoris)".
Nella successiva strofa sant'Ambrogio trova modo di proclamare la maternità verginale di Maria, variamente da lui insegnata e solennemente cantata nell'inno natalizio, e la divinità di Gesù. Questi, morente, affida sua madre non a Giuseppe, ritenuto ancora vivo alla morte di Gesù, ma al discepolo Giovanni: nel disegno divino le nozze di Maria miravano a proteggere il profondo mistero della concezione avvenuta per opera dello Spirito e a preservare la Vergine da ogni giudizio che potesse disonorarla: "Così ad avvolgere un alto mistero / erano state premesse le nozze, / perché il sublime parto della vergine / l'onore della madre non ledesse".
Ma ormai quel velo steso sul mistero non occorreva più; il fine di quel matrimonio era cessato, e Gesù affida Maria al discepolo prediletto. "Colei che aveva contratto il matrimonio a motivo del mistero - è il commento ancora di sant'Ambrogio - quando furono compiuti i misteri, non aveva più bisogno di vivere in matrimonio".
Al mistero di quella maternità verginale - Virginis partus sacer - e quindi al proprio essere Figlio di Dio, Gesù stesso offrì la conferma mediante segni miracolosi: "Gesù con prodigi dal cielo/ ne garantì la certezza", che però non tutti accolsero, e proprio sul Calvario, a parte la fede di qualche credente, tra cui il centurione e il ladro in croce, si dà convegno e si consuma l'incredulità.
Di fronte a Cristo avviene la discriminazione tra la fede e l'incredulità, tra chi lo accoglie e chi lo rifiuta, e di conseguenza tra chi si salva e chi si esclude dalla salvezza: "Eppure l'empia turba - prosegue l'inno - non credette, / ma chi avrà creduto sarà salvo", secondo le parole stesse del Signore: "Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato" (Marco, 16, 16).
L'ultima strofa dell'inno è una gioiosa professione di fede trinitaria e cristologica.

Anzitutto confessa Gesù Figlio di Dio, secondo il dogma antiariano che ha guidato e sostenuto il magistero e la pastorale di sant'Ambrogio, fin dal principio del suo episcopato.

E quindi ne proclama la nascita dalla Vergine, l'opera redentrice, che ha liberato dal peccato, e ora la gloria in cielo: tutti misteri a lungo e intensamente da sant'Ambrogio pensati e predicati: "E noi crediamo in un Dio generato, / nato tra noi dalla Vergine santa, / che tolse i peccati del mondo / e siede alla destra del Padre".
Dal mistero della crocifissione di Gesù, che ha rinnovato il mondo ed è la sostanza di quest'inno, coi suoi versi qua e là più didascalici che poetici e di minore ispirazione, sant'Ambrogio è passato a considerare e ad accendere in preghiera tutto il mistero di Cristo, o il cuore dell'ortodossia cristiana. È questa ortodossia che, nell'una o nell'altra ora dei suoi appuntamenti oranti, in varietà di accentuazioni, la Chiesa è sempre chiamata a celebrare. Fu la genialità del vescovo di Milano aver tenuto insieme la fede e il canto, il dogma e la poesia, la teologia e la preghiera.

(©L'Osservatore Romano - 16 marzo 2008)

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