19 aprile 2007

Rassegna stampa del 19 aprile 2007


Oggi e' un giorno molto importante per la Cristianita': due anni fa, il 19 aprile 2005, il cardinale bavarese Joseph Ratzinger veniva eletto Papa con il nome di Benedetto XVI.
Ci sara' modo di commentare, nell'arco di questa giornata, un anniversario cosi' importante.
Iniziamo, pero', con una rassegna stampa "generica".
La mia solidarieta' ai familiari delle vittime dell'orribile assassinio di ieri in Turchia.

Raffaella




Papa: 20 Minuti Di Colloquio Con Ban Ki Moon

(AGI) - CdV, 18 apr . - E' durato 20 minuti il colloquio tra il Papa e il segretario generale dell'Onu Banki Moon. ''Eccellenza, benvenuto in Vaticano'', lo ha accolto il Pontefice nella sala del Tronetto, seguendo il protocollo delle udienze private ai Capi di Stato. ''E' un grande onore'', ha risposto il successore di Kofi Annan. Dopo i 20 minuti a quattr'occhi nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, lo scambio dei doni: da New York il segretario dell'Onu ha portato un vasetto in cristallo con il simbolo delle Nazioni Unite. Il Papa ha risposto con la medaglia d'oro del Pontificato incastonata in cornici e raccolte in un astuccio di pelle bianca. ''Un piccolo dono'', lo ha presentato Papa Ratzinger, ''un grande onore'', ha ringraziato Ban Ki Moon. -


Onu, segretario invita Papa a visita ufficiale in sede New York


CITTA' DEL VATICANO (Reuters) - Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha invitato Papa Benedetto per una visita ufficiale nella sede delle Nazioni Unite a New York, dopo l'incontro privato tenutosi oggi in Vaticano.

Lo ha riferito la Santa Sede.

I due sono rimasti a discutere per circa 20 minuti nella biblioteca privata del Pontefice nel palazzo Apostolico, dove il rappresentate dell'Onu ha donato a Benedetto un piccolo vaso di cristallo con il simbolo delle Nazioni Unite e ha ricevuto dal Papa una medaglia d'oro.

Nel colloquio, il Papa e il segretario generale hanno discusso del "ripristino della fiducia nel multilateralismo, il rafforzamento del dialogo tra le culture e hanno accennato a situazioni internazionali che meritano particolare attenzione", ha riferito il Vaticano in una nota.

La visita di Papa Benedetto sarà la prima che il Pontefice effettuerà nella sede dell'Onu ma anche il primo viaggio negli Stati Uniti in qualità di successore al soglio di Pietro.

In precedenza erano stati due i Papi che avevano visitato la sede delle Nazioni Unite -- Papa Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Secondo alcune fonti vicine al Pontefice il viaggio di Benedetto -- eletto Pontefice due anni fa -- potrebbe avvenire alla fine dell'anno nel corso dell'assemblea generale dell'Onu.


Turchia, attacco contro i cristiani Strage nella casa editrice della Bibbia
Tre sgozzati, tra le vittime un tedesco. Sospettato un gruppo islamico estremista

