4 marzo 2008
Padre Pio, la sfida dei documenti: Messori e Luzzatto si confrontano sul libro di Tornielli e Gaeta «L'ultimo sospetto» (Corriere)
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Padre Pio, la sfida dei documenti
Dibattiti «L'ultimo sospetto» di Andrea Tornielli e Saverio Gaeta riapre la polemica sul frate delle stigmate: santo o «piccolo chimico»?
L'accusa
Carte già viste, dubbi esclusi: niente è inedito
di VITTORIO MESSORI
Sottoposto ad esame da «semplici » (ma agguerriti) cronisti, il professore non supera la prova e viene invitato a ripresentarsi con maggiore umiltà e preparazione, nonché con oggettività da studioso vero e non di parte.
Questa sembrerebbe la conclusione — solo per ora, s'intende, il confronto continuerà — da trarre dopo la lettura di Padre Pio. L'ultimo sospetto, sottotitolo La verità sul frate delle stimmate (Piemme, pp. 240, e 14,90).
Gli autori sono Andrea Tornielli, vaticanista de il Giornale e Saverio Gaeta, caporedattore di Famiglia Cristiana: due «devoti», come li chiama ironicamente il loro antagonista, ma che, al di là delle convinzioni personali, intendono restare sempre e solo sul suo stesso terreno. Quello, cioè, dei fatti documentati.
E, proprio qui, i due danno un giudizio severo del lavoro di Sergio Luzzatto, quel Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento (Einaudi, pp.VIII-419, e 24) che lo scorso autunno ha sconcertato il mondo, sterminato e interclassista, dei devoti di padre Pio.
Nonostante le dichiarazioni dell'autore di non aver voluto accanirsi su un Santo tanto venerato, i «titoletti sarcastici all'interno dei capitoli», dicono Gaeta e Tornielli, rivelano le sue vere intenzioni: «Padre Pio viene definito "il piccolo chimico", "un mistico da clinica psichiatrica", "il cappuccino volante", "il santo dei delatori", un "portatore di stigmate littorie" e in altri modi altrettanto beffardi ». Sin qui siamo, comunque, all'interno di una pur sempre rispettabile libertà di ricerca e di giudizio; ma non sarebbero da rispettare, bensì da denunciare come grave colpa in un cattedratico universitario, metodi che vengono giudicati inaccettabili.
Innanzitutto, ciò che additano i due giornalisti (in realtà, ciascuno con libri di storia alle spalle) è la supponenza di Luzzatto che, sin dalla copertina del suo saggio, dice cose molto impegnative: «Credevamo di sapere già tutto su padre Pio. E invece non sapevamo quasi niente. Prima di questa ricerca la figura del cappuccino con le stigmate era vincolata soltanto alla fede degli uni, alla incredulità degli altri». Dopo la premessa, l'annuncio di liberazione: «Adesso, grazie al monumentale scavo archivistico su cui si basa questo libro, padre Pio viene finalmente consegnato alla storia del ventesimo secolo».
Insomma: prima del professore, spazzatura devozionale o sensazionalismo giornalistico, ma ben poche tracce di serie indagini da professionista. Ma ora, finalmente, «le carte dell'archivio dell'ex-Sant'Uffizio vengono utilizzate per la prima volta».
Questo, denunciano Gaeta-Tornielli, è millantato credito: innanzitutto perché quelle carte, nessuna esclusa, sono state esaminate, vagliate, discusse per i processi, prima di beatificazione e poi di canonizzazione. Ma c'è di più: i due giornalisti, muniti di una semplice lettera di presentazione, hanno potuto accedere agli stessi archivi, presentati come inaccessibili e violati per la prima volta.
Tanto che il postulatore della causa di padre Pio, commentando il libro di Luzzatto ha detto, sorpreso più ancora che seccato: «Tutto quello che è stato spacciato come inedito o come rivelazione era già abbondantemente conosciuto e ampiamente chiarito durante il processo. In caso contrario, padre Pio non avrebbe mai potuto essere elevato agli altari».
