10 marzo 2008

"Quella sete di infinito": il commento di Fabio Zavattaro all'omelia del Papa a San Lorenzo in Piscibus (Sir)


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Lunedi 10 Marzo 2008

BENEDETTO XVI - Quella sete di infinito

Fabio Zavattaro

La vita, la morte, la scienza. Lo spunto è nel Vangelo della domenica, quel Lazzaro che torna tra i vivi. Papa Benedetto affronta un tema “grande” e “fondamentale”: cos’è la vita, cos’è la morte, si chiede parlando ai giovani che lo ascoltano nella chiesetta di San Lorenzo in piscibus, chiesa romanica rimasta in piedi dopo le demolizioni della cosiddetta “spina di Borgo” e oggi nascosta dal palazzo che chiude via della Conciliazione, verso piazza San Pietro. È la chiesa del Centro internazionale San Lorenzo, voluto 25 anni fa da Papa Wojtyla, proprio per quei giovani speranza della Chiesa e speranza del mondo.

L’uomodice il Papa tralasciando il discorso scrittorimane uomo con tutta la sua dignità, anche se in stato di coma, anche se embrione”.

Anche se vive solo biologicamente, “anche se non sono sviluppate e realizzate tutte le potenzialità del suo essere, si aprono nuove dimensioni”, perché l’uomo è sempre uomo. Pur facendo parte del biocosmo, come tutto il resto del creato, l'uomo lo trascende. Perché ha sete di conoscenza, dell’infinito; perché vuole arrivare alla fonte della vita, anzi vuole trovare la vita stessa”.

I giovani lo ascoltano rapiti dalle sue parole. Parla senza quasi mai distogliere lo sguardo dall’assemblea, la mano che accompagna il suo ragionamento.

Parla della scienza, che – dice – “è un’unica grande lotta per la vita”; soprattutto la medicina “è una lotta per la vita”, una “ricerca della medicina contro la morte, la medicina dell’immortalità”.

Ma possiamo trovare questa medicina, si domanda. E anche se la trovassimo, ipotizza il Papa, sarebbe sempre una medicina nella biosfera, il mondo sarebbe sempre più vecchio e non ci resterebbe spazio per i giovani. Non possiamo, dunque, sperare nel prolungamento infinito della vita biologica. Non è questo il tipo di immortalità, quel bere alla fonte della vita, che noi tutti desideriamo.

Ecco allora Lazzaro, le parole del Vangelo, il Signore che dice: io sono la resurrezione e la vita. Con i padri della Chiesa, Benedetto XVI afferma: “L’Eucaristia è il farmaco dell’immortalità”.

E spiega che l’immortalità, la vita in abbondanza “non è come alcuni pensano consumare tutto, avere tutto, poter fare tutto quanto vogliamo: in quel caso viviamo per le cose morte – aggiunge – viviamo per la morte. Vita in abbondanza è essere in comunione con la vera vita”. Ricorda come i prigionieri in Russia, tornati dopo dieci anni, dicessero: ho potuto sopravvivere perché sapevo di essere aspettato. “L’amore che li aspettava è la medicina della vita contro tutti i mali”. Tutti noi, ricorda il Papa, siamo aspettati dal Signore della vita.
Parole che giungono in una campagna elettorale, quella italiana, che proprio sui valori, su vita, aborto, eutanasia, sta costruendo l’attesa del voto. E forse non è un caso che anche il cardinale Tarcisio Bertone, in visita nel lontano Azerbaigian, dalla capitale Baku parli ai leader dei vari schieramenti politici italiani perché mettano in atto “il rispetto promesso ai valori cristiani”.

Ma torniamo al Papa. La domenica di Benedetto XVI è anche Angelus a piazza San Pietro. Ricorda che “la violenza e l’orrore hanno nuovamente insanguinato la Terra Santa, alimentando una spirale di distruzione e di morte che sembra non avere fine”. Vengono alla mente l’attentato alla scuola rabbinica, otto morti; l’intervento militare a Gaza. Il Papa chiede a Dio “il dono della pace per la regione”, e affida alla sua misericordia “le tante vittime innocenti”. Poi si rivolge direttamente alle autorità israeliane e palestinesi, è appello perché si continui “a costruire, attraverso il negoziato, un futuro pacifico e giusto” per i popoli della regione; appello perché si lascino “le vie tortuose dell’odio e della vendetta” per “percorrere responsabilmente cammini di dialogo e di fiducia”.

Angelus nel quale non poteva mancare un riferimento all’Iraq. Dice il Papa: “Trepidiamo ancora per la sorte di monsignor Rahho e di tanti iracheni che continuano a subire una violenza cieca ed assurda, certamente contraria ai voleri di Dio”.

© Copyright Sir

Leggo:

I giovani lo ascoltano rapiti dalle sue parole. Parla senza quasi mai distogliere lo sguardo dall’assemblea, la mano che accompagna il suo ragionamento.

Bellissima descrizione :-)
R.

1 commento:

mariateresa ha detto...

sì, bellissima immagine, cara amica.
Anch'io, la domenica,seguendo certe sue omelie televisive,rimango proprio così, "rapita". Ha ragione Luisa,c'è qualcosa di "contagioso" nella sua parola.
E una volta ho bruciato un ottimo spezzatino.
Fortuna che mio marito è un uomo di mondo e non se la prende.