Un'immagine terribile. Tre impiegati di una piccola casa editrice cristiana — due turchi e un cittadino tedesco — attaccati da cinque giovani fanatici, incaprettati e sgozzati come animali nel centro della città di Malatya, 660 chilometri a sud-est di Ankara. Una strage orrenda, che fa precipitare la Turchia nel buio, in un momento politico delicatissimo, alla vigilia di elezioni presidenziali che stanno spaccando il Paese.
La cronaca è un riassunto macabro, del quale non si conoscono ancora tutti i dettagli. Ma nella palazzina di tre piani che ospita i locali della piccola casa editrice Zirve
(appartenente alla comunità protestante presbiteriana), specializzata nella pubblicazione di testi religiosi, a cominciare dalla Bibbia, si è consumata, prima in silenzio, poi fra le grida di chi cercava di sottrarsi alla carneficina, una tragedia. Il direttore della Zirve, intervistato dalla Cnn turk, ha detto che in passato erano state ricevute minacce, ma che non si sapeva da dove provenissero. In realtà, quelle minacce non erano state denunciate, perché non ve n'è traccia negli archivi delle forze di sicurezza.
I cinque assassini, tutti studenti universitari, sono partiti per la loro missione portando ciascuno, in tasca, una lettera con l'identico messaggio: «Siamo cinque fratelli. Andiamo a morire. Forse non torneremo più». Messaggio che rivela l'affiliazione del commando a uno dei gruppi dell'estremismo islamico turco, forse legati al locale «Hezbollah», che però non ha alcun legame con l'omonimo partito di dio libanese, e che fra le macabre pratiche di assassinio contempla appunto l'utilizzo del coltello per tagliare la gola alle vittime; ma potrebbero anche non essere lontani dal partito della Grande Unione, una formazione che raggruppa dissidenti del movimento nazionalista di estrema destra dei Lupi grigi, ora alleati con i fanatici dell' Islam. Insieme sostengono che la priorità è appunto la religione nazionale, non certo il laicismo.
Quando la polizia è arrivata e ha dato l'assalto all'edificio, due impiegati, che ancora lottavano con gli assassini sono stati portati all'ospedale, dove si trovano in gravi condizioni. I cinque sedicenti «martiri», in realtà, non avevano poi tanta voglia di morire, se quattro di essi sono stati subito catturati mentre il quinto, probabilmente il capo del commando, si è lanciato dalla finestra. Un salto di tre piani. È ricoverato con fratture craniche.
Sull'interrogatorio dei compici non è ancora trapelato nulla. Si cercano soprattutto i mandanti, considerato il messaggio contenuto nella lettera che avevano in tasca gli assassini.
Una situazione estremamente imbarazzante per la polizia turca e soprattutto per il governo islamico moderato di Recep Tayyip Erdogan, che ieri sera ha definito la strage «una barbarie».
«Qualcosa di pericoloso si sta muovendo in Turchia», ha detto il vicario apostolico cattolico Luigi Padovese. Il vescovo, sotto la cui giurisdizione si trova la regione di Malatya, ha precisato che la casa editrice Zirve non appartiene alla chiesa cattolica, e ha segnalato il reiterato e gravissimo rischio rappresentato da questi gruppi di fanatici, che stanno danneggiando seriamente la Turchia. Paese che, durante la recente visita di Benedetto XVI, aveva mostrato al Papa una convincente immagine di tolleranza.
Che esista una strategia di un pugno di estremisti, pronti a tutto pur di colpire le minoranze — tutte le minoranze — del Paese, è fuor di dubbio. Com'è fuor di dubbio che quasi tutti gli episodi di violenza sono maturati nelle regioni dell'Est, covo sia dei nazionalisti sia dei fanatici dell'Islam. I cattolici sono stati colpiti con l'assassinio di don Andrea Santoro a Trebisonda, nel febbraio 2006, e con il ferimento di un sacerdote francese a Samsun; di Malatya era originario il giornalista armeno Hrant Dink, ammazzato a Istanbul. Ieri sono stati colpiti i protestanti, con l'accusa — probabilmente a questo si riferivano le minacce ricevute in precedenza dalla casa editrice Zirve — di fare proselitismo.
Un'accusa insultante, e davvero risibile in un Paese dove tutte le minoranze cristiane (siriaci, ortodossi, cattolici, protestanti e armeni) arrivano a malapena all'uno per cento della popolazione, mentre il restante 99 per cento è composto da musulmani.

Il Corriere della sera, 19 aprile 2007


IL PORTAVOCE DEI VESCOVI
«Un'esplosione di violenza che ci sconvolge Occorre più prudenza nel portare la fede»

LUIGI ACCATTOLI

ROMA — «Sono piccoli gruppi violenti che fanno molto male all'immagine della Turchia e si oppongono al suo ingresso nell'Unione Europea. Il popolo non approva queste azioni, che sono condannate da tutti»: parla così Georges Marovitch, cittadino turco di origine albanese, portavoce dei sei vescovi cattolici che vivono in Turchia.

