23 settembre 2008

Il testo integrale dell'articolo di "Civiltà Cattolica" su Pio XII (Magister)


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Ma "La Civiltà Cattolica" lo critica quand'era cardinale, per le sue deboli reazioni alle leggi razziali. Ecco l'articolo della rivista, pubblicato con l'imprimatur delle autorità vaticane


di Sandro Magister

ROMA, 23 settembre 2008 – Ricevendo giovedì scorso i rappresentanti della fondazione ebraica Pave the Way convenuti a Roma per un simposio su Pio XII, Benedetto XVI ha espresso un giudizio molto positivo sulla figura e l'opera di papa Eugenio Pacelli, in particolare su quanto egli fece "per salvare gli ebrei perseguitati dal regime nazista e fascista".

È stata questa la prima volta in cui Joseph Ratzinger, da papa, si è espresso in maniera così diretta sul suo grande e controverso predecessore. Tornerà ancora a parlare di lui il prossimo 9 ottobre, nella messa che celebrerà nel cinquantesimo anniversario della sua morte.

Il discorso di Benedetto XVI ha fatto tanto più colpo in quanto il suo giudizio sull'operato di Pio XII è coinciso con quello, altrettanto positivo, espresso dagli ebrei della Pave the Way Foundation.

Inoltre esce in questi giorni in Italia un volume di Andrea Riccardi, docente di storia della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, anch'esso molto positivo nel documentare l'azione di papa Pacelli in soccorso degli ebrei perseguitati. Il volume, di 424 pagine, edito da Laterza, ha per titolo: "L'inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma".

* * *

Lo stesso giovedì 18 settembre, però, nel quale Benedetto XVI si è espresso in termini così favorevoli su Pio XII, è uscito su "La Civiltà Cattolica" un articolo che tratteggia dello stesso Pacelli – quand'era segretario di stato di papa Pio XI – un ritratto più in chiaroscuro.
"La Civiltà Cattolica" non è una rivista qualsiasi. Per statuto, tutti i suoi articoli, prima di essere stampati, sono controllati riga per riga dalla segreteria di stato vaticana. E tale controllo è ancor più stringente da quando è segretario di stato il cardinale Tarcisio Bertone.
Ha fatto quindi una certa impressione che l'autore dell'articolo, lo storico gesuita Giovanni Sale, abbia attribuito al Pacelli del 1938 – l'anno della promulgazioni delle leggi razziali antiebraiche in Italia – una prudenza diplomatica "oggi imbarazzante da giustificare".

Per l'esattezza, così si esprime Sale in un passaggio della sua ricostruzione:

"Appare oggi imbarazzante per lo storico cattolico, soprattutto dopo le aperture del Concilio Vaticano II in tale materia, giustificare con categorie morali o religiose tale impostazione di pensiero e tal modo di procedere".

L'articolo della "Civiltà Cattolica" non critica direttamente il segretario di stato Pacelli. Ma mostra come la cautela dei diplomatici vaticani dell'epoca, nel reagire alle leggi razziali, non solo si esponga a critiche fondate, ma neppure abbia prodotto i frutti sperati.
All'opposto, l'articolo mette in evidenza la volontà di Pio XI di prendere più energicamente le difese degli ebrei e di condannare più drasticamente le leggi razziali. Pio XI, tuttavia, si trovò doppiamente imbavagliato. Le sue parole e i suoi scritti più incisivi non videro la luce sia per la censura del regime fascista, che proibì alla stampa cattolica italiana di pubblicare i discorsi del papa contro il razzismo, sia per la cautela della segreteria di stato, che impedì allo stesso "Osservatore Romano" – il giornale della Santa Sede – di stampare i testi del papa ritenuti troppo imprudenti.
A riprova di ciò, Sale ha rinvenuto numerosi documenti, sia negli archivi vaticani, sia in quelli della "Civiltà Cattolica". Ad esempio, da una memoria inedita di monsignor Domenico Tardini, all'epoca stretto collaboratore del segretario di stato Pacelli, risulta che Pio XI si irritò molto per non aver vista pubblicata su "L'Osservatore Romano", il 15 novembre 1938, una sua dura nota di protesta contro le leggi razziali, indirizzata al re d'Italia Vittorio Emanuele III, con la risposta del re. Al posto dei due documenti c'era solo uno sbiadito articolo che diceva poco o nulla, E nemmeno riuscì il papa, qualche giorno dopo, a far stampare su "L'Osservatore" un testo da lui dettato che cercava di ridar voce alla sostanza della sua protesta. In entrambi i casi, fu Pacelli a bloccare la stampa dei testi papali sul giornale della Santa Sede.
Di questo e di altri comportamenti delle autorità vaticane di quel periodo, Sale darà conto in altri articoli che ha in programma di pubblicare su "La Civiltà Cattolica", nel settantesimo anniversario delle leggi antiebraiche del 1938.
Ma ecco qui di seguito i passaggi principali dell'articolo uscito sull'ultimo numero dell'autorevole rivista, datato 20 settembre 2008:

I primi provvedimenti antiebraici e la Dichiarazione del Gran Consiglio del Fascismo

di Giovanni Sale S.I.