Da qui, l'accusa maggiore che Gaeta e Tornielli rivolgono allo storico, al di là di imprecisioni e sviste che pure, dicono, abbondano. «Luzzatto ha lavorato come chi — dopo la determinazione dell'innocenza di un indagato da parte della Cassazione — ripescasse gli indizi raccolti nel processo di primo grado per cercare di processare di nuovo il prosciolto ».
Lo storico, dunque, sembra voler ripartire da capo: ignora il lavoro di decenni da parte di commissioni mediche, di periti vari, di storici, ritorna indietro e si ferma ai primi sospetti, presentandoli come gravi capi di imputazione, incurante delle successive spiegazioni.
Tra i punti disputati, centrale resta ovviamente quello della origine delle stimmate: segno soprannaturale? Somatismo isterico? Truffa preordinata e continuata per ben mezzo secolo? All'uscita del libro di Luzzatto i giornali hanno dato risalto, com'è ovvio, all'ombra inquietante di un padre Pio «piccolo chimico» (come lo chiama lo storico), in un convento dove circolavano «bottigliette e bottiglioni di acido fenico» e «pacchetti di polvere di veratrina». I devoti sono restati sconcertati, pensando a un clamoroso smascheramento, mentre invece Gaeta e Tornielli — dossier alla mano — non sembrano avere difficoltà a ricostruire come sarebbero andate davvero le cose. Una ricostruzione che ha convinto le severe commissioni del processo di beatificazione, le quali avevano a disposizione non solo i documenti utilizzati da Luzzatto, ma anche altri da lui omessi in quanto non rientravano nella sua linea interpretativa. Linea della quale fa certamente parte — come indica lo stesso sottotitolo del libro — una speciale attenzione alla politica. Luzzatto, dicono i suoi due contraddittori — come molti suoi colleghi — ha assorbito l'ideologia prevalente sino a poco fa: tutto, dunque, è da lui ridotto a categorie politiche, economiche, sociali.
Lo sforzo di presentare padre Pio come un'icona del clerico-fascismo porterebbe a una deformazione della sua figura per la quale, invece, assolutamente prioritaria è quella dimensione sinceramente religiosa che qui verrebbe svilita. Al proposito, è davvero sorprendente quanto Gaeta e Tornielli denunciano circa la manipolazione dei sanguinosi moti di piazza avvenuti nel 1920 a San Giovanni Rotondo.
Alla fine della loro arringa, Gaeta e Tornielli lanciano una sorta di sfida: «Ci siamo proposti di fare chiarezza, esaminando tutte le obiezioni contro la santità di Padre Pio. Alla prova dei fatti, nessuna ha resistito ». La parola, ora, spetta di nuovo a Sergio Luzzatto. Dopo novant'anni di polemiche la bagarre sul «frate con le stimmate» non ha alcuna intenzione di placarsi. Cosa scontata, del resto, per chi, dai suoi devoti, è stato considerato una sorta di misterioso alter Christus.
© Copyright Corriere della sera, 2 marzo 2008
La difesa
La devozione non c'entra nulla con la storia
di SERGIO LUZZATTO
Gli alfabeti servono a comunicare. Le lingue servono per capirsi. Ma quando si comunica con alfabeti diversi, quando ci si parla in lingue differenti, non può esserci dialogo. O può esserci, tutt'al più, un proverbiale dialogo tra sordi.
Sia il libro che Saverio Gaeta e Andrea Tornielli hanno creduto di dedicare alla confutazione del mio Padre Pio, sia la recensione di quel libro firmata da Vittorio Messori parlano un alfabeto chiaro, una lingua riconoscibile. L'alfabeto è quello dell'ortodossia cattolica. La lingua è quella della devozione. L'uno e l'altra sono cose rispettabilissime: ma né l'uno né l'altra costituiscono l'alfabeto e la lingua di uno storico.
Contrariamente a quanto pensano Gaeta, Tornielli e Messori, lo storico non è un giudice. Il suo compito non è quello di vagliare (sono parole loro) «l'innocenza di un indagato» oppure la sua colpevolezza, di pronunciarsi su «capi d'imputazione», di «lanciare nuovamente sospetti sull'ex-inquisito ormai prosciolto». Lo storico non frequenta il passato come l'aula di un tribunale. Nelle quattrocento pagine del mio Padre Pio, come in qualunque libro di storia degno di questo nome, il lettore non troverà una sola frase che ponga il problema in tali termini. Non troverà una sola riga che valga da pronunciamento sulla vera o sulla falsa santità di Padre Pio. Non troverà una sola parola che valga da sentenza sulla verità o sulla falsità delle stigmate e dei miracoli.