Monsignore, come valuta questo eccidio?

«Siamo sconvolti, come lo fummo per l'uccisione di don Andrea Santoro e del giornalista armeno Hrant Dink. A ogni esplosione di violenza è come se venisse messo in discussione tutto il lavoro per il dialogo che si viene svolgendo».

Lei ha informazioni di primamano sull'avvenimento?

«Sappiamo ancora poco, le indagini sono ai primi passi. Abbiamo capito che le persone che sono state uccise facevano parte di un gruppo a matrice protestante, che va facendo diffusione della Bibbia per le strade in mezzo alla popolazione musulmana e questo irrita fortemente i nazionalisti e fondamentalisti turchi».

Lei sembra parlare con qualche riserva del gruppo che è stato attaccato...

«Noi cattolici ovviamente siamo solidali con chi è vittima della violenza e anche in questo caso lo siamo. Ma a quanto pare si tratta di uno di quei gruppi che svolgono una propaganda biblica in ambienti dove non ci sono cristiani, offrendo i Vangeli ai musulmani e provocando la loro reazione. Ed ecco che i gruppi fanatici reagiscono dicendo: "Che andate facendo? Perché cercate conversioni tra noi, noi crediamo in Allah, andate piuttosto dai pagani a fare il vostro proselitismo"».

Voi cattolici non vi comportate così?

«No, assolutamente! Noi come anche gli ortodossi e le Chiese protestanti storiche non andiamo in mezzo ai musulmani a svolgere attività di propaganda, ma lavoriamo con la piccola minoranza cristiana e dagli altri ci facciamo conoscere con le scuole e i centri caritativi, non con le uscite per la strada».

Lei ritiene che ci vorrebbe un atteggiamento più discreto anche da parte dei gruppi evangelici...

«Ci vorrebbe molta più prudenza. Occorre conoscere la sensibilità e l'orgoglio storico del popolo turco. È fondamentale il rispetto dei sentimenti».

Come fa lei a dire che la violenza degli estremisti non è condivisa dal popolo?

«Ne abbiamo continue testimonianze. Lo abbiamo visto anche nel caso dei genitori dell'attentatore di don Santoro, che hanno voluto salutare il cardinale Ruini quando è venuto in Turchia nell'anniversario della morte di quel sacerdote».

Che risultato ha dato la visita del Papa?

«Veramente ottimo. Prima della sua venuta il grido degli estremisti era molto più forte. Egli con i suoi gesti ha conquistato molti cuori, in particolare facendo visita nella sua residenza al presidente per gli Affari religiosi e fermandosi in raccoglimento in direzione della Mecca nella Moschea blu di Istanbul. Quando abbiamo fatto visita al Mufti di Istanbul per portargli le foto della visita, ci ha detto che la venuta di Benedetto XVI aveva aiutato a "dimenticare il passato" — cioè le incomprensioni venute dopo la lectio di Ratisbona — e aveva aperto la possibilità di una "nuova collaborazione"».

Il Corriere della sera, 19 aprile 2007


Chiusa una redazione, sospeso dall'ordine dei giornalisti
Telepace, due mesi di stop al direttore don Todeschini

