10 marzo 2008
Mons. Ravasi commenta il discorso del Papa al Pontificio Consiglio della Cultura: «Così il Vangelo è lievito nella massa»
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l’intervista
Parla Ravasi: «La svolta è possibile C’è ancora spazio per le domande ultime che danno senso alla vita»
«Così il Vangelo è lievito nella massa»
DA ROMA MIMMO MUOLO
Il discorso del Papa al Pontificio Consiglio della cultura contiene due fondamentali indicazioni.
Da un lato, secondo monsignor Gianfranco Ravasi, «ribadisce l’idea che la nuova evangelizzazione non può più limitarsi agli aspetti catechistici, ma ha bisogno di essere accompagnata da una solida impo- stazione culturale, un progetto come quello della Chiesa in Italia, ovviamente adattato alle diverse latitudini».
Dall’altro diventa un incoraggiamento alle comunità cristiane.
«Pur in tempi di secolarizzazione, c’è uno spazio formidabile – afferma il presidente del dicastero vaticano – in cui immettere e far lievitare il Vangelo».
Monsignor Ravasi, subito dopo l’udienza nell’Aula Clementina, commenta così le parole di Benedetto XVI.
Eppure la diagnosi del Pontefice sembra poco rassicurante, specie quando dice che la secolarizzazione non risparmia fedeli e pastori.
In realtà il Santo Padre mette in guardia dal pericolo che le comunità ecclesiali «si conformino al secolo presente », come diceva già San Paolo ai Romani. Cioè che perdano colore e qualità, diventando così irrilevanti. Il Vangelo, invece, è sempre proposta di un modello alternativo e il Papa lo sottolinea con forza. Con una immagine possiamo dire che le nostre comunità devono essere termostato, cioè strumento di regolazione della temperatura esterna, e non termometro, cioè qualcosa che semplicemente la registra, lasciandosi influenzare da essa. Lievito nella massa e non specchio dei tempi.
C’è ancora la possibilità di operare una simile svolta?
Certamente. E qui sta il messaggio di incoraggiamento. Un pensatore inglese e laico, Charles Taylor, che ha appena pubblicato un saggio sulla Secular Age, afferma che oggi l’uomo è buffered, cioè sazio e in un certo senso bloccato, ma al tempo stesso vuoto: soprattutto di valori e di speranza. Riuscire a riempire questo vuoto con il Vangelo è la grande sfida culturale che abbiamo davanti.
In sostanza la secolarizzazione non è irreversibile.
Proprio così. Con una battuta potremmo dire che Dio oggi non è morto, ma gli si chiedono i documenti. In pratica c’è una domanda di spazi diversi dalla rassegnata omologazione imposta dal secolarismo. Spazi in cui porsi le domande ultime e dare le risposte. La Chiesa può e deve essere questo spazio, altrimenti il rischio è che la gente vada a cercare ciò che gli serve nelle sette, nella new age e nelle forme di religiosità più in voga.
Un compito che chiama in causa direttamente le comunità cristiane.
Sì e soprattutto chiede a tutti noi di essere all’altezza del compito, cioè di non lasciarsi assimilare dalla deriva secolaristica.
E allora, come ha ricordato nel suo discorso il Papa, dobbiamo richiamare i valori alti dell’esistenza, quelli che danno senso alla vita. Temi come l’amore, il dolore, la verità, la trascendenza non possono essere più trascurati né nella predicazione, né nella catechesi. Perché la Chiesa ha, pure in questa società secolarizzata, spazi aperti per far germogliare un nuovo umanesimo cristiano e fecondare così i deserti dell’indifferenza e della superficialità.
© Copyright Avvenire, 9 marzo 2008
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