22 maggio 2008
Il "caso zingari": cultura nomade tra diritti umani e doveri civili (Anna Foa per l'Osservatore)
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Il "caso zingari"
Cultura nomade tra diritti umani e doveri civili
di Anna Foa
Esiste oggi in Italia un "caso zingari"? E in caso affermativo, di che cosa si tratta? È solo un problema di sicurezza e di criminalità, come si tende a dire ovunque? O il problema nasce anche dal razzismo con cui guardiamo agli immigrati in genere, e ancor più agli zingari, come ad una presenza di per sé pericolosa e disturbante? E chi sono gli zingari presenti oggi in Italia? stranieri senza fissa dimora, cittadini europei, cittadini italiani?
Una raccolta di contributi (Il caso zingari, a cura di Marco Impagliazzo, introduzione di Andrea Riccardi, appendice documentaria curata da Gabriele Rigano, Milano, Leonardo International, 2008) pone proprio questo problema, e lo analizza soprattutto dal punto di vista giuridico, con un'angolatura abbastanza inedita nella discussione sulla presenza dei gruppi nomadi in Italia, che richiama le polemiche di questi giorni.
La storia della presenza di nomadi, sinti o rom, in Italia è in realtà una storia quasi del tutto sconosciuta. Dal saggio di Marco Impagliazzo emerge innanzitutto come essi siano originari dell'India, e come si siano stabiliti sul suolo europeo in successive ondate migratorie, in forma del tutto pacifica, ma tali da comportare gravi difficoltà di inserimento.
In Italia, gli zingari sono scesi sin dal Trecento, anche se, come nel resto d'Europa, la loro presenza è sovente stata accompagnata da decreti di espulsione, bandi, e perfino condanne a morte comminate non in base a crimini eventualmente commessi, ma in base al loro essere "zingari".
Impagliazzo parla di "antigitanismo", termine coniato espressamente su quello di antisemitismo ad indicare un atteggiamento di ostilità verso gli zingari a prescindere dal loro comportamento, in base alla loro sola natura di "zingari". Il richiamo all'antisemitismo non è casuale, come ricorda in queste pagine il saggio di Amos Luzzatto, dal momento che gli zingari hanno avuto in comune con gli ebrei la caratteristica di essere un popolo senza territorio, oltre ad averne condiviso la sorte nei lager nazisti, dove sono stati sterminati un numero imprecisato di sinti e rom, tra duecento e cinquecentomila.
Un debito verso di loro che la società europea ha teso a dimenticare e che comunque non ha mai riconosciuto apertamente.
Ma veniamo alla questione del loro stato giuridico, dei diritti cioè, che il volume analizza in due saggi di grande interesse, uno di Giovanni Maria Flick, vice presidente della Corte Costituzionale, l'altro dello storico del diritto Paolo Morozzo della Rocca. Attualmente, gli zingari presenti in Italia sono fra centoventi e centoquarantamila, lo zero e venticinque della popolazione. Oltre settantamila di essi sono cittadini italiani, che teoricamente, quindi, dovrebbero godere dei diritti e dei doveri degli altri cittadini, ma che vengono generalmente, sia a livello dell'immaginario collettivo che sotto il profilo amministrativo e burocratico, considerati come stranieri.
Dei restanti settantamila, la metà circa sono rumeni, cioè cittadini dell'Unione europea, gli altri provengono dall'ex Iugoslavia, che non fa parte dell'Unione europea, e sono quindi in una situazione di maggior precarietà giuridica, tanto più che non sono stati inseriti fra le minoranze riconosciute come tali dalla legislazione italiana perché privi di un collegamento territoriale. Ma, come scrive Flick, "si può essere abusivi su un terreno, o su tutti i terreni; ma non si può essere abusivi sulla Terra, tanto meno in Europa". Eppure, le possibilità di integrazione di rom e sinti in Italia sono scarsissime, e non solo per la resistenza degli stessi zingari all'integrazione, ma per le difficoltà concrete, essendo "zingari", di trovare lavoro, casa, di essere ammessi a scuola. L'aspettativa di vita media degli zingari, in Italia, è di poco più di 45 anni, contro gli oltre 79 anni del resto della popolazione. Solo il trenta per cento dei bambini zingari in età scolare frequenta la scuola dell'obbligo.
