10 maggio 2008

La Chiesa ed i media, relazione del cardinale Bagnasco: "La scelta di affrontare temi decisivi" (Osservatore Romano)


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La relazione del cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana

La scelta di affrontare temi decisivi

"Pagine scritte, pagine da scrivere. La nuova stagione del Progetto culturale e i media cattolici a servizio della coscienza credente". Questo è il tema dell'intervento tenuto l'8 maggio a San Donato Milanese, al convegno nazionale dei direttori e dei collaboratori degli uffici diocesani per le comunicazioni sociali, dal cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana. Pubblichiamo ampi stralci della sua relazione.

di Angelo Bagnasco
Cardinale, arcivescovo di Genova,
presidente della Conferenza episcopale italiana

Ci troviamo qui per discutere di informazione da quello che siamo, cioè da cattolici. Ci interessa mettere a fuoco "lo sguardo quotidiano" con cui affrontare il mondo circostante, nella consapevolezza che questo sguardo ci deve qualificare. Come ha qualificato i cattolici - laici e sacerdoti - che nell'arco in particolare degli ultimi centovent'anni hanno messo in pagina le gesta umili e sapienti del nostro popolo. Siamo infatti l'ultima propaggine - non certo quella che scriverà però la parola "fine" - di una vicenda che da più di un secolo si dispiega nelle città e nei borghi del nostro Paese, interpretando - si dice nel cartoncino di invito a questo convegno - un giornalismo della "prossimità", che ha scritto innumerevoli, gloriose pagine nel segno dell'attenzione al "popolo" minuto, alla sua vita, alle sue imprese, anche quando altri giornali guardavano invece da altre parti. (...) Perché la nostra riflessione sia feconda, non dobbiamo perdere di vista l'orizzonte di significati entro cui ci collochiamo e soprattutto l'identità che ci caratterizza.

La nostra responsabilità ultima è pastorale e la riflessione sui media non può essere fine a se stessa, ma sempre orientata all'obiettivo fondamentale dell'annuncio della Buona Novella della Salvezza.

Il Santo Padre Benedetto XVI, nell'omelia pronunciata durante la Celebrazione Eucaristica al Convegno di Verona, ci ricordava: "Noi siamo gli eredi degli apostoli, di quei testimoni vittoriosi! Ma proprio da questa constatazione nasce la domanda: che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla?". (...)
Il nostro modo di guardare al mondo, per raccontarlo poi ad altri, non può essere asettico, clinico, in quanto la realtà dissezionata e scarnificata in nome di una velleitaria oggettività, perde se stessa, si trasforma in cosa morta. Potremmo dire che siamo il nostro sguardo: tutta la nostra persona è ingaggiata nell'osservazione prima e nel racconto poi. La fede, lungi dal deformare la realtà osservata, suscita nell'osservatore uno sentire empatico verso l'umanità in generale. Il "chi siamo" influenza il modo in cui ci accostiamo alle vicende e alle persone. Lo verifichiamo quotidianamente, in negativo, vedendo come viene troppo spesso confezionata l'informazione che ci tocca più da vicino, quella sulla vita della Chiesa. Quante volte vediamo all'opera un pregiudizio negativo in base al quale ogni vicenda è filtrata e nulla di buono viene riconosciuto? Per noi la convinzione che l'occhio influenza il modo di guardare deve valere in positivo: il nostro sguardo non può prescindere dalla fede, la quale non è accessorio facoltativo della nostra identità, ma la radice più profonda del nostro essere (...) Questo dato impone ai nostri strumenti, nella misura consona alla fisionomia di ciascuno, di tenere fissa l'attenzione su quelle situazioni che vedono l'umanità violata e sfruttata. Vanno raccolte le realtà che vedono la dignità umana colpita, la vita minacciata, la salute compromessa. Il male ci interpella sempre, e non dobbiamo occultarlo, ma va raccontato con pietà, evitando compiacenze e ogni suo uso strumentale volto a catturare attenzione.
Dobbiamo altresì essere capaci, e si tratta di un servizio particolarmente urgente oggi, di dare risalto al bene che sappiamo presente ovunque e disseminato fin nei luoghi più reconditi del nostro Paese. È questa una missione di importanza decisiva. Bisogna dire che il bene c'è, e raccontare tutto il bene che c'è. Servono occhi capaci di vederlo. La mentalità secolarista dilagante nel nostro tempo, che ha catturato tanti adulti ma che aggredisce soprattutto i giovani, si alimenta della tabula rasa dei valori creata da un'informazione che troppo spesso demolisce e dissacra. Il nichilismo culturale propone un mondo in cui sembra non esserci valore e convinzione che non siano in balìa dell'arbitrio, sotto il dominio di un individualismo senza vincoli. Per questo modo di pensare, il bene non esiste: sembra che possano esserci solo delle persone buone, spesso sospettate di scarsa intelligenza e poca voglia di godere la vita. Il che non è accettabile perché non è vero. Non tanto perché pretendiamo di imporre uno scafandro ideologico alla realtà, così da vederla tutta pregiudizialmente rosa, quanto perché sappiamo che il bene esiste davvero e si rifrange in un'infinità di situazioni che noi abbiamo la responsabilità di far emergere. Se non si contrasta il nichilismo diventa impossibile perfino di parlare di ciò che più ci sta a cuore: il Signore, il Bene che innerva ogni bene, la stessa buona razionalità. (...) Se è vero che la realtà è redenta da Cristo, è vero anche che i problemi sul tappeto sono cruciali. Dobbiamo affrontarli riconoscendo che su tutti emerge la questione relativa proprio alla persona umana: chi è oggi l'uomo, e come vogliamo che sia nell'immediato futuro? Questa domanda è stata al centro, un anno e mezzo fa, delle giornate veronesi. Ci siamo detti che le scoperte della scienza e gli interventi della tecnologia non sono neutri, ma incidono profondamente sulla natura e sulla stessa idea di uomo, tendendo a rimodellarlo. La fede cristiana non è indifferente di fronte a ciò. Non accetta né condanna nulla acriticamente. Ma mette in guardia gli uomini d'oggi da ogni forma di idolatria, fosse pure quella raffinata, travestita da progresso, in una tecnologia che non accetta di essere né giudicata né governata. (...) Le "pagine da scrivere" sono molte e impegnative. Ci dà fiducia la consapevolezza che il cammino fin qui percorso è stato positivo e ci lascia in eredità solide basi di presenza e di credibilità. Le difficoltà incontrate non ci hanno abbattuto e, proprio nel campo della comunicazione, al di là di ciò che la nostra sagacia può mettere in cantiere, ci incoraggia la constatazione che lo Spirito continua a produrre eventi mediatici la cui potenza va al di là di ogni nostra capacità di previsione, basti ricordare i giorni attorno alla Pasqua 2005, dalla Via Crucis al Colosseo, alle esequie del Santo Padre Giovanni Paolo II celebrate dall'allora cardinale Ratzinger. Le nuove pagine che andremo a scrivere attingano forza da quel Vangelo sfogliato dalla mano invisibile del vento - qualcuno ha detto: dello Spirito - indelebilmente impresso nella memoria nostra e di un numero sterminato di persone di tutto il pianeta.

(©L'Osservatore Romano - 10 maggio 2008)

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