[...] A volte si dice che la legislazione antiebraica adottata in Italia a partire dal settembre 1938 fu, rispetto a quella in vigore in altri Paesi totalitari, più blanda, forse più umana. Si tratta di un mito da sfatare. Anzi, alcune disposizioni al momento in cui furono emanate dal Governo fascista erano più severe e persecutorie di quelle vigenti nella Germania nazista: ad esempio, non esisteva in quel tempo in Germania una norma sull’espulsione generalizzata degli ebrei stranieri; inoltre, l’espulsione totale degli studenti ebrei dalle scuole pubbliche fu decisa dal Governo di Berlino due mesi dopo la sua entrata in vigore in Italia e adottando il metodo della gradualità nella sua esecuzione. [...]

La legislazione antisemita, in particolare quella sulla scuola, fu accolta dalla maggioranza degli italiani, in particolare dai cattolici, con vivo rincrescimento e a volte con rabbia; furono molte le lettere inviate in Vaticano da privati o da gruppi di persone e associazioni (anche non israelitiche), che invitavano le autorità ecclesiastiche e, in particolare, il Papa a intervenire presso il Duce in difesa degli "sventurati ebrei". [...]

Il giorno successivo all’adozione del decreto-legge sulla scuola, il 6 settembre 1938, Pio XI pronunciò un memorabile discorso contro il razzismo e contro l’antisemitismo: era la prima volta che ciò accadeva in modo così esplicito e diretto. Purtroppo esso non fu divulgato in Italia – infatti il 5 agosto il ministro Alfieri aveva dato disposizione ai prefetti di vietare che i discorsi del Papa contro il razzismo fossero pubblicati da riviste e giornali cattolici – e ciò avvantaggiò molto la causa razzista e diede l’impressione che il Papa, per motivi politici, non prendesse posizione su una materia così grave. Gran parte degli intellettuali cattolici, tra cui anche Dossetti, ne ebbero notizia leggendo le riviste cattoliche di oltralpe.

Il celebre discorso fu tenuto a Castel Gandolfo, dove il Papa si trovava da tempo, davanti a un gruppo di pellegrini belgi, molti dei quali lavoravano nell’ambito delle comunicazioni. Il testo integrale, pubblicato dalla "Documentation Catholique", fu stenografato da uno dei presenti, mentre il Papa parlava. Il quotidiano vaticano, "L’Osservatore Romano", pubblicò il testo omettendo la parte riguardante gli ebrei, mentre la "cronaca contemporanea" della "Civiltà Cattolica" non ne fece menzione. Le parole del Papa sono riportate dalla rivista cattolica belga in modo abbastanza colorito: "A questo punto il Papa – è scritto – non riuscì a trattenere la sua emozione… ed è piangendo che egli citò i passi di Paolo che mettono in luce la nostra discendenza spirituale da Abramo [...]. L’antisemitismo non è compatibile con il sublime pensiero e la realtà evocata in questo testo. L’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare [...]. Non è lecito che i cristiani prendano parte all’antisemitismo. Noi riconosciamo che ognuno ha il diritto all’autodifesa e che può intraprendere le azioni necessarie per salvaguardare gli interessi legittimi. Ma l’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti". Le parole di condanna dell’antisemitismo pronunciate con voce commossa dal Papa erano forti e chiare.

Su questa materia la Segreteria di Stato assunse un atteggiamento piuttosto prudente, pensando che in tal modo si potesse ottenere qualcosa di concreto a vantaggio degli ebrei, in particolare di quelli convertiti al cattolicesimo. Il p. P. Tacchi Venturi, fiduciario del Papa presso Mussolini, fu incaricato di trattare la delicata questione degli ebrei presso le autorità governative. Una Nota della Segreteria di Stato dell’8 settembre 1938 suggeriva al gesuita di attirare l’attenzione dell’autorità governativa soprattutto sugli ebrei battezzati e convertiti al cattolicesimo: "Non sarebbe equo – si chiedeva l’estensore – che, indipendentemente dall’origine, gli ebrei convertiti che hanno contratto in precedenza un matrimonio misto ai sensi del diritto canonico […] fossero considerati cattolici e non già sempre e comunque ebrei sol perché tali erano i loro genitori?". Vale a dire, si chiedeva al Governo fascista di utilizzare come criterio discriminatorio non il dato biologico-razziale, ma quello religioso, cioè l’appartenenza a una determinata fede religiosa, in questo caso quella giudaica.

