23 settembre 2008

Joseph Ratzinger, il professore che divenne Papa (un brano tratto dal libro di Gianni Valente "Ratzinger professore")


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NOVITÀ EDITORIALI

JOSEPH RATZINGER: GLI ANNI DELL INSEGNAMENTO

IL PROFESSORE CHE DIVENNE PAPA

In un libro pubblicato dalla San Paolo, attingendo ai ricordi di colleghi e alunni, Gianni Valente ricostruisce le tappe della carriera accademica di Benedetto XVI.

«Ormai lo dicono tutti: Benedetto XVI è il Papa professore. Lui stesso sembra suggerirlo in tanti modi». Partendo da questa considerazione, e attingendo al ricordo dei colleghi e degli allievi del "professor" Ratzinger, Gianni Valente racconta nel libro Ratzinger professore (San Paolo, pagine 208, euro 17) gli anni (1946-1977) dello studio e dell’insegnamento che hanno preceduto la nomina del cardinale tedesco prima ad arcivescovo di Monaco e Frisinga (1977), quindi a prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (1981) e, infine (il 19 aprile 2005), l’elezione a Papa.

Di seguito, pubblichiamo uno stralcio del capitolo del libro di Valente, intitolato "Tubinga. Gli anni difficili"

a cura di Maurizio De Paoli

Joseph Ratzinger nel 1966 non ha ancora quarant’anni, ma i capelli sono già incanutiti e la fama di enfant prodige della teologia tedesca è stata ormai consacrata dall’intensa partecipazione all’avventura conciliare. Il Concilio è appena alle spalle, e dai primi indizi si cerca di capire come si mettono le cose, come l’onda d’urto dell’evento conciliare s’incanalerà nelle forme e nei ritmi della vita della Chiesa. Il 25 luglio, a Bamberg, il teologo bavarese è chiamato a parlare di tutto questo al Katholikentag, periodico raduno dei cattolici tedeschi.

Ratzinger parte dalla presa d’atto che, dopo il Concilio, «regna un certo disagio, un’atmosfera di freddezza e anche di delusione quale segue solitamente i momenti di gioia e di festa, quando il mondo sembrò di colpo cambiato, quando la grande speranza del totalmente diverso e nuovo si era affacciata per un attimo sul grigiore quotidiano, infrangendo pesanti consuetudini».

Il teologo bavarese non fa ritrattazioni e non ostenta pentimenti: proprio le aspettative riposte nel rinnovamento conciliare gli forniscono i criteri per giudicarne i primi effetti. Ratzinger si attendeva che il Concilio rendesse più facile confessare davanti al mondo la fede e la speranza cristiane, e, invece, sembra farsi avanti una specie di impulso all’autoliquidazione. «La fede cristiana», spiega, «è per l’uomo di tutti i tempi uno scandalo, lo scandalo che l’Inafferrabile si sia fatto constatabile nell’uomo Gesù». Per questo, «un orientamento della Chiesa al mondo, che dovesse rappresentare un suo allontanamento dalla croce, non porterebbe a un rinnovamento della Chiesa, ma alla sua fine».

La riforma della liturgia

È sul terreno liturgico che si può misurare il primo, più esteso impatto del rinnovamento conciliare nel vissuto di fede del popolo cristiano. Anche su questo aspetto, nel suo intervento di Bamberg, Ratzinger non teorizza alcun dietro front rispetto alla strada indicata dal Concilio. Sostiene, addirittura, che «nessuno dimostra oggi con tanta efficacia, quanto i suoi oppositori, la necessità e il buon diritto della riforma liturgica».
Citando san Paolo, definisce come legge fondamentale della liturgia il fatto che la lingua liturgica sia comprensibile per i fedeli che partecipano ai riti. Ma nel cantiere aperto dell’attuazione della riforma liturgica scorge subito «un affaccendarsi fine a sé stesso», con liturgisti di professione che «danno vita a un nuovo ritualismo di forme ricche di inventiva», con l’effetto di occultare la realtà dei misteri celebrati più di quanto non facessero i vecchi rituali barocchi. Una strategia che gli appare segnata da rigidezze ideologiche, unilateralismi e integralismi di nuova fattura.
«È proprio necessario», si chiede tra l’altro Ratzinger, «che la Messa sia celebrata versus populum? È poi tanto importante poter guardare in faccia il sacerdote, o non è anche spesso salutare pensare che anch’egli è un cristiano con gli altri e ha ogni buon motivo di rivolgersi a Dio insieme a loro e per dire con loro "Padre nostro"?».