ROMA — Non era mai successo prima. Un sacerdote italiano direttore di una televisione è stato sospeso dall'Ordine dei giornalisti per violazione dell'etica professionale. Monsignor Guido Todeschini, che guida da anni l'emittente legata al Vaticano Telepace, volto storico e apprezzato dal pubblico televisivo della Santa Sede, per due mesi dovrà astenersi dal dirigere il lavoro della sua emittente in seguito a una sanzione disciplinare decisa dall'Ordine dei giornalisti del Lazio.
Che cosa farà la tv, visto che temporaneamente Todeschini non potrà «firmare» il palinsesto? Dovrà sospendere le trasmissioni? O ci sarà qualche altro giornalista che lo sostituirà negli obblighi che un direttore ha in base alla legge sulla stampa? E Todeschini, potrà partecipare come «inviato» al seguito del Papa nel prossimo viaggio in Brasile dal 9 al 14 maggio? Lui, il monsignore, afferma che su quel volo ci sarà. È «l'unica cosa certa», dice. Per il resto non commenta la decisione dell'Ordine, che non gli sarebbe stata ancora notificata («Non ne so niente»).
Ma che la sanzione ci sia è un fatto certo, perché l'Ordine ha pubblicato sul suo sito internet questo comunicato: «Il consiglio ha esaminato l'esposto dei giornalisti di Telepace nei confronti del direttore Monsignor Guido Todeschini. Dopo aver ascoltato a lungo sia i giornalisti interessati che il direttore dell'emittente, il Consiglio ha deciso di comminare una sanzione disciplinare al direttore Todeschini». Che, secondo indiscrezioni, sarebbe appunto la sospensione di due mesi. Nessun altro commento vuole fare in proposito il Presidente dell'Ordine del Lazio, Bruno Tucci. Anche i giornalisti di Telepace, a partire dal più combattivo, Piero Schiavazzi, attendono di vedere cosa avverrà.
Don Todeschini, è accusato di aver sciolto arbitrariamente la redazione romana dell'emittente, dopo che i giornalisti avevano rivendicato il rispetto dei diritti contrattuali e sindacali. La vicenda di Telepace si trascina ormai da anni, ma è precipitata da quando Todeschini ha deciso di chiudere la redazione romana licenziando quattro giornalisti, dopo che un'ispezione del ministero del Lavoro e dell'Istituto di previdenza dei giornalisti aveva accertato un'evasione di 70 mila euro di contributi, comminando una sanzione pecuniaria di 20 mila euro. In seguito erano stati presentati all'Ordine cinque esposti contro il direttore. Del caso si sono occupati anche Camera e Senato.

Il Corriere della sera, 19 aprile 2007


Il Consiglio d’Europa: «Siamo costernati»

di Redazione

Bruxelles. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis, si è dichiarato «scioccato» dalla notizia dell’attacco avvenuto a Malatya, nella parte centro-orientale della Turchia, contro una casa editrice specializzata in pubblicazioni cristiane, costato la vita a tre persone. «Sono inorridito da questo crimine e provo nient’altro che disprezzo per i responsabili. Confido che le autorità turche faranno di tutto per assicurare alla giustizia le persone responsabili di questo delitto», afferma Davis in una nota. Una delle tre vittime è un cittadino tedesco e il ministro degli Esteri di Berlino, Frank Walter Steinmeier, ha espresso l’augurio che le autorità turche stabiliscano con chiarezza le circostanze che hanno portato all’uccisione dei tre e che arrestino al più presto gli assassini.

