10 maggio 2008
Quarant'anni fa nasceva il quotidiano "Avvenire": "Comunicare con l'intelligenza amica della fede" (Osservatore)
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Al Convegno nazionale dei direttori e dei collaboratori degli Uffici diocesani per le comunicazioni sociali una ricognizione storica sulla fondazione nel 1968 di "Avvenire"
Comunicare con l'intelligenza amica della fede
di Giselda Adornato
I direttori e i collaboratori degli Uffici diocesani per le comunicazioni sociali sono riuniti a San Donato Milanese, da giovedì 8 a sabato 10 maggio, per il loro convegno nazionale dal titolo "Lo sguardo quotidiano. I cattolici, l'informazione, la realtà". Molto articolato il programma, nel quale professionisti della comunicazione, studiosi, giornalisti, vescovi, riflettono su un argomento cruciale, che mette alla prova l'efficacia delle strategie comunicative dei cattolici nella società odierna e futura.
Sullo sfondo, il messaggio di Benedetto XVI per la 42 Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: "I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla".
Il convegno si svolge nel 40° anniversario della nascita del quotidiano "Avvenire", nel 20° dell'agenzia Sir e nel 10° anniversario della televisione satellitare Sat 2000 e di Radio InBlu.
La giornata introduttiva ha visto due relazioni: la prima - della quale pubblichiamo ampi stralci in questa pagina - del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), la seconda di Eliana Versace, studiosa dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, su "I 40 anni di "Avvenire". Da un'intuizione alla realtà di un quotidiano cattolico nazionale". Oggi, venerdì, è previsto l'intervento di Francesco Botturi, ordinario di Filosofia morale all'Università Cattolica di Milano, sul tema "Nel reale merita perdersi, questo il nostro cielo". Seguirà la tavola rotonda "C'è un futuro da inventare" alla quale partecipano l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, don Giorgio Zucchelli, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici, Giandomenico Boffi, ordinario di Algebra all'Università degli studi di Chieti-Pescara, Maria Luisa Di Pietro, presidente dell'associazione Scienza&Vita, Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano, e Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica all'Università degli studi di Bologna. Nel pomeriggio il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, presiederà la concelebrazione eucaristica per i convegnisti nella basilica di Sant'Ambrogio.
"Il titolo del convegno (Lo sguardo quotidiano) - si legge nel messaggio di saluto inviato dal cardinale Tettamanzi - dice l'impegno degli operatori del settore a riservare piena disponibilità al confronto per valutare, verificare, progettare, decidere e impegnarsi sul bivio lucidamente indicato da Sua Santità Benedetto XVI nel messaggio per la 42 Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: "I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla". I media infatti con le straordinarie risorse che possono utilizzare e l'influsso determinante che possono esercitare nel mondo attuale sembrano "avere talora la pretesa non solo di rappresentare la realtà, ma di determinarla grazie al potere e alla forza di suggestione" che possiedono (n. 3). Gli operatori dei media che si ispirano ai principi cristiani e che collaborano con gli uffici ecclesiastici della Comunicazione sociale - sottolinea il porporato nel messaggio - avranno nel convegno un'occasione preziosa per appassionarsi con rinnovato entusiasmo a raccogliere la sfida di inventare il futuro e di continuare a scrivere pagine quotidiane di sapienza e serietà, con spirito di servizio e nella fierezza dell'originalità di una intelligenza ispirata dalla verità e amica della fede".
La scelta di questa terra e di questo contesto ecclesiale - ha ricordato Tettamanzi - "intende anche commemorare il quarantesimo anniversario dell'inizio del quotidiano cattolico "Avvenire", che è stato voluto con grande lungimiranza e determinazione da Paolo VI, già arcivescovo di Milano e sempre attento a scrutare i segni dei tempi con sapienza e profetica penetrazione, e al quale anch'io ho avuto la gioia e l'onore di prestare la mia volonterosa collaborazione e di continuare a dedicare amore e attenzione".
