21 marzo 2008

Il Cristianesimo non è moralismo ma dono. Così il Papa nella Messa in Cena Domini: per questo l'Eucaristia è l'atto centrale dell'essere cristiani


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Il Cristianesimo non è moralismo ma dono. Così il Papa nella Messa in Cena Domini: per questo l'Eucaristia è l'atto centrale dell'essere cristiani

Benedetto XVI, con la Messa in Cena Domini, da lui presieduta nella Basilica di San Giovanni in Laterano, ha aperto ieri pomeriggio i riti del Triduo Pasquale, culmine dell’anno liturgico. Il Cristianesimo – ha affermato il Papa nell’omelia - non è moralismo, ma dono: per questo l’atto centrale dell’essere cristiani è l’Eucaristia: la gratitudine e la gioia per la vita nuova che Cristo ci dà. Nel corso della celebrazione Benedetto XVI ha lavato i piedi a 12 sacerdoti. Durante il rito i fedeli sono stati invitati a compiere un gesto di carità da destinare all’orfanotrofio “La edad de oro” dell’Avana, a Cuba. Il servizio di Debora Donnini:

“Mediante il suo amore la Croce diventa metabasis, trasformazione dell’essere uomo nell’essere partecipe della gloria di Dio”. In questa trasformazione Cristo “coinvolge tutti noi, trascinandoci dentro la forza trasformatrice del suo amore”. L’inizio dell’omelia del Papa parte dalla riflessione sull’ora di Gesù con la quale si apre il Vangelo della Messa in Cena Domini. Nella lavanda dei piedi “Gesù depone le vesti della sua gloria, si cinge col ‘panno’ dell’umanità e si fa schiavo. Lava i piedi sporchi dei discepoli e li rende così capaci di accedere al convito divino al quale Egli li invita”. Egli ci rende puri “mediante la sua parola e il suo amore, mediante il dono di se stesso":

“Se accogliamo le parole di Gesù in atteggiamento di meditazione, di preghiera e di fede, esse sviluppano in noi la loro forza purificatrice. Giorno dopo giorno siamo come ricoperti di sporcizia multiforme, di parole vuote, di pregiudizi, di sapienza ridotta ed alterata; una molteplice semifalsità o falsità aperta s’infiltra continuamente nel nostro intimo. Tutto ciò offusca e contamina la nostra anima, ci minaccia con l’incapacità per la verità e per il bene. Se accogliamo le parole di Gesù col cuore attento, esse si rivelano veri lavaggi, purificazioni dell’anima, dell’uomo interiore”.

La lavanda che Gesù dona ai discepoli – ha sottolineato il Pontefice - è dono ma anche modello. “Il mistero di Cristo nel suo insieme, dall’incarnazione fino alla croce e alla risurrezione … diventa la forza risanatrice e santificatrice, la forza trasformatrice per gli uomini, diventa … la nostra trasformazione in una nuova forma di essere, nell’apertura a Dio”. Dono ed esempio: per questo “il cristianesimo, in rapporto col moralismo, è di più e una cosa diversa. All’inizio non sta il nostro fare, la nostra capacità morale. Cristianesimo è anzitutto dono”:

“Dio si dona a noi – non dà qualcosa, ma se stesso. E questo avviene non solo all’inizio, nel momento della nostra conversione. Egli resta continuamente Colui che dona. Sempre di nuovo ci offre i suoi doni. Sempre ci precede. Per questo l’atto centrale dell’essere cristiani è l’Eucaristia: la gratitudine per essere stati gratificati, la gioia per la vita nuova che Egli ci dà”.

Gesù – ha proseguito il Papa - parla di "un comandamento nuovo": la novità "consiste nell’amare insieme con Colui che ci ha amati per primo”:

“Il ‘comandamento nuovo’ non consiste in una norma nuova e difficile, che fino ad allora non esisteva … La cosa nuova è il dono che ci introduce nella mentalità di Cristo. Se consideriamo ciò, percepiamo quanto lontani siamo spesso con la nostra vita da questa novità del Nuovo Testamento; quanto poco diamo all’umanità l’esempio dell’amare in comunione col suo amore. Così le restiamo debitori della prova di credibilità della verità cristiana, che si dimostra nell’amore”.

I discepoli fanno difficoltà a entrare nella novità di Gesù: così Pietro in un primo momento non aveva voluto lasciarsi lavare i piedi dal Signore. Pietro aveva un concetto di Messia che “comportava un’immagine di maestà, di grandezza divina”:

“Doveva apprendere sempre di nuovo che la grandezza di Dio è diversa dalla nostra idea di grandezza; che essa consiste proprio nel discendere, nell’umiltà del servizio, nella radicalità dell’amore fino alla totale auto-spoliazione”.

Quindi l’allusione al Battesimo: “il bagno che ci purifica e non deve essere ripetuto è il Battesimo - l’essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, un fatto che cambia la nostra vita profondamente”. “Anche nella permanenza di questa nuova identità” che ci è donata con il Battesimo “abbiamo bisogno della ‘lavanda dei piedi’, della lavanda dei peccati di ogni giorno”, ovvero della confessione dei peccati. L’invito di Cristo è poi a lavarci i piedi gli uni gli altri:

“Dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri nel quotidiano servizio vicendevole dell’amore. Ma dobbiamo lavarci i piedi anche nel senso che sempre di nuovo perdoniamo gli uni agli altri. Il debito che il Signore ci ha condonato è sempre infinitamente più grande di tutti i debiti che altri possono avere nei nostri confronti”.

Il Giovedì Santo – conclude il Papa - ci esorta a “non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima. Ci esorta a purificare continuamente la nostra memoria, perdonandoci a vicenda di cuore, lavando i piedi gli uni degli altri, per poterci così recare insieme al convito di Dio”:

“Il Giovedì Santo è un giorno di gratitudine e di gioia per il grande dono dell’amore sino alla fine, che il Signore ci ha fatto. Vogliamo pregare il Signore in questa ora, affinché gratitudine e gioia diventino in noi la forza di amare insieme con il suo amore”.

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