Appare oggi imbarazzante per lo storico cattolico, soprattutto dopo le aperture del Concilio Vaticano II in tale materia, giustificare con categorie morali o religiose tale impostazione di pensiero e tal modo di procedere. Compito dello storico è però quello di ricostruire, per quanto è possibile oggettivamente, la vicenda storica, cercando di comprendere la mentalità e la cultura dei soggetti interessati, senza apriorismi di carattere ideologico. Secondo la cultura cattolica del tempo, anche se non tutti erano d’accordo con tale principio, sembrava che compito della Chiesa fosse quello di proteggere innanzitutto i propri fedeli, senza però in questo venir meno al senso di giustizia e di carità dovuti a tutti gli esseri umani.

Alla luce di tale principio si capiscono meglio i successivi interventi dell’autorità ecclesiastica in questa materia. L’attività svolta dal p. Tacchi Venturi a favore degli ebrei non ebbe, come è noto, grande fortuna, anche perché Mussolini era fortemente determinato a portare avanti la sua politica razziale e, in questo settore, non voleva essere secondo all’alleato tedesco. In un’udienza del 9 settembre, cioè dopo i primi decreti-legge antiebraici, il Papa disse esplicitamente al gesuita di trasmettere a Mussolini il seguente messaggio: "Il Santo Padre come italiano si rattrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano, per aprire la porta o la finestra a un’ondata di antisemitismo tedesco". Due giorni prima, il 7 settembre, il p. Tacchi Venturi aveva comunicato al Duce che "il Santo Padre per notizie e informazioni purtroppo attendibili è molto preoccupato che questo aspetto o parvenza di antisemitismo che si dà alle disposizioni prese in Italia contro gli ebrei, non abbia a provocare da parte degli ebrei di tutto il mondo delle rappresaglie forse non insensibili all’Italia". [...]

* * *

Fatto sta che, a partire dalla pubblicazione del "Manifesto della razza", i rapporti tra il Governo italiano e la Santa Sede, o meglio tra Mussolini e Pio XI andarono gradatamente deteriorandosi, tanto che il Duce disse in privato che quel Papa rappresentava una rovina per l’Italia e per la Chiesa. La stampa internazionale, da parte sua, amplificò in modo caricaturale tale antagonismo, fino a ipotizzare un possibile abbandono della Città Eterna e dell’Italia da parte del Papa: "A seguito del recente conflitto di idee – scriveva alla Segreteria di Stato il Nunzio a Parigi, mons. V. Valeri – che si è manifestato tra le autorità del regime fascista italiano e la Santa Sede a proposito del razzismo, alcuni organi di stampa francese, la quale ha seguito largamente da vicino l’episodio, si sono spinti sino a prevedere nientemeno la possibilità futura di un esilio del Papato da Roma, e, più frequentemente, la nomina di un pontefice non italiano". Tale fatto, riportato anche dal quotidiano cattolico parigino "La Croix", dà la misura della serietà del conflitto esistente tra il Governo fascista e la Santa Sede a motivo della questione razziale e della legislazione antiebraica, universalmente condannata dai cattolici.

Per motivi prudenziali la Santa Sede però organizzò il suo attacco contro la nuova legislazione discriminatoria non facendo riferimento a motivazioni di ordine ideale, fondate sul diritto naturale – come, ad esempio, il diritto di tutti gli uomini a non essere discriminati per motivi di razza o di religione, allo stesso modo in cui in diverse occasioni aveva fatto Pio XI –, ma facendo leva sul proprio armamentario giuridico, in particolare il diritto canonico e il Concordato del 1929, per difendere innanzitutto il diritto degli ebrei cattolici, senza pregiudicare quello degli altri. Che cosa si ottenne seguendo tale indirizzo?

