23 maggio 2008

Chiesa-Islam il dialogo di Doha, in Qatar (Levi)


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Chiesa-Islam il dialogo di Doha

di Arrigo Levi

VI sono segnali importanti di una crescente apertura del mondo islamico al dialogo con le altre religioni: non soltanto col cristianesimo, ma anche con l’ebraismo. A Doha, capitale del Qatar, il piccolo ma ricchissimo emirato del Golfo Persico (un milione di abitanti, per tre quarti immigrati), che condivide con l’Iran il più grande giacimento sottomarino di gas naturale del mondo, dopo avere preso parte alla VI Conferenza sul dialogo tra le religioni, ho trovato conferma degli inizi di una evoluzione positiva del rapporto fra l’Islam e l’Occidente.

Quale solo invitato non credente, ho riscontrato un clima di molto rispetto (esteso anche nei miei riguardi) tra rabbini, sacerdoti cristiani e saggi islamici di alto livello: anche se vi è, da parte di tutti, una lettura selettiva e idealizzata sia della storia che dei testi sacri di ciascuna religione, che tende a ignorare guerre del passato e conflitti ancora aperti. Salvo quello israelo-palestinese, oggetto di focosi interventi, compreso un paragone fra Hitler e Israele, subito condannato però da un oratore musulmano. Sarebbe utile (lo ha sostenuto, prima di me, un autorevole studioso islamico) che al dialogo «interreligioso» si affiancasse un «dialogo intrareligioso»; e, a mio avviso, una più netta condanna del terrorismo, talvolta confuso col «diritto all’autodifesa».

Tuttavia, come ha detto il cardinale Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, «il coraggioso popolo del Qatar» va lodato per avere mantenuto l’impegno di invitare alla conferenza anche gli ebrei (compresi due rabbini israeliani), dando loro spazio pari a quello degli altri. Ne va il merito alla presidente della Facoltà di Shari’a dell’Università del Qatar, che è una donna, Aisha al-mannai. Nel Qatar le donne contano molto. La Sceicca Mozah, moglie dell’Emiro Hamad, è definita una «formidabile» sostenitrice dell’apertura culturale del Qatar, in tutte le direzioni: Doha è anche la sede di Al-Jazeera.

Se si passa dall’area del duro confronto di civiltà, che va dall’Afghanistan fino all’Iraq e all’Iran passando dall’eterno conflitto israelo-palestinese, all’area del Golfo, caratterizzata dall’opulenza petrolifera, ma anche dall’evoluzione politico-culturale, è come se ci si trovasse - scrive Time - di fronte a due Mediorienti. Il mondo islamico è unito dalla saldezza della fede coranica; ma è diviso nel modo di confrontarsi con il nostro mondo. E non è soltanto la skyline, segnata da avveniristici grattacieli, che annuncia un Medio Oriente diverso, libero dal complesso di persecuzione altrove presente, e aperto al dialogo.

Vi è stato, a fine marzo, l’appassionato discorso del re dell’Arabia Saudita (Paese peraltro ancora chiuso a chiese o sinagoghe), a favore del confronto fra musulmani, cristiani ed ebrei, finalizzato a una «coesistenza pacifica». La risposta del rabbino capo israeliano Yona Metzger è stata: «La nostra mano è tesa per ogni iniziativa di pace». E vi era stata lo scorso ottobre la lettera-appello dei 138 saggi islamici, sia sunniti che sciiti («Una parola comune tra noi e voi»), rivolta a tutte le Chiese cristiane, ricca di riferimenti ai principi-guida propri delle tre religioni monoteiste, l’amore di Dio e l’amore del prossimo, con insistenti citazioni dal Vecchio e dal Nuovo Testamento come dal Corano. Le reazioni, sia del Consiglio ecumenico delle Chiese sia del Vaticano, sono state positive. Dai colloqui avviati si arriverà, nel prossimo novembre, anche a un primo «seminario teologico» a Roma fra cattolici e musulmani, che sboccherà in un incontro con il Papa. Ratisbona sembra superata.

Le critiche rivolte da alcuni a quel documento, per il fatto che non sono abrogati in quel testo i versetti coranici contro ebrei e cristiani, non mi sembrano ragionevoli. «Non c’è dialogo se il dialogante è ambiguo», ha detto e ripetuto, prima e dopo la sua conversione pasquale, Magdi Cristiano Allam (ma la Chiesa ha preso subito le distanze). Il fatto è che un dialogo tra fedi ognuna detentrice della sola verità assoluta comporta necessariamente, almeno nelle fasi iniziali, vistose ambiguità.

D’altra parte, la disponibilità al dialogo non impedisce a Benedetto XVI di continuare a proclamare (nel discorso del 17 maggio alle Opere Missionarie) che la Chiesa ha il mandato obbligatorio di «ammaestrare e battezzare tutte le nazioni»; e ha invitato la Chiesa (nell’omelia di Savona, sempre del 17 maggio) a «dar prova di coraggio nell’affrontare le sfide del mondo: materialismo, relativismo, laicismo, senza mai scendere a compromessi». Per il Papa, «l’impegno apostolico è un dovere ed anche un diritto irrinunciabile, espressione propria della libertà religiosa».