Domani, sabato, la tavola rotonda avrà per tema "L'ultima copia del quotidiano" e vedrà la presenza di Vittorio Sabadin, giornalista de "La Stampa", autore del libro L'ultima copia del New York Times, incentrato sulla "minaccia" rappresentata da Internet e dai nuovi media elettronici nei confronti della carta stampata. Un tema, quello del futuro del giornale, su cui interverranno Flavio Corazza, de "La Stampa", Umberto Folena, di "Avvenire", Gabriele Romagnoli, de "La Repubblica", ed Elisabetta Soglio, del "Corriere della Sera". Il convegno si concluderà con l'intervento di don Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. Moderatori dell'assise sono monsignor Dario Edoardo Viganò, preside dell'Istituto pastorale "Redemptor hominis" della Pontificia università lateranense, Dino Boffo, direttore di "Avvenire", e Francesco Casetti, direttore del dipartimento comunicazione dell'Università Cattolica di Milano.
Poiché lo sguardo quotidiano - tema generale della manifestazione - non può prescindere dalla consapevolezza delle radici, è toccato a Eliana Versace compiere un'approfondita ricognizione storica sulla fondazione di "Avvenire". Una relazione di taglio scientifico, basata su fonti completamente inedite, interessante da molteplici punti di vista. Nel travagliato iter della fondazione del quotidiano nazionale dei cattolici italiani, si evidenziano due poli fondamentali: la figura di Paolo VI e la sua idea sul giornale; il ruolo, in qualche caso impensabile, giocato in questa vicenda da alcuni protagonisti, nell'ambito della gerarchia ecclesiastica.
È noto che "Avvenire" nasce nel dicembre 1968 dalla fusione dei quotidiani cattolici "L'Italia" di Milano e l'"Avvenire d'Italia" di Bologna, due testate entrambe non rigogliose, da un punto di vista finanziario, la seconda gravemente in crisi. Nel 1966 l'opportunità di prendere sollecitamente in esame il progetto di un quotidiano cattolico nazionale viene delineata alla Conferenza episcopale italiana da monsignor Giuseppe Bicchierai, milanese, amministratore delegato della Società lombarda che stampa "L'Italia": nome noto quale solerte collaboratore dell'arcivescovo Giovanni Battista Montini, ma che non si immaginava a lui legato dal forte rapporto di fiducia che questo studio lascia emergere. Montini - notoriamente attentissimo all'ambito della comunicazione, anche per tradizione familiare - entra nella vicenda di "Avvenire" fin dagli anni '50 quando, sostituto alla Segreteria di Stato, manifesta l'idea della necessità di un unico quotidiano dei cattolici. Dalla cattedra di Milano segue poi con grande partecipazione l'andamento de "L'Italia" e nel 1961 vi pone Giuseppe Lazzati alla direzione. Da pontefice, si trova davanti al deficit insanabile dell'antico quotidiano bolognese - la cui linea avanzata in senso sociale e politico suscita pure qualche perplessità tra i vescovi - e alla dolorosa alternativa se scioglierlo o fonderlo con quello ambrosiano; con tenacia persegue quest'ultima ipotesi. Paolo VI si rende conto, come scrive in una lettera personale a Bicchierai, che si tratta di un'"opera molto difficile"; e aggiunge: "Ma primo requisito per il suo esito felice è la buona volontà, forte, saggia e nuova, degna dell'aiuto di Dio".
Il percorso, infatti, non è agevole. La Cei dimostra qualche perplessità a più livelli; il successore di Montini all'arcidiocesi di Milano (e in precedenza presidente della società editrice de "L'Italia"), monsignor Giovanni Colombo, nutre forti dubbi sulla validità dell'ipotesi di fusione e la Conferenza episcopale lombarda è sulle medesime posizioni. Ma soprattutto il Papa incontra fortissime resistenze da parte del cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che difende strenuamente "L'Avvenire d'Italia", contestando il deficit dei bilanci, che ritiene meno gravi di quanto notificato da diverse commissioni nominate dalla Conferenza episcopale italiana, e propone addirittura una richiesta di soccorso finanziario all'episcopato tedesco.