A differenza dello storico, gli agiografi hanno loro sì una verità giudiziaria da dimostrare. Che siano sacerdoti, come i postulatori di una causa di beatificazione, o che siano storici dilettanti, come i giornalisti Gaeta e Tornielli, loro sì devono esprimersi in termini di accusa o di proscioglimento, di innocenza o di colpevolezza, di santità o di impostura.
E per farlo, gli agiografi sono spesso costretti a commettere quello che è stato definito il peccato capitale del buono storico: il peccato di anacronismo. Devono usare (Gaeta e Tornielli lo fanno continuamente nel loro libro) testimonianze raccolte negli anni Settanta, o negli anni Novanta, o nel 2007, per ricostruire eventi risalenti agli anni Venti o agli anni Trenta del Novecento. Insomma devono pasticciare con le fonti, salendo e scendendo dalla macchina del tempo, confondendo la memoria con la storia, per dimostrare quanto hanno deciso fin dall'inizio di credere. Quando sono pieni di buona volontà, come lo sono Gaeta e Tornielli, gli agiografi possono finire addirittura per penetrare in un archivio come quello del Sant'Uffizio, e possono consultare essi stessi le carte che il Vaticano ha reso disponibili agli studiosi.
Possono scrivere libri religiosamente appassionati, come questo che tanto ha convinto Vittorio Messori. Ma gli agiografi restano degli stranieri nel mondo della storia. Si affannano intorno a un alfabeto che non capiscono. Scimmiottano una lingua che non sanno parlare.
© Copyright Corriere della sera, 2 marzo 2008
Siamo stati colpiti nel vivo, Luzzatto? Mi pare di si' altrimenti non si spiegherebbe tanto livore nel rispondere a Messori, Tornielli e Gaeta!
La supponenza e' piu' che evidente.
Il lavoro di Luzzatto sarebbe una novita' se gli storici non si fossero gia' occupati di Padre Pio durante il processo di beatificazione su quelle stesse carte che il Nostro afferma di avere utilizzato per primo.
R.
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1 commento:
Mi permetto di riportare qui una parte del topic di Tornielli sul suo blog:
"Insomma, in modo supponente e sprezzante sembra voler dire: “Voi non sapete chi sono io!”. Peccato che non abbia potuto rispondere a uno - dico uno soltanto - dei puntuali rilievi che, documenti alla mano, abbiamo mosso al suo lavoro. Lui - non noi - ha omesso di citare una testimonianza del 1920 che scagionava Padre Pio sull’uso della veratrina. Lui - non noi - ha fatto il dilettante e ha scritto nel “primo libro di storia su Padre Pio” che durante l’eccidio di San Giovanni Rotondo furono ammazzati tutti “rossi”, dimenticando di dire che la strage nacque dall’uccisione di un carabiniere, Vito Imbriani. Citare correttamente i documenti, forse avrebbe fatto cadere la sua tesi sul Padre Pio clerico-fascista. Lui - non noi - ha citato le “filmine” che incastrerebbero Padre Pio sorpreso in improbabili atteggiamenti poco convenienti con donne, senza specificare che si trattava di pessime registrazioni audio, non video. Insomma, chiarissimo Professor Luzzatto, invece di lanciare accuse generiche dicendo che non siamo storici, perché non risponde ai rilievi che le abbiamo mosso esibendo le carte? Questa la risposta che pubblico sul Giornale."
Effettivamente la supponenza di Luzzato che per difendere il "suo" Padre Pio attacca,senza rispondere ai rilievi fatti daTornielli,mostra la supponenza di certi storici che credono essere depositari della verità,mentre in realtà non fanno che rivisitare, ricostruire la storia attraverso la lente delle loro idee,opinioni,simpatie personalissime.
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