27 ottobre 2007
Benedetto XVI, il Papa che fa paura (vero Romano?)
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Sergio Romano ieri dedicava il suo editoriale sul 'Corriere' al fenomeno dell’aumento del turismo religioso a Roma. Ci si poteva aspettare un peana al sindaco e leader Veltroni e sulle mille attrattive della capitale.
Invece Romano va subito dritto al dubbio che arrovella lui e probabilmente un po’ degli intellettuali che redigono e dei padroni che governano il giornale di via Solferino.
Com’è possibile che Papa Ratzinger 'attragga'? Un Papa, perdipiù proprio come questo, 'un dottore della chiesa, una cattedra di principi irrinunciabili e di solenni silenzi', opposto dal notista del Corriere a un Giovanni Paolo II, 'apostolo moderno'? La conclusione che tira il giornalista e storico vorrebbe essere 'tranquillizzante'.
Tranquilli, ragazzi, suggerisce l’editoriale già dal suo titolo, è la solita vecchia faccenda. La solita storia, quella che sappiamo a memoria e che ci hanno ripetuto alla nausea da almeno trecento anni: quando l’uomo ha paura si accosta a figure carismatiche e riscopre la religione. E dinanzi a questo avanzare di paure, le persone di varie categorie si affidano al carisma di uomini certi.
L’editorialista cita alcuni fenomeni che a suo dire provano questo revival religioso, accostando un po’ alla rinfusa i funerali con rito orotodosso di Eltisn alla lotta non violenta dei monaci, o il peso elettorale dei 'rinati' americani con l’osservanza del ramadam di milioni di cittadini oggi europei. E naturalmente conclude questo suo strambo elenco mettendo in cima l’integralismo musulmano (quello che ispira i kamikaze, par di capire) come la 'manifestazione più evidente e radicale' di tale revival. L’editoriale si conclude con un bizzarro appello ai laici: si preparino con altrettanto zelo e rigore a difendere i propri valori.
Il discorso di Romano è vecchio. E mi permetto di aggiungere un termine che può suonare strano accanto al nome di un così posato intellettuale come Romano: è pericoloso. Interpretare il fenomeno religioso come se fosse una specie di impulso irrazionale mosso da paure di vario genere, è ripetere una lezioncina rifritta, è banalizzare un fenomeno ben più complesso e nobile, indagato anche in questi anni da studi antropologici seri e liberi da paraocchi veteroilluministi. E banalizzare, in un momento di fenomeni complessi, è l’anticamera di possibili violenze e di maggiori torbidi.
Quando coloro che si autodefiniscono 'i laici' accettano che l’interlocutore che si definisce religioso non sia solo un fobico, o un intimorito dalla vita, allora si fanno veri passi avanti, e si scoprono un sacco di cose interessanti. Ad esempio che nell’uso veramente laico della ragione, nell’onestà laica di fronte ai fenomeni, la reale differenza non passa tra i cosiddetti laici e i religiosi, ma tra faziosi e no, tra veri laici credenti o meno, e uomini ideologici. E si scopre pure che accomunare i fenomeni religiosi presenti in modo così vario e stupefacente molto spesso non ha senso, al di là di una generica appartenenza di tutti a un livello inestirpabile della natura umana di sempre, che è la richiesta di un senso. Insomma si scopre che non tutte le fedi sono uguali, che ci sono storie, differenze, varietà mirabolanti che uno spirito laico deve saper cogliere.
Tutto questo per fortuna sta accadendo, e proprio sotto il papato di Ratzinger, il Papa che sta sfidando la mentalità di tutti, credenti in un Dio o no, all’uso autentico della ragione. Il Papa infatti sta invitando (con qualche successo) alla riscoperta di quanto un uomo veramente ragionevole e aperto alla vita sia un uomo religioso. Forse è proprio ciò che preoccupa qualcuno.
Il vecchio steccato che si prova in modo così approssimativo ad erigere o puntellare, buttando nello stesso mucchio fenomeni diversi (un po’ di laicissima capacità di analisi non guasterebbe) non tiene. A chi fa comodo puntellarlo? A chi ha buoni o cattivi argomenti? E per preparare quali evitabili scontri?
