10 maggio 2008

Pentecoste: il Papa presiede la Messa nella Basilica Vaticana. Intervista con mons. Ravasi (Radio Vaticana)


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Pentecoste: il Papa presiede la Messa nella Basilica Vaticana. Intervista con mons. Ravasi

Domani la Chiesa celebra la Solennità di Pentecoste. Alle ore 10.00, Benedetto XVI presiederà la Santa Messa nella Basilica Vaticana. La nostra emittente seguirà la celebrazione in diretta a partire dalle 9.50.

Il termine “pentecoste” deriva dal greco e significa, letteralmente, “cinquanta”: la Solennità di Pentecoste cade, infatti, 50 giorni dopo la Pasqua e ricorda la discesa dello Spirito Santo sui discepoli. Ma quale simbologia rappresenta questo numero? Isabella Piro lo ha chiesto a mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:


R. – E’ il simbolo profondamente biblico delle sette settimane. Il numero sette, noi sappiamo, nell’interno delle culture d’Oriente, è un numero simbolico che rappresenta pienezza. 50 giorni vogliono dire, per la tradizione giudaica, festa per eccellenza della Nuova Alleanza, cioè il nuovo dono dell’Alleanza tra Dio e Israele, non più sulle tavole di pietra del Sinai bensì sulle tavole di carne dei cuori. Per il cristianesimo, invece, diventa la fusione sempre dello Spirito nell’interno della comunità per una nuova alleanza, anch’essa, che però è suggellata ora dalla presenza del Cristo risorto nell’interno della sua comunità che è presente attraverso lo Spirito e attraverso la sua parola.

D. – Una Chiesa animata dallo spirito di Pentecoste quali caratteristiche deve avere?

R. – Deve avere almeno due caratteristiche. Da una parte è sicuramente protesa verso il suo Signore. Lo Spirito ci aiuta a comprendere di più il grande segreto di Dio. La seconda dimensione invece è quella più orizzontale: nell’interno della comunità lo Spirito è presente sia per costituire la Chiesa, sia quasi per esserne l’anima, per impedire che diventi quindi semplicemente una struttura, un’organizzazione ma sia profondamente un corpo unico vivente con il suo Signore, sia un corpo di fratelli, sia soprattutto in ascolto della Parola di Dio che fa fremere gli spiriti, che anima le coscienze, che conduce e guida l’esistenza.

D. – In un mondo globalizzato come il nostro, come rinnovare continuamente lo Spirito, anche nel mondo laico?

R. – Una prima strada è quella tipicamente ecclesiale di riuscire ancora a ritornare all’invocazione dello Spirito, alla meditazione attorno alla Parola di Dio che è alimentata dallo Spirito, ritornare alla liturgia e soprattutto esaltare alcune componenti che sono fondamentali nell’interno della liturgia per quanto riguarda lo Spirito. Pensiamo al Battesimo, per esempio, pensiamo soprattutto al Sacramento della Confermazione o Cresima che ha sicuramente quasi come emblema, lo Spirito. Un’altra strada è anche più di tipo simbolico, e quindi anche culturale ed è riuscire a trovare ancora i grandi simboli biblici che parlano dello Spirito. Io ne ricordo soltanto due tra i tanti. Il primo è quello del soffio. Il tema del soffio, del respiro vuol dire vita. Come noi dai nostri genitori abbiamo ricevuto il respiro della vita nascendo, così quando nel Battesimo e poi nella Confermazione abbiamo ricevuto il dono dello Spirito, abbiamo avuto un altro respiro, cioè un’altra vita: la vita stessa di Dio, un respiro che può essere mozzato, tagliato con il male, con il peccato. Il secondo simbolo è quello del fuoco: lo diciamo anche noi, il fuoco dell’amore. Lo Spirito è il principio dell’amore, non solo nell’interno della comunità, ma anche quello che ci invita a stendere la mano al di fuori, sollevando chi è caduto, accarezzando chi è solo, portando quel precetto fondamentale che Cristo ci ha lasciato: quello dell’amore.

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