Il Giornale, 19 aprile 2007



Il giallo in una “velina” del Vaticano

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO
Il «caso» Pio XII potrebbe essere arrivato a una svolta clamorosa: un giovane studioso, Sandro Barbagallo, dichiara di aver visto con i suoi occhi la prova dell’impegno di papa Pacelli a favore degli ebrei perseguitati dai nazisti, sotto forma di una direttiva vaticana.
«Quella “direttiva” - ci ha detto - proveniva dalla Segreteria di Stato ed era una semplice “velina”, in cui si raccomandava, per volere di Pio XII, di prestare aiuto, assistenza e rifugio, secondo le proprie possibilità, a quanti più ebrei fosse possibile». Barbagallo l’ha vista perché è in possesso di un monsignore, particolarmente devoto alla memoria di Pio XII, che l’ha ricevuta molto tempo fa da una suora di un’ordine presente a Roma. Il giovane studioso, che conosce bene il modo in cui sono organizzati gli archivi della Segreteria di Stato della Santa Sede, è sicuro che il cardinale Tarcisio Bertone, che ha accennato alla «circolare» en passant due giorni fa, ne debba avere preso visione. «È impossibile che in archivio non ci sia l’originale. Tutto ciò che c’è “fuori” è in originale “dentro”. Questo vale per le Bolle del Cinquecento come per i Brevi di oggi... Se il cardinal Bertone si espone con una data, lo fa perché ha delle certezze».
In realtà, di queste circolari che davano disposizioni affinché gli ebrei fossero salvati e aiutati, si aveva già avuto notizia; ma non si è mai potuto disporre di un documento scritto. Un sacerdote di Assisi, don Aldo Brunacci, scomparso pochi mesi fa, ha dichiarato più volte di avere visto nelle mani dell’allora vescovo di Assisi, monsignor Nicolini, una circolare del Vaticano che chiedeva a nome del Papa di dare assistenza alle famiglie ebraiche, datata 16 settembre 1943. Più di recente, la rivista Trenta giorni ha pubblicato pagine del diario di un monastero di clausura femminile di Roma. L’anonima redattrice, una suora agostiniana del Monastero dei Santi Quattro Coronati, parla esplicitamente di un «ordine» di papa Pacelli: «In queste dolorose situazioni il Santo Padre vuol salvare i suoi figli, anche gli ebrei, e ordina che nei monasteri si dia ospitalità a questi perseguitati. Anche le clausure debbono aderire al desiderio del Sommo Pontefice e, col giorno 4 novembre, noi ospitiamo fino al 6 giugno successivo le persone qui elencate...».
Si attende a questo punto che la Santa Sede faccia seguito alle dichiarazioni del Segretario di Stato con una rivelazione che potrebbe modificare il clima dei rapporti fra Vaticano e Israele.

La Stampa, 19 aprile 2007


Ebrei, c’è una velina che discolpa Pio XII

ARRIGO LEVI

E’ davvero singolare, quasi stupefacente, che la rivelazione dell’esistenza di una «direttiva» di Pio XII che invitava il clero cattolico «ad ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, ad aprire gli istituti o anche le catacombe», sia avvenuta per un concatenamento di circostanze quasi casuali: che imporrebbero però, dopo un completo accertamento dei fatti, la riscrittura di innumerevoli testi storici – compreso quello ospitato al «Yad Vashem» di Gerusalemme – che giudicavano colpevole e ingiustificabile il silenzio del Papa di fronte alla Shoah.