Tutto questo, e il libro lo ripete chiaramente, non vuol dire non riconoscere che esiste un problema di criminalità e che le difficoltà di integrazione sono reali. Ma la criminalità si colpisce arrestando i criminali, non considerando criminale un popolo intero. Nella legislazione italiana, la mendicità - lo ricordiamo perché non tutti lo sanno - non è reato. Ma lo è, ad esempio, sottrarre minori alla scolarità per mandarli a mendicare.
Se le autorità non intervengono, eventualmente anche sottraendo i minori alla potestà dei genitori, è per il diffuso pregiudizio che si tratti di un atteggiamento naturale, indice di una diversità inassimilabile, non integrabile nella società. Con pregiudizi di tal fatta, non solo non aiutiamo l'integrazione, e anzi la blocchiamo, ma non colpiamo nemmeno la criminalità.
L'Italia, lungi dall'essere un paese troppo tollerante, come spesso si ama considerare, è stata più volte, anche recentemente, richiamata al rispetto delle norme comunitarie dall'Unione europea per le politiche di segregazione e di violazione dei diritti umani nei confronti degli zingari. L'appartenenza all'Unione europea impone dei doveri che sono da rammentare, volentieri e giustamente, ai Paesi che vogliono essere ammessi a farne parte. Non bisogna però ricordarlo anche a se stessi, rammentando che esiste un livello minimo di civiltà che un paese dell'Unione europea deve adottare verso i suoi immigrati e verso chi, autoctono o meno, abita il suo territorio?
(©L'Osservatore Romano - 22 maggio 2008)
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4 commenti:
Ti lascio un "bell'articolo" in cui ritornano tutte le insensatezze sul papa. Ma chi l'ha detto che non tocca il cuore? Io quando mi parla mi sento sussultare, nonostante sia pacato, dolce, le sue parole penetrano e non solo nel cervello (che di sicuro si scalda) ma anche nel cuore ed è proprio questa la sua grandezza perchè di intellettuali ne abbiamo tanti, ma come BXVI ben pochi! Marco
'Parla al cervello e non al cuore ma non è un Papa chiuso'
Repubblica — 17 maggio 2008 pagina 11 sezione: GENOVA
Che differenza c' è tra Papa Ratzinger e Vasco Rossi? Dal punto di vista della comunicazione mediatica, praticamente nessuna. Ovviamente si tratta di due persone e di due realtà e di due significati non confrontabili e non compatibili. Ma in fondo il meccanismo che domani spingerà i fedeli in piazza della Vittoria e giovedì prossimo i fans alla Fiera è lo stesso: il bisogno di toccare e di vedere di persona. Spiega don Franco Anfossi, direttore della Caritas Diocesana di Genova: «Per vedere il Papa e ascoltarlo bisogna andare a Roma. Un tempo non c' era alternativa, finché Giovanni XXIII un giorno non ha detto: voglio andare a ringraziare di persona la Madonna a Loreto. Santità, il Pontefice non esce dal Vaticano, gli risposero i suoi uomini. E perché mai? chiese lui. Prese il treno, andò alla Madonna di Loreto e diede il via alla stagione dei viaggi dei Papi. Ora che il Santo Padre si muove spesso, per i fedeli la sua visita è comunque una grande occasione per stargli vicino anche fisicamente». Ma la fede è sensibile anche a questi particolari? «Ascoltare le parole del Papa o leggerle sono due emozioni diverse. Anni fa ero a Roma in piazza S. Pietro. Quando Giovanni Paolo II esclamò "Aprite le porte a Cristo", ricordo di avere sentito nel corpo intero una vibrazione intensa, diversa dal solito». In che modo il mondo cattolico vive questa visita? «Se devo dire la verità non ho notato un particolare entusiasmo. C' è attesa, certo, ci sarà partecipazione. Ma non è scattata l' eccitazione, la passione». Sarà dovuto anche al personaggio, al fatto che Ratzinger ha più l' aria dell' intellettuale che del trascinatore di folle? «Non c' è dubbio che anche questo aspetto giochi un ruolo importante. Benedetto XVI non parla al cuore delle folle, parla