23 settembre 2008

Prolusione del card. Bagnasco: parole pertinenti ai problemi (D'Agostino)


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PROLUSIONE DEL CARD. BAGNASCO: TESTO INTEGRALE

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PAROLE PERTINENTI AI PROBLEMI

ORIZZONTI LARGHI E SCELTE CONSEGUENTI

FRANCESCO D’AGOSTINO

Essenziali, pacate e come sempre profonde la parole della prolusione con la quale il cardinale Angelo Bagnasco ha i­naugurato ieri i lavori del Consiglio per­manente della Cei, che ha all’ordine del giorno questioni di non piccola rilevanza, a partire dall’avviamento di una riflessio­ne sugli orientamenti pastorali per il de­cennio 2010-2020.
Diverse cose colpiscono in questa prolu­sione. In primo luogo il forte richiamo a nuove forme di attenzione nei confronti della libertà religiosa, definita con fermez­za 'caposaldo delle libertà'. Non sono so­lo le violenze esplose contro i cristiani in In­dia in queste ultime settimane ad attivare le preoccupazioni del porporato, ma la per­cezione di come continui a diffondersi nel nostro paese l’idea che la libertà religiosa consista essenzialmente in una benevola concessione fatta dallo Stato 'ai cittadini più insistenti' e si riduca a una sorta di 'concessione', paternalisticamente ricon­ducibile al principio di tolleranza. Non è così. La libertà religiosa è il fondamento del pluralismo e della democrazia e possiede una valenza politica assoluta. Splendida la citazione di Tocqueville fatta dal Cardina­le: 'il dispotismo non ha bisogno della re­ligione, la libertà e la democrazia sì'.
Altrettanto fermi e severi i riferimenti ai più spinosi problemi sociali dell’Italia di oggi.
Sulle difficoltà in cui verte la scuola, sulle nuove urgenze educative che emer­gono nel paese, sul moltiplicarsi di episo­di di violenza spesso attribuibili a mino­renni, Bagnasco ha parole accorate. La vio­lenza, egli afferma, nasce 'dal vuoto del­l’anima' e dalla solitudine cui sono col­pevolmente abbandonati tanti giovani, ai quali la cultura dominante sembra non ab­bia più il coraggio di proporre ciò che è buono, ciò che è giusto, ciò che è vero. Sul federalismo il presidente dei vescovi non pronuncia alcun giudizio laudatorio a­prioristico, né manifesta alcuna diffiden­za preconcetta, limitandosi a rilevare la ne­cessità che eventuali riforme in tal senso non disperdano mai il senso della comu­ne appartenenza degli italiani a un solo popolo e alla sua storia. Al sistema tribu­tario è dedicato un rapido, ma incisivo ac­cenno, che insiste sull’opportunità di rifor­me che diano spazio al quoziente familia­re. Toccando infine il tema degli immigra­ti, in particolare di quelli irregolari, 'sem­pre nostri fratelli', non sfugge al cardina­le quanto sia vistosa la sfida che essi por­tano alle capacità di accoglienza del no­stro paese. A questa sfida va data una ri­sposta in una duplice prospettiva, quella di guadagnarli alla legalità e di operare per una loro un’equilibrata e progressiva inte­grazione sociale, che non dimentichi le i­stanze di ricongiunzione familiare.
Le ultime parole della prolusione Bagnasco le dedica al caso di Eluana Englaro e sono probabilmente quelle - se possibile - più calibrate, dato il rilievo politico e mediati­co di questa tristissima vicenda.

Egli pren­de atto che le recenti sentenze della magi­stratura, volte a rendere lecita l’interruzio­ne del nutrimento vitale per Eluana, pos­sono aprire la strada a inaccettabili forme di eutanasia mascherata e di abbandono terapeutico. L’intervento del Parlamento quindi si impone: una legge sul fine vita dovrebbe riconoscere definitivamente che i trattamenti di sostegno vitale sono 'qua­litativamente diversi dalle terapie' e non possono essere catalogati (e conseguente­mente sospesi) come forme di accani­mento terapeutico. E soprattutto dovreb­be ribadire, contestualmente a un ben ca­librato riconoscimento delle condizioni di validità legale di dichiarazioni anticipate di trattamento, che il nostro ordinamento è fondato sul principio del favor vitae e ri­conosce la vita come principio inviolabile e indisponibile.

A fondamento di queste considerazioni c’è un principio di valore assoluto: la dignità della vita umana non viene mai meno, nemmeno e soprattutto nelle persone menomate e inferme. È que­sto il cuore del Vangelo della vita, ma è an­che nello stesso tempo una consapevolez­za iscritta nel nostro stesso cuore. Mai, co­me nella difesa della vita malata, annuncio cristiano e verità dell’uomo si manifestano nell’essenziale come una cosa sola.

© Copyright Avvenire, 23 settembre 2008

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