Nulla da obiettare da parte di noi «laici». La libertà religiosa è un diritto che abbiamo inventato noi, ed è garantito a tutte le religioni dalle leggi delle nostre società, fondate su quei principi di libertà di pensiero e di tolleranza che sono figli dell’illuminismo e del «laicismo». Farlo accettare a un’altra società, quella islamica, fondata sulla contrapposta certezza del proprio primato della verità, sarà più difficile. Ma è un bene che le religioni incomincino a discuterne. Che il dialogo interreligioso possa dare un contributo alla pace è anche una speranza che ci è dettata dalla nostra fede laica.

© Copyright La Stampa, 23 maggio 2008 consultabile online anche qui.

Leggo:

Nulla da obiettare da parte di noi «laici». La libertà religiosa è un diritto che abbiamo inventato noi, ed è garantito a tutte le religioni dalle leggi delle nostre società, fondate su quei principi di libertà di pensiero e di tolleranza che sono figli dell’illuminismo e del «laicismo».

?????
Ma che significa?


Ricordo ancora una volta (ho il latte alle ginocchia) che senza Ratisbona non ci sarebbe stato alcun progresso nel dialogo ma solo tutta una serie di bacetti e di abbracci.
R.

2 commenti:

euge ha detto...

Altro che latte alle ginocchia cara Raffaella!!!!!!! Qui c'è la solita ostinazione di parte che impedisce di comprendere perchè c'è la volontà di non farlo, che senza Ratisbona ed io aggiungerei senza il viaggio in Turchia, il dialogo con i musulmani quello serio e non quello basato sui bacetti, le pacche sulle spalle portatore soltanto di un finto dialogo pronto a trasformarsi in tuttaltro, non sarebbe mai iniziato. Ma, siccome noi abbiamo pazienza e come dice Repetita iuvant, noi insistiamo e lo ripetiamo ancora una volta e lo ripeteremo agni volta che sarà necessario; anche se il latte è arrivato alle ginocchia e forse fra un pò non avremo più parole, per analizzare un a simile cecità.

Anonimo ha detto...

«Non c’è dialogo se il dialogante è ambiguo», ha detto e ripetuto, prima e dopo la sua conversione pasquale, Magdi Cristiano Allam (ma la Chiesa ha preso subito le distanze): ahi ahi, come sono saggi questi laici che sembrano più infallibili della Chiesa stessa! A me non risulta che la Chiesa si sia espressa nel modo detto dall’articolista. Per me è certo questo (e l’abbiamo scritto sul sito CulturaCattolica.it in risposta alle brutte osservazioni di Franco Monaco su Jesus di maggio [http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=8807]) che per imparare il dialogo dobbiamo proprio guardare come ha fatto il Papa a Ratisbona.
Quanto alla affermazione sulla libertà religiosa, vorrei chiedere ancora all’articolista «laico» se tale qualifica significa anche diritto a riscrivere la storia: che ne dice di queste affermazioni di Francisco De Vitoria anch’esse presenti sul sito http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=178&id_n=5237]?

CARTA DEI DIRITTI UMANI Francisco de Vitoria (1483 - 1546)
Il diritto che l'uomo ha sulle cose deriva dal fatto che egli è immagine di Dio … Tutte le cose sono state create al servizio dell'uomo … Ogni uomo ha diritto alla verità, all'educazione e a tutto ciò che si riferisce alla sua formazione e promozione culturale e spirituale … Per diritto naturale, ogni uomo ha diritto alla vita e all'integrità fisica e psichica … Per diritto naturale tutti gli uomini sono liberi e nell'uso di questa libertà fondamentale gli Indios si costituiscono liberamente in comunità e liberamente scelgono i propri governanti … Ogni uomo ha diritto alla fama, all'onore e alla dignità personale … Gli Indios hanno diritto a non essere battezzati o costretti a convertirsi al cristianesimo contro la propria volontà … Per solidarietà naturale e per diritto delle genti, tutti gli uomini, Indios o Spagnoli, godono dello stesso diritto alla comunicazione e all'interscambio di persone, beni o servizi, senza altri limiti che il rispetto della giustizia e dei diritti degli abitanti del luogo … Nessuno può essere condannato senza prima essere stato ascoltato dall'autorità competente e in conformità con le leggi … Il condannato che fuggisse di prigione e fosse ripreso, non può ricevere un'ulteriore pena per questo fatto, essendo il desiderio di libertà un diritto inalienabile della persona umana … Inoltre, per solidarietà umana e a tutela di quegli Indios che, innocenti o indifesi, sono ancora sacrificati agli idoli, o sono assassinati per mangiarne le carni, gli Spagnoli non possono abbandonare le Indie finché non abbiano realizzato scambi sociali e politici necessari a far terminare quel regime di terrore e di repressione … Non è sufficiente che il Re di Spagna promulghi leggi giuste e adeguate alla capacità e allo sviluppo degli Indios, è altresì obbligato a inviare governanti competenti e disposti ad applicarle …
(Cfr. Francisco de Vitoria, in "Corpus Hispanorum de Pace", vol. V, VI e XVII, passim)