Nel volume I Giusti d’Italia, che raccoglie le storie dei 400 e più italiani non ebrei insigniti del titolo di «Giusti tra le Nazioni» (è un libro che vorremmo diventasse testo di lettura obbligatoria in tutte le scuole italiane: ogni storia, scelta a caso, apre l’animo a una incredibile commozione, ridà fiducia nell’umanità), la più importante studiosa italiana dell’argomento, Liliana Picciotto della Fondazione Cdec di Milano, scriveva, a proposito dell’aiuto prestato dagli ecclesiastici agli ebrei perseguitati: «La carità cristiana fu dispiegata durante la guerra in maniera non specifica nei confronti degli ebrei, ma sicuramente in maniera speciale, per motivi di quantità e di particolare allarme per le loro vite. Il rifugio nei conventi e nelle case religiose, l’aiuto dei parroci nei piccoli centri, la disponibilità e il soccorso prestati da esponenti o semplici iscritti ad Azione Cattolica fu di tali proporzioni da assumere un aspetto corale, significativo sul piano ideale ma anche sul piano semplicemente dei rapporti affettivi tra le persone coinvolte. Non pensiamo che per questa opera fosse necessaria una specifica direttiva papale».
Effettivamente, la direttiva non era necessaria. L’aiuto fu dato, in innumerevoli casi, spontaneamente, da persone che certo non rispondevano a una «direttiva papale». Ma, a quanto pare, la direttiva ci fu. Solo che la Santa Sede non l’aveva finora mai resa nota. Lo ha fatto soltanto ieri, con una brevissima dichiarazione del Segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, e a questo si è giunti quasi per caso. Un giovane, apprezzato studioso italiano di storia dell’arte, Sandro Barbagallo, a suo tempo diplomato in archivistica alla Scuola dell’Archivio segreto vaticano (col diploma n. 1881; la Scuola esiste, fra l’altro, dal 1881), ascoltando due giorni fa un dibattito radio in cui si discuteva su Pio XII, e la disputa fra lo Yad Vashem e il nunzio papale a Gerusalemme, chiede la parola e dice: «Io ho una velina di una direttiva papale, inviata a tutti gli istituti religiosi, l’ho vista personalmente» (anche se non negli Archivi segreti vaticani).
È stato ascoltato, e vivamente incitato da chi scrive a dire qualcosa di più. Ha consultato un’alta personalità in Vaticano. Il risultato è stato una notizia di 17 righe, titolo a una, apparsa ieri su un solo giornale italiano, che citava la frase sopra riferita del cardinale Bertone, e indicava la data della direttiva, anzi della «circolare»: il 25 ottobre 1943. Attenti alle date: la retata del ghetto di Roma avviene il 16 ottobre. Vennero arrestati, e deportati in Germania, 1023 ebrei. Morirono quasi tutti ad Auschwitz. In tutta Italia vivevano allora circa 32.300 ebrei. Ne furono deportati 6806, identificati; circa 1000 non identificati. Di nuovo, morirono quasi tutti nei campi di sterminio; 322 furono uccisi in Italia prima della deportazione. Gli oltre ventimila ebrei italiani (e non solo italiani) sopravvissuti dovettero la salvezza a uno stuolo immenso di «Giusti»: della maggior parte di loro non conosceremo mai il nome.
Il testo dello Yad Vashem (fondato, occorre dirlo, su tutta la documentazione finora resa nota; allo Yad Vashem viene peraltro reso un generoso riconoscimento ai «Giusti» italiani, molti di loro religiosi, alcuni dei quali pagarono con la vita la loro generosità), dopo avere criticato il Papa per la mancanza di reazioni alle persecuzioni naziste degli ebrei, si concludeva con le parole: «Il suo silenzio e l’assenza di direttive costrinse i sacerdoti in Europa a decidere ciascuno per suo conto su come reagire». Senza voler rimettere in discussione il silenzio pubblico di Pio XII (il silenzio ci fu), e le sue motivazioni, si deve ora registrare l’esistenza, a quanto sembra, di una direttiva ancorché riservata. In Vaticano, chi ricorda quei giorni fa presente che si riteneva possibile, qualora ci fosse stata una pubblica condanna papale dell’arresto e deportazione degli ebrei, che i nazisti occupassero la Città del Vaticano. E naturalmente, non sarebbero stati più rispettati i luoghi di rifugio religiosi di ebrei, in Italia o altrove. È noto che la stessa Città del Vaticano accoglieva in quei giorni rifugiati ebrei (in almeno un caso, che riguardava persona di famiglia, ne ebbi testimonianza diretta), così come rifugiati politici. Citiamo una prefazione di Andrea Riccardi, storico di grande prestigio, a un volume di Alessia Falifigli intitolato Salvati nei conventi, in cui si dice fra l’altro: «Il 25 ottobre del ’43 la Segreteria di Stato invia un cartello, da me ritrovato negli archivi del Vicariato di Roma, scritto in italiano e in tedesco, sormontato dalle Chiavi Pontificie, in cui si legge: “Questo edificio serve a scopi religiosi ed è alle dirette dipendenze dello Stato della Città del Vaticano. Sono interdette qualsiasi perquisizione e requisizione”».
Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un «puzzle» di cui mancano alcuni pezzi. Gli storici giudicheranno, in attesa che la Santa Sede renda nota ufficialmente la «direttiva», il suo testo e il modo in cui venne diffusa. Una più ampia informazione ci sembra oramai indispensabile. Io preferisco invitare il lettore all’acquisto e alla lettura del volume I Giusti d’Italia, pubblicato da Mondadori nel gennaio dello scorso anno, aperto da un messaggio del Presidente Ciampi e con una prefazione dell’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini.

La Stampa, 19 aprile 2007

Vedi anche:

Rassegna stampa del 16 aprile 2007

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