al loro cervello. Questo non significa ovviamente che Papa Ratzinger non abbia cuore, ma l' impatto con i fedeli è un altro». Resta il fatto che molte sue posizioni hanno suscitato scalpore. Anche le ultime affermazioni in difesa del diritto alla vita... «Ma è proprio perché lui è soprattutto un teologo che deve avere questo coraggio. Purtroppo il significato delle sue argomentazioni spesso non viene colto oppure viene frainteso. è sintomatico l' episodio di Regensburg, quando il discorso di Benedetto XVI fu apprezzato da molti studiosi musulmani e disprezzato dai fondamentalisti». Certo le doti di comunicatore di Ratzinger non sono paragonabili a quelle di Wojtyla. «Forse è la Chiesa che non ha ancora la capacità di comunicare. Per esempio non usa il mezzo televisivo, il più impattante. A parte qualche "nicchia", non c' è una tv cattolica. Ci vorrebbe un gruppo di laici che si associasse per dare vita a una rete televisiva che desse voce alla Chiesa». è così importante la televisione anche per la religione? «Credo che se S. Paolo rinascesse non scriverebbe più lettere, ma metterebbe su una catena televisiva. Detto questo, Papa Ratzinger per le sue caratteristiche ha un grande compito: quello di seminare. è un Pontefice capace di far convivere insieme ragione e fede, dunque ad annunciare la "vera" verità, che è fatta appunto di fede e ragione insieme». Ma, aldilà delle scelte etiche, anche certe sue posizioni hanno provocato perplessità pure nel mondo cattolico, per esempio il sostegno alla messa in latino. «La messa in latino non è in discussione, la questione è quella del rito antico. Io ho imparato a officiare con quello, all' inizio degli anni Sessanta. Ma era una teologia vecchia. Di fronte ad alcune sollecitazioni, il Papa ha lasciato la possibilità di ricorrere a questo rito. Ma qui a Genova non c' è stato quasi seguito». Che città trova Benedetto XVI nel suo viaggio a Genova? «Una città sulla soglia di una porta aperta. Che sta a guardare quello che succede, pronta però a muoversi. C' è ancora insicurezza sul futuro: ci sono alcune cose che si muovono, ma non si può dire se avranno seguito». L' enciclica del Papa "Spes salvi" parla di speranza. Ce n' è anche per Genova? «Credo proprio di sì. La storia di Genova ha visto momenti difficilissimi, ma poi i genovesi si sono sempre mostrati decisi. Magari mugugnano, ma poi si rimboccano le maniche e si danno da fare. Succederà così anche stavolta». - COSTANTINO MALATTO
Grazie, Marco, quanti luoghi comuni...quante inesattezze.
Cio' che colpisce di piu' e' il "pulpito" da cui viene la predica: un sacerdote!
Forse i nostri bravi preti dovrebbero concentrarsi di piu' sulla pastorale e sulla catechesi.
In questo modo apprenderebbero sulla "propria pelle" che, parlando alla testa, si arriva direttamente al cuore.
Raffaella
Mi sembra sia un articolo scritto prima della visita. Gli articoli successivi, anche sull'orrida Repubblica Genova dove hanno enfatizzato tutte le possibili disgrazie, dagli alberi tagliati al costo della visita, alla pioggia prevista a livelli biblici al pride laico dipinto come l'apoteosi delle masse , suonavano una musica tutta diversa.
Quanto al sacerdote intervistato,se ti vuoi rendere interessante al giornalista, devi parlare così. Chi se lo sarebbe fumato se avesse detto "non stiamo più nella pelle dalla goduria".
Se vuoi finire sul giornale devi dire le bischerate che si aspetta il pisquano che ti sta intervistando.
Amen.
.. ha avuto ragione Bagnasco a evidenziare i problemi della diocesi, tra cui la bassa affluenza in Chiesa, se un parte (fortunatamente non cospicua) dei suoi sacedoti ragionanano ancora così, assecondando luoghi comuni come questo sulle scarse doti comunicazionali di Papa Benedetto. Così certo non si incoraggiano "new entries" nella Chiesa!
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