Molto poco, anche se la Santa Sede sperava di ottenere di più. Attraverso l’azione del p. Tacchi Venturi, con circolare del Ministero dell’Educazione Nazionale datata 23 ottobre 1938, si ottenne che i bambini di razza ebraica, battezzati, potessero frequentare scuole private cattoliche, anche parificate. "Ove si trattasse di ebrei non battezzati – è detto, però, in una Nota vaticana – il rev. Padre Tacchi Venturi ha rilevato che, a quanto egli ricorda, le scuole cattoliche non usavano in passato, per evidenti ragioni religiose e morali, ammettere alunni israeliti o comunque non battezzati. Tale norma sembra tanto più da seguirsi ora che il far diversamente potrebbe assumere l’apparenza di una opposizione alla politica del Governo". Si ottenne anche, attraverso la mediazione del gesuita, i cui uffici furono presto avvertiti con fastidio dall’autorità governativa, che alcune insegnanti ebree battezzate insegnassero negli istituti cattolici parificati. Tale disposizione era stata già concessa dal ministro Bottai per le suore insegnanti di origine ebraica. Già questa era considerata dall’autorità fascista una concessione molto particolare, in quanto intaccava il principio biologico sotteso alla legislazione.

Motivo di ulteriore attrito tra il Governo fascista e la Santa Sede furono alcune dichiarazioni rese da R. Farinacci mentre si trovava a Norimberga in occasione del congresso annuale nazista, al giornale delle SS, "Das Schwarze Korps", e pubblicate il 15 maggio, contro i frequenti discorsi di Pio XI in materia di razzismo). [...] L’intervista fu recepita in Vaticano con profondo malcontento; Pio XI ne fu personalmente colpito [...]. Il 21 settembre 1938 il Cardinale Segretario di Stato consegnava all’Ambasciatore italiano presso la Santa Sede una Nota di protesta per le frasi irrispettose e offensive, pronunciate da Farinacci, verso "l’augusta persona del Santo Padre".

Intanto in Vaticano arrivavano decine di richieste di ebrei colpiti dalle disposizioni governative, chiedendo che il Papa si adoperasse in loro favore. Dalla documentazione vaticana, ora disponibile, risulta che la Santa Sede fece il possibile, intervenendo frequentemente attraverso il proprio fiduciario presso l’autorità governativa, per andare incontro alle necessità degli ebrei, in particolare di quelli battezzati. Va ricordato, infatti, che dal punto di vista umanitario soprattutto questi ultimi avevano estremo bisogno del sostegno papale, poiché essi non beneficiavano della protezione della comunità di appartenenza, che li aveva rigettati, e neppure del sostegno concesso dalle comunità ebraiche internazionali. L’anima di tale attività a favore degli ebrei, ormai socialmente discriminati, fu il p. Tacchi Venturi, che nonostante i suoi limiti – primo fra tutti la sua propensione a comprendere e spesso ad accettare le "ragioni" del regime –, si spese con grande generosità per questa causa.

* * *

Dopo i provvedimenti governativi del 5 e del 7 settembre, la seconda tappa del cammino verso l’introduzione in Italia di una legislazione apertamente discriminatoria nei confronti dei cittadini ebrei fu costituita dalle deliberazioni adottate dal Gran Consiglio del Fascismo del 6-7 ottobre 1938, destinate a fissare i pilastri fondamentali della successiva legislazione antiebraica. [...]

La Santa Sede per il momento decise di non intervenire direttamente: si sapeva infatti che un suo intervento pubblico, oltre a esasperare l’animo di Mussolini, ormai completamente maldisposto nei confronti dell’anziano Papa, avrebbe certamente nuociuto alla causa degli ebrei, e non solo di quelli battezzati. Si decise così di aspettare le disposizioni legislative che sarebbero seguite alle Dichiarazioni del Gran Consiglio, in modo da poter intervenire concretamente per ottenere dall’autorità governativa mitigazioni alla legislazione antiebraica, che già si annunciava dura e pesante.

Siamo convinti che un intervento della Santa Sede e del Papa in quel momento contro le dichiarazioni dell’organo supremo del fascismo avrebbe innescato una lotta aperta tra il regime e il Vaticano, facendo così il gioco di chi, come Farinacci, avrebbe desiderato una sorta di regolamento di conti tra le due istituzioni, per far conoscere al mondo "chi veramente comanda in Italia". Sappiamo, inoltre, che Mussolini in quel momento era determinato a bloccare ogni manovra del Vaticano in favore degli ebrei e a contrapporsi con forza agli appelli del Papa: il problema della razza, o meglio degli ebrei, doveva essere risolto con determinazione, come in Germania aveva fatto il suo collega nazista, senza curarsi dell’opposizione delle confessioni cristiane, in particolare della Chiesa cattolica.