© Copyright Avvenire, 27 ottobre 2007
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5 commenti:
Si vede subito che il nostro Sergio Romano, politologo, ma in realtà tuttologo, non è credente; e come tale, non può riuscire a svelarsi ciò che lui stesso definisce quasi un mistero : “Perché un Papa come questo attrae?”. È, non a mio parere, ma nel senso logico della sua retorica domanda, una questione senza senso? Cosa vuol dire? Posso provare a immaginarlo. Io credo che Romano abbia una concezione di “papa” distorta e personalmente riduttiva, nel senso che per lui un “papa” debba obbligatoriamente essere, come lui stesso definisce Giovanni Paolo II, un “apostolo moderno”: anche qui, egli usa un altro termine ambiguo, privo di ogni significato religioso o teologico, perché egli non sa che non esistono apostoli moderni o antichi, ma esistono “Apostoli”, ciascuno con il suo bagaglio culturale, con la sua indole, con le sue preoccupazioni pastorali, che possono anche non essere obbligatoriamente condivisibili tra gli stessi apostoli. Vede, caro Romano, anche tra noi, piccole pecorelle che pascolano nella vigna del Signore, ci sono preferenze del tipo: mi piace più tale prete che l’altro, mi piace più tale vescovo che l’altro, e mi piace più tale papa che l’altro; ed è normale che si così, perché nella vigna del Signore lavorano tante persone che hanno ciascuna un modo diverso di concepire le varie problematiche. Forse lei sa che abbiamo un cervello ciascuno diverso dall’altro, per bontà del Signore che ce l’ha dato, ma ciò non impedisce ai suoi operai di condividere lo stesso lavoro, pur tra le diversità e le immancabili divergenze. Concludo ripetendo che ci sono comunque Apostoli, e certamente Benedetto XVI, non è un “papa” antico o “moderno”, ma è “solo” il Papa. Mi permetto di aggiungere che è il Papa al posto giusto e al momento giusto. Per grazia del Signore!
Ritorno proprio adesso dalla Santa Messa e ho ascoltato un’omelia lunghissima (molti farebbero meglio a non dirla, lasciando il posto alle bellissime pagine dell’odierna Parola di Dio). Il frate, probabilmente originario dall’ex-Unione Sovietica, non nuovo ad omelie un po’ “particolari”, prendendo lo spunto dalle parole del fariseo che ingiustamente giudicava il pubblicano peccatore, ha fatto, tra l’altro, questo accostamento, sintetizzando: “Anche quando si critica il governo e le loro decisioni, noi saremmo come il fariseo che giudica il pubblicano peccatore”. Premetto che non ho frainteso, ho capito benissimo, ma che significa? Che qualunque governo, comunque si comporti, anche con leggi ingiuste o contro la morale (mi viene in mente la ex “Dico”), i cattolici devono tacere anche di fronte alle iniquità dei nostri uomini politici. Io, a dire il vero, sono rimasto allibito e basta, naturalmente continuerò ad andare a messa, magari cambiando chiesa, ma penso a quanti non andranno più neanche a messa. Una mia considerazione, se volete, neanche tanto iperbolica, che mi è venuta spontanea: secondo le sue parole, anche dal sue ex paese dal qual proviene, forse i suoi connazionali dovevano tenersi Breznev! Come in Italia non si doveva criticare il fascismo, e così via… A questo punto, forse anche la Chiesa dovrebbe ridursi al silenzio e accettare passivamente anche le più ingiuste ed immorali scelte di qualsiasi governo. Forse il frate in questione ha già dimenticato la grande manifestazione a favore della famiglia, perché, a quanto ha detto, non si doveva criticare il governo per non incorrere nello stesso errore del fariseo nei confronti del pubblicano peccatore. Assurdo, assurdo, assurdo. Cara Rossella, gradirei un tuo commento a questo episodio, anche perché mi pare pertinente con le “preoccupazioni” espresse da Sergio Romano sul Corriere della Sera, chiedendosi, in pratica perché Benedetto XVI fa tanta paura. Perché ha una mente alta e un cuore ampio fino a colmare le strampalate omelie dei suoi sacerdoti. Ciao Rossella, a presto
Ciao Antonio, penso che ti riferisca a me :-)
Certo, non dobbiamo smettere di partecipare alla Santa Messa solo perche' non ci piacciono le omelie del parroco.
Io penso che non dobbiamo mai criticare il prossimo ergendoci a persone superiori e saccenti. E' giusto, pero', testimoniare la nostra fede ed opporci a provvedimenti contrari alla dottrina cattolica. In democrazia, comunque, e' la maggioranza che emanare o meno una determinata legge, ma non sempre chi ha i numeri ha ragione. Per questo dobbiamo levare la nostra voce, senza timore e senza pretendere di essere superiori agli altri.
Il Papa ci insegna a parlare con il prossimo, non ad imporci, ma ci ammonosce anche ad osare, ad essere critici ed a non omologarci.
Sì, Raffaella, scusami per aver sbagliato il tuo nome, certo, mi riferivo a te. Nel merito della questione, siamo perfettamente in sintonia. Di nuovo, ciao.
Benedetto XVI mi sembra un miracolo vivente, un incredibile insieme di dolcezza, razionalità e intuizioni geniali. Spero che Dio lo conservi con noi a lungo e lo sostenga nella sua durissima missione.
Romano, al contrario, è il classico enciclopedista moderno, che, mancando di coraggio ed efficacia speculativa, ripropone all'infinito la filosofia sincretistica del relativismo buonista; salvo una punta, che non deve mai mancare, di anticlericalismo radical chic.
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