20 marzo 2008
BENEDETTO XVI: MESSA CRISMALE, IL SACERDOTE DEVE “STARE DAVANTI AL SIGNORE E SERVIRE”
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BENEDETTO XVI: MESSA CRISMALE, IL SACERDOTE DEVE “STARE DAVANTI AL SIGNORE E SERVIRE”
Sono“due i compiti che definiscono l’essenza del ministero sacerdotale”, secondo quanto scritto nel Libro del Deuteronomio e ripreso nel Canone II del Messale: “astare coram te et tibi ministrare” (stare davanti a te e a te servire). LO ha detto, stamattina, Benedetto XVI nell’omelia della messa crismale, in corso nella basilica vaticana. In primo luogo, dunque, “lo stare davanti al Signore”, il che significa porre “l’Eucaristia come centro della vita sacerdotale”. “Il sacerdote – ha spiegato il Papa - deve essere uno che vigila. Deve stare in guardia di fronte alle potenze incalzanti del male. Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità. Dritto nell’impegno per il bene. Lo stare davanti al Signore deve essere sempre, nel più profondo, anche un farsi carico degli uomini presso il Signore che, a sua volta, si fa carico di tutti noi presso il Padre. E deve essere un farsi carico di Lui, di Cristo, della sua parola, della sua verità, del suo amore. Retto deve essere il sacerdote, impavido e disposto ad incassare per il Signore anche oltraggi”. Il sacerdote, dunque, “deve essere una persona retta, vigilante, una persona che sta dritta. A ciò “si aggiunge, poi, il servire”.
Con l’assunzione della parola “servire” nel Canone, ha osservato il Papa, “questo significato liturgico del termine viene in un certo modo adottato conformemente alla novità del culto cristiano. Ciò che il sacerdote fa in quel momento, nella celebrazione dell’Eucaristia, è servire, compiere un servizio a Dio e un servizio agli uomini. Il culto che Cristo ha reso al Padre è stato il donarsi sino alla fine per gli uomini”. E proprio “in questo culto, in questo servizio il sacerdote deve inserirsi”. La parola “servire” comporta molte dimensioni. “Certamente – ha chiarito Benedetto XVI -ne fa parte innanzitutto la retta celebrazione della Liturgia e dei sacramenti in genere, compiuta con partecipazione interiore”. Di qui l’invito a “imparare a comprendere sempre di più la sacra Liturgia in tutta la sua essenza, sviluppare una viva familiarità con essa, cosicché diventi l’anima della nostra vita quotidiana”. Allora emerge “l’arte del celebrare”. In quest’arte, ha avvertito il Pontefice, “non deve esserci niente di artefatto. Deve diventare una cosa sola con l’arte del vivere rettamente. Se la Liturgia è un compito centrale del sacerdote, ciò significa anche che la preghiera deve essere una realtà prioritaria da imparare sempre di nuovo e sempre più profondamente alla scuola di Cristo e dei santi di tutti i tempi”.
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BENEDETTO XVI: MESSA CRISMALE, NO ALLA “TENTAZIONE DI VOLER ESSERE TOTALMENTE AUTONOMI”
Fanno parte del servire, ha sottolineato Benedetto XVI, “ancora due altri aspetti”. Innanzitutto, “nessuno è così vicino al suo signore come il servo che ha accesso alla dimensione più privata della sua vita. In questo senso ‘servire’ significa vicinanza, richiede familiarità”, ma “questa familiarità comporta anche un pericolo: quello che il sacro da noi continuamente incontrato divenga per noi abitudine”. “Contro questa assuefazione alla realtà straordinaria, contro l’indifferenza del cuore – ha sostenuto il Papa - dobbiamo lottare senza tregua, riconoscendo sempre di nuovo la nostra insufficienza e la grazia che vi è nel fatto che Egli si consegni così nelle nostre mani. Servire significa vicinanza, ma significa soprattutto anche obbedienza”. La tentazione dell’umanità, ha proseguito il Pontefice, “è sempre quella di voler essere totalmente autonoma, di seguire soltanto la propria volontà e di ritenere che solo così noi saremmo liberi; che solo grazie ad una simile libertà senza limiti l’uomo sarebbe completamente uomo, diventerebbe divino”. Ma, ha avvertito, “proprio così ci poniamo contro la verità. Poiché la verità è che noi dobbiamo condividere la nostra libertà con gli altri e possiamo essere liberi soltanto in comunione con loro”.
“Questa libertà condivisa – ha detto il Papa - può essere libertà vera solo se con essa entriamo in ciò che costituisce la misura stessa della libertà, se entriamo nella volontà di Dio. Questa obbedienza fondamentale che fa parte dell’essere uomini, diventa ancora più concreta nel sacerdote: noi non annunciamo noi stessi, ma Lui e la sua Parola, che non potevamo ideare da soli. Non inventiamo la Chiesa così come vorremmo che fosse, ma annunciamo la Parola di Cristo in modo giusto solo nella comunione del suo Corpo”. Insomma, “la nostra obbedienza è un credere con la Chiesa, un pensare e parlare con la Chiesa, un servire con essa”. Il “farsi guidare dove non vogliamo è una dimensione essenziale del nostro servire, ed è proprio ciò che ci rende liberi. In un tale essere guidati, che può essere contrario alle nostre idee e progetti, sperimentiamo la cosa nuova, la ricchezza dell’amore di Dio”. Gesù Cristo “ha voluto essere il servo di tutti” e, attraverso il “gesto della lavanda dei piedi”, “con l’umiltà del suo servire ci purifica dalla malattia della nostra superbia. Così ci rende capaci di diventare commensali di Dio”. L’Eucaristia, ha concluso, “come presenza della discesa e dell’ascesa di Cristo rimanda così sempre, al di là di se stessa, ai molteplici modi del servizio dell’amore del prossimo”.
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1 commento:
Meraviglioso il richiamo del Papa: in altre parole, il sacerdote non deve comiziare da un altare posticcio rivolto ai fedeli. Non è un imbonitore, è il "medium".
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