Perciò, la prudenza che la Santa Sede dimostrò in quel momento fu determinata dalla volontà di salvare il salvabile e, in ogni caso, di non voler contribuire a rendere più dura la legislazione antiebraica che nel frattempo si stava mettendo a punto. A questo si aggiunga che la mentalità dominante in quel momento in parte del mondo cattolico italiano, a proposito del problema ebraico, era segnata da un certo antigiudaismo, che si radicava in passate, e anche recenti, contrapposizioni di carattere religioso e politico-culturale: pensiamo che per molti non fu facile svestirsi di tale abito mentale, per passare direttamente dall’altra parte, e vedere nell’ebreo un "fratello maggiore", da amare, e, soprattutto in quel momento delicato, da aiutare.

L’unica questione che allora fu fatta presente all’autorità governativa fu quella dei "matrimoni misti" [tra cattolici ed ebrei], poiché tale materia toccava direttamente il diritto della Chiesa e il Concordato: su di essa, infatti, la Santa Sede poteva intervenire senza il timore di indispettire oltre misura l’autorità pubblica. Fu fatto notare che la disposizione del Gran Consiglio concernente tale materia immetteva nell’ordinamento giuridico italiano un nuovo impedimento assoluto alla celebrazione di matrimoni, ledendo così un diritto della Chiesa, in particolare quello di concedere dispense per disparità di culto, quando lo riteneva assolutamente necessario per la salvezza delle anime. Si chiedeva così al legislatore di non porre un divieto assoluto e generale alla celebrazione di matrimoni misti, semmai di concordare con l’autorità ecclesiastica una modalità per tenerli sotto controllo, attraverso un permesso speciale congiunto del Governo e della Santa Sede.

In ogni caso, non è vero, come a volte viene ripetuto, che la Santa Sede subì passivamente la legislazione antiebraica, o che intervenne soltanto, come nella materia dei matrimoni misti, per tutelare gli interessi specificatamente cattolici e confessionali: essa, sebbene con discrezione, cercò di preparare gli spiriti per la futura battaglia contro le nuove disposizioni emanate dal Regime.

Un documento vaticano, redatto subito dopo le dichiarazioni del Gran Consiglio, ci informa a tale riguardo sulle direttive "segrete" date dalla Segreteria di Stato. L’azione della Santa Sede, è detto nel documento, dovrebbe svolgersi secondo una duplice direzione: "Azione persuasiva sul Governo. Per mezzo di persone adatte e ornate delle opportune qualità, sarebbe bene cercare di insistere su influenti persone del Regime – e non soltanto sul capo del Governo – per far loro comprendere a quali tristi conseguenze conduce una politica razziale esagerata che non si limita a misure tendenti al rinvigorimento della stirpe, ma va all’eccesso del razzismo con provvedimenti che ledono la giustizia e i diritti della Chiesa […]. Di più far capire che in caso di dissidio colla Santa Sede lo svantaggio maggiore sarebbe per il fascismo". L’altra direzione riguarda l’azione sul clero. Innanzitutto si chiedeva di inviare in via riservata a tutti i metropoliti istruzioni speciali, da comunicare agli altri vescovi, "perché prevengano il clero di non inviare adesione alcuna alla rivista La Difesa della Razza", considerata dannosa e non conforme alla dottrina della Chiesa in tale materia.

In particolare, si raccomandava a tutto il clero italiano "che non tralasci occasione alcuna per insistere, con la dovuta prudenza si capisce, sui danni e le conseguenze di un nazionalismo e di una razzismo esasperato. Questo si potrebbe fare con speciali riunioni del clero senza dare l’impressione che si voglia fare azione contro il Governo [...]. Questo sembra necessario soprattutto nel momento presente in cui non v’è libertà di stampa e spesso anche i pochi e deboli quotidiani cattolici sono obbligati a pubblicare certe sciocchezze circa il razzismo". Si chiedeva, inoltre, che la stessa azione venisse svolta anche nei seminari maggiori, facendo attenzione però a non violare la lettera dell’accordo del 16 agosto sottoscritto dalla Santa Sede con il Governo fascista.

Come già si è detto, la Santa Sede, in quel momento, scelse di agire contro le nuove disposizioni antiebraiche con mezzi discreti e puntando sull’efficacia della propria "diplomazia domestica", opzione da molti non condivisa, ma che nell’immediato sembrava la sola possibile e anche la più efficace.
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La rivista dei gesuiti di Roma stampata con il previo controllo della segreteria di stato vaticana, su cui è uscito l'articolo di Giovanni Sale:

> La Civiltà Cattolica

Il testo integrale dell'articolo, con le note:

> I primi provvedimenti antiebraici e la Dichiarazione del Gran Consiglio del Fascismo
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Il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al simposio della Pave the Way Foundation sugli aiuti di Pio XII agli ebrei, il 18 settembre 2008:

> "Stimato Signor Krupp..."

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