La questione si intreccia con quella delle sue dimissioni per il raggiungimento del 75° anno di età, che il prelato aveva visto respinte dal pontefice nel 1967 e sulle quali egli ritorna in una forte e accorata lettera a Paolo VI, quando si avvede che la decisione di chiudere il suo quotidiano è ormai presa: "Preferivo morire o almeno non essere io sulla cattedra bolognese, anziché, sedendovi, vedere ammainata una bandiera che i miei antecessori ed io avevamo sempre sostenuto". Inattesa e sorprendente, in difesa dell'esistenza de "L'Avvenire d'Italia", si leva anche la voce del cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, sempre contrapposto come tradizionalista al progressista cardinale Lercaro.
Ma perché Paolo VI - indicato dalla Versace quale "padre" e "fondatore" di "Avvenire" - intraprende questa "avventura", andando verso "l'ignoto", secondo le amare parole del cardinale Lercaro? La relazione risponde dimostrando che il giornale viene da lui inteso come un indispensabile strumento di evangelizzazione; e, riflettendo sui discorsi del Papa ai giornalisti, si evince come alla fine il nuovo quotidiano unitario debba, negli intenti di Montini, diventare la trasposizione del principio fondante del suo magistero, il dialogo con il mondo a partire dall'autenticità e dalla verità. Per questo Paolo VI in maniera energica, forte, con costanza e determinazione, promuove "Avvenire" e continua a seguirne con paterna attenzione le vicende nel corso degli anni Settanta. E un altro cardine della sua pastorale, sul quale insiste a più livelli con i fedeli, è quello dell'unità: anche su questo punto "Avvenire" viene da lui ritenuto valido strumento per "rifare e confortare l'unità dei cattolici almeno su punti essenziali", come spiega il sostituto della Segreteria di Stato monsignor Giovanni Benelli; e in un momento storico che vede, per la prima volta, fortemente contestata proprio la presenza dei cattolici nella società e anche nella vita politica italiana. Nel pensiero di Paolo VI, l'informazione fornita da "Avvenire" deve essere autonoma e non strettamente vincolata alla gerarchia, anche se alla Cei spetta un impegno di attenzione e di indicazione circa la linea del giornale. Quindi un mandato difficile e delicato, che il Papa affida ai giornalisti di "Avvenire", definiti i suoi "alleati" e investiti del ruolo di "apostoli" nella società.
Il quotidiano di Angelo Narducci, direttore dal 1970, è chiamato dunque a crescere come luogo di incontro e di convergenza dei cattolici italiani, rinsaldando il loro vincolo di unione con la gerarchia ecclesiastica, in dialogo con tutti ma nella forte consapevolezza che la religione, la cultura e la morale di questa larga parte della società italiana non possono venire confinate esclusivamente nell'ambito spirituale.
L'azione formativa del giornale si esprime infatti in questi anni anche in direzione politica, con l'intervento sui punti nodali del dibattito sociale e civile in atto. Nel suo primo decennio di vita, esso si confronta con gli epocali mutamenti che investono la società italiana e che suscitano gravi lacerazioni anche nel mondo cattolico. I più rilevanti terreni di impegno della testata sono noti: la battaglia referendaria per l'abrogazione della legge sul divorzio, nel 1974, quella contro l'aborto, quella per la difesa e la valorizzazione della scuola cattolica, lo spirito di critica costruttiva nei confronti della Democrazia cristiana, affinché il partito conservi la sua ispirazione cristiana-popolare. Il seguito, a partire dagli anni '80, è storia troppo recente per permettere una visuale storica obiettiva e documentata.
Il rapporto tra informazione e realtà, la difficile mediazione richiesta oggi ai cattolici e sui quali essi si interrogano rappresenta dunque una sfida antica per "Avvenire" (e anche per gli altri media cattolici): la posta in gioco non è il "successo" di questa o quella formula, di questo o quel linguaggio, ma essenzialmente la fedeltà a quell'antropologia cristiana che Paolo VI e i suoi successori hanno saputo convintamente proporre e incarnare.
(©L'Osservatore Romano - 10 maggio 2008)
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