Davanti alle divisioni e ai «piccoli sospetti», davanti alle inevitabili difficoltà della fase postconciliare, l’unico atteggiamento consono a chi davvero prova riconoscenza per l’evento conciliare è, secondo Ratzinger, la pazienza, «forma quotidiana dell’amore», mentre occorre guardarsi dal «pericoloso, nuovo trionfalismo nel quale cadono spesso proprio i denunciatori del trionfalismo passato. Fino a quando la Chiesa è pellegrina sulla terra, non ha diritto di gloriarsi di sé stessa. Questo nuovo modo di gloriarsi potrebbe diventare più insidioso di tiare e sedie gestatorie che, comunque, sono ormai motivo più di sorriso, che di orgoglio».

Intanto, proprio nel 1966 il professore bavarese ha ricevuto la vocatio (chiamata) a entrare nel corpo docente della facoltà di Teologia cattolica di Tubinga. Lui insegnava Teologia dogmatica a Münster solo da tre anni, e, dopo il Concilio, tutti lo consideravano la "star" della facoltà westfalica. Ma per ogni teologo Tubinga esercita un richiamo particolare...
La forza dell’attrazione di Tubinga non nasce solo dalle seduzioni del passato. Dal 1960 lì insegna Hans Kung: Ratzinger e il collega svizzero si sono conosciuti nel 1957. Kung era assistente di Teologia dogmatica a Münster. Il gentile e riservato professore bavarese e l’irruento e polemico collega elvetico si sono incontrati di nuovo al Concilio. Nel frenetico succedersi di strategie e iniziative, messe in campo dalla "tribù" dei teologi conciliari, il manovriero Kung ha sempre tenuto presente il suo collega di Münster. Il 22 novembre 1962, anche Ratzinger è invitato da Kung a pranzo alla trattoria romana "Da Ernesto", in piazza Santi Apostoli, dove, insieme con gli altri teologi (Karl Rahner, Edward Schillebeeckx e Jean Danielou) e all’editore olandese Paul Brand, prende forma l’idea di una rivista teologica internazionale, che rilanci tra il grande pubblico i temi e le istanze conciliari.
Sia Kung, sia Ratzinger, a dire il vero, sanno di pensarla in maniera differente su come la stagione conciliare debba rifluire nel grande fiume della vita ordinaria della Chiesa. Ma allora, come spiega Ratzinger nella sua autobiografia, «consideravamo ciò come legittima differenza di posizioni teologiche», che «non avrebbe intaccato il nostro consenso di fondo».
Oltre che per questioni teologiche, Ratzinger e Kung hanno avuto contatti anche riguardo a vicende più pratiche, connesse alla loro attività accademica. Nel corso del 1963, Kung ha rinunciato a un’offerta di ingaggio dell’Università di Münster, ma ha suggerito ai professori della facoltà teologica westfalica di arruolare al suo posto il giovane teologo Walter Kasper (oggi cardinale e, dal 2001, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ndr). Ratzinger appoggia la candidatura: Kasper inizia a insegnare a Münster nel 1964.
A muovere i fili, perché la facoltà tubinghese inviasse la vocatio al professor Ratzinger, è stato proprio Kung, supportato dal collega Max Seckler, che a Tubinga tiene a quei tempi la cattedra di Teologia fondamentale. «In questo periodo, ci fu un turnover generazionale con il pensionamento di diversi professori anziani. Per potenziare la facoltà, alcuni spingevano per chiamare alla cattedra di Teologia dogmatica professori maturi, dal profilo consolidato. Io avevo trent’anni, Kung 35. Fummo noi due a dare battaglia per chiamare un altro giovane. E Ratzinger, allora, era l’uomo del futuro».

Aggiunge il professor Wolfgang Beinert, ex allievo di Ratzinger proprio a Tubinga: «Hans Kung forse chiamò Ratzinger proprio perché voleva che gli studenti potessero confrontarsi con un altro teologo del Concilio diverso da lui, che facesse da contrappeso alla sua teologia unilaterale. Altri professori più chiusi di loro, che nemmeno percepivano le distanze tra i due, e guardavano anche Ratzinger come fosse un pericoloso riformatore, dicevano: "Di Kung ce ne basta uno!"».

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