21 marzo 2008

La Cina respinge l'appello del Papa. Ma il dialogo va avanti: contatti Vaticano-Pechino


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La Cina respinge l'appello del Papa Ma il dialogo va

La risposta di Pechino: nessuna tolleranza per i criminali Intanto la diplomazia sotterranea continua a lavorare

Alberto Bobbio

Città del Vaticano La risposta di Pechino è arrivata ieri mattina tramite il portavoce del Ministero degli esteri, Qin Gang: «Nessuna tolleranza per i criminali che devono essere puniti secondo la legge».
L'appello di Benedetto XVI per il «dialogo» e la «tolleranza» in Tibet lanciato mercoledì al termine dell'udienza generale è stato dunque seccamente respinto. Ma come sempre, quando si tratta di cose cinesi, bisogna prestare attenzione alla scena e al retroscena.

Infatti mentre Pechino condanna le parole del Papa e ribadisce la propria determinazione a stroncare la protesta in Tibet e nelle altre province cinesi, la diplomazia continua a lavorare. La Santa Sede non ha replicato alla dura reazione di Pechino, anzi l'impressione è che se l'aspettasse.

D'altra parte non si può escludere che Pechino sia stato informato dei contenuti dell'appello del Papa il giorno prima, cioè martedì. Secondo il quotidiano francese «Le Figaro» martedì in Vaticano è stata ricevuta una delegazione del governo cinese. La notizia è stata confermata anche dall'agenzia cattolica di Parigi «I-Media» e non è stata smentita dalla Sala Stampa della Santa Sede.
L'incontro è avvenuto nel bel mezzo della crisi tibetana e mentre infuriavano le polemiche sul silenzio del Papa. Ancora una volta dunque la «realpolitik» diplomatica ha mosso le sue carte strategiche: mandare comunque un segnale a Pechino, ma nello stesso non interrompere un faticoso dialogo con le autorità cinesi.

Il Papa nel suo appello inoltre non ha fatto distinzioni tra governo cinese e manifestanti, richiamando entrambi alla tolleranza e spiegando che «la violenza non risolve mai i problemi, ma li aggrava».

È significativo che il portavoce del ministero degli Esteri abbia criticato l'appello del Papa sulla tolleranza, ma non abbia respinto il richiamo al dialogo. E questo per la Santa Sede vuol dire molto.
Contro la repressione in Tibet si è levata invece, con toni molto più aspri, la condanna della diocesi cattolica di Hong Kong, guidata dal cardinale Joseph Zen, autore delle meditazioni della via Crucis di questa sera al Colosseo. In un documento, pubblicato ieri dall'agenzia dei vescovi americani «Catholic news service», la Commissione Giustizia e Pace protesta «energicamente per l'uso della forza da parte del governo cinese contro i dimostranti tibetani». Il portavoce della Commissione Or Yan Yan ha chiesto alle autorità cinesi di «interrompere ogni forma di repressione in Tibet» e di assicurare alla regione «forme di autonomia» e «il rispetto della religione e della cultura» del popolo tibetano.
Sono parole forti, che non stupiscono. La linea del cardinale Zen è sempre stata caratterizzata da una dose di maggior realismo (e minore diplomazia) nei confronti di Pechino.

Quando Benedetto XVI decise di consegnare la porpora al vescovo di Hong Kong, nonostante il suo carattere spigoloso e poco diplomatico, molti osservatori pronosticarono la fine di ogni tentativo di dialogo tra Vaticano e Cina. Ma hanno sbagliato e mai come in questi ultimi mesi i contatti si sono infittiti.

Ci sono state missioni segrete vaticane in Cina, dove esponenti della Santa Sede hanno incontrato gli alti vertici del Partito e dello Stato e vi sono state incontri riservatissimi a Roma, sia in Vaticano, sia all'ambasciata cinese in Italia.
Lo stesso portavoce del ministro degli Esteri cinese un mese fa ha confermato l'esistenza di «importanti» contatti. Due settimana fa in Vaticano si è svolto un vertice per fare il punto sulla situazione cinese al quale hanno partecipato, oltre al cardinale Zen, altri quattro vescovi cinesi, presieduto dal cardinale Bertone. Al centro della riunione c'erano i rapporti tra vescovi ufficiali e vescovi clandestini.
Negli ultimi mesi ci sono stati segnali positivi di una loro integrazione più esplicita che può aprire spiragli di maggiore libertà religiosa. Ma ci sono anche contraddizioni, poiché continuano gli arresti e alcuni vescovi sono sempre detenuti. Non è chiaro se le responsabilità siano da attribuire allo zelo delle autorità locali, oppure a ordini precisi che vengono da Pechino.
Il cardinale Zen nelle meditazioni di questa sera parla di «persecuzioni» e di «Chiesa del silenzio». Ma la parola «persecuzioni» è stata usata anche dal Papa nella lettera ai cattolici cinesi dell'anno scorso, che è stata ben accolta dai dirigenti cinesi. Probabilmente qualche reazione di Pechino è stata messa in conto dal Vaticano. Ma anche questo fa parte della dialettica tra scena e retroscena.
Sicuramente il cammino sarà lungo, sia per l'integrazione tra le comunità cattoliche in Cina, sia per le relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano. Pechino spinge in vista delle vetrina internazionale delle Olimpiadi. I diplomatici vaticani, come sempre, consigliano maggiore prudenza. Entrambi tuttavia non mollano il filo dialogo, nonostante tutto. E questo è un buon segno.

© Copyright Eco di Bergamo, 21 marzo 2008

Perfetto questo articolo di Bobbio!
Esattamente il contrario di un articolo apparso su Repubblica a firma di Rampini che dimostra come il quotidiano di De Benedetti non si rassegni all'appello di Benedetto XVI.
Vi e' stata sottratta la gallina dalle uova d'oro di polemica pasquale? Che peccato...

R.

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