15 giugno 2008

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Alberto Bobbio

Santa Maria di Leuca (Lecce)

Osserva il Capo dall'alto, mentre l'elicottero vira nel vento che sale dal mare. Benedetto XVI guarda la punta estrema d'Italia, la più vicina alla terra di Gesù. Il santuario è incastonato tra le rocce, ai confini della Terra, quella allora conosciuta.
Erano passati appena 43 anni dalla nascita di Cristo, quando la storia è cambiata anche nel calendario. E ne erano trascorsi dieci dalla morte sulla croce a Gerusalemme. Pietro aveva preso il mare per andare a Roma, la capitale del mondo. Ed era approdato su queste rocce, che sotto il Capo sono levigate e racchiudono grotte di straordinaria bellezza. Vi abitava un popolo che con i Romani aveva intrecciato lotte e accordi, i Messapi, popolazione italica, di terra e di mare, che sulla terra e sul mare ha stretto patti con gli eserciti e i generali che passavano di qui. Pietro racconta la Parola di Gesù e trova ascolto.
Così il tempio che sul Capo avevano dedicato a Minerva, dea della guerra, cambia denominazione e quei primi cristiani del Salento consacrano le pietre a Maria. Era l'anno 43, quando la Madonna era ancora viva. Il luogo è straordinariamente evocativo. Perché qui si mescolano Oriente e Occidente, perché qui un santuario, dice Benedetto XVI nell'omelia della Messa che celebra al tramonto, tra il vento che increspa le onde e il sole che cala a ponente, diventa simbolo di una «Chiesa che non ha confini», essendo per vocazione e ispirazione divina «universale».
Quando il vescovo di qui, monsignor Vito De Grisantis, ha raccontato al Papa la storia di questo luogo e di questo santuario, che a buon diritto può essere definito la «madre di tutti i santuari mariani» del mondo, Ratzinger non ha avuto esitazioni. C'è molto su cui riflettere: Pietro che sbarca sotto il Capo di Leuca, San Luca evangelista, che quasi duemila anni fa abitava a Malta, dove si recano i cristiani di Leuca per farsi dipingere il primo quadro della Vergine da sistemare nella chiesa, che prima era tempio di una divinità pagana.
C'è la questione dell'annuncio, della missionarietà della Chiesa, che traversa i mari per spiegare agli uomini la Parola di Gesù, c'è l'incontro tra culture e popoli, c'è, dice Benedetto XVI, «il gusto e la passione dell'unità» tra Oriente e Occidente, che è una sfida ancora aperta per le Chiese cristiane. Joseph Ratzinger celebra la Messa davanti al santuario, sotto il faro della Marina militare, uno dei punti più importanti delle rotte del Mediterraneo, e spiega che «confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi, sono per la Chiesa un invito all'evengelizzazione, nella prospettiva della comunione nelle diversità».
Non fa alcun cenno al fatto che questo santuario è stato più volte distrutto dalle incursioni dei Saraceni. A lui importa l'unità, il dialogo. A lui importa che questo Capo, ultimo lembo dell'Italia, sia una porta aperta verso Oriente. E da qui il Papa rilancia la vocazione primaria della Chiesa: «Parlare tutte le lingue del mondo». È la rotta di Cristo quella che Ratzinger ha indicato ieri, una rotta che non fa differenza di mari, perché la barca di Pietro va dappertutto e approda in ogni dove.
L'esempio che indica alla gente, che stipa il piazzale sul Capo, è la vita di Paolo, uomo che non ha avuto paura di nessuna cultura e di nessuna lingua, «grande convertito», per il quale tra pochi giorni Benedetto XVI si appresta a inaugurare un anno speciale. Chi sono Pietro, Maria e Paolo? Gente che ha saputo, sottolinea il Papa, «mantenere la rotta verso Cristo». E questo anche oggi occorre fare, specialmente nei «momenti oscuri e tempestosi». Ma, aggiunge, «a nulla vale proiettarsi verso i confini del mondo se non ci si vuole bene, se non ci si aiuta gli uni gli altri all'interno della comunità cristiana».
La preoccupazione del Papa riguarda un contesto che «tende a incentivare sempre di più l'individualismo», mentre la Chiesa deve «educare al senso sociale, all'attenzione del prossimo, alla solidarietà e alla condivisione». Oggi è la Chiesa che «si rivela capace di esercitare un influsso positivo anche sul piano sociale», senza «sostituirsi alle legittime e doverose competenze delle istituzioni». Ratzinger insiste sul ruolo della Chiesa nel Meridione d'Italia, dove si fatica di più sul piano sociale ed economico. Osserva che nel Sud «le comunità ecclesiali sono luoghi dove le giovani generazioni possono imparare la speranza, non come utopia, ma come fiducia tenace nella forza del bene».
E rileva che, «se anche a volte può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dalla furbizia, il bene vince» e se anche non lo vediamo, esso continua «in realtà a operare nel silenzio e nella discrezione, portando frutti nel lungo periodo». Secondo Ratzinger, oggi l'Italia ha bisogno di questo «rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze e sulla formazione morale».

© Copyright Eco di Bergamo, 15 giugno 2008

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