20 marzo 2008

Tibet: Il pontefice prega usando le stesse parole pronunciate dal Dalai Lama (Tosatti per "La Stampa")


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MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO

Benedetto XVI ha parlato della crisi tibetana, ieri, in termini che fanno pensare a una convergenza di obiettivi con il Dalai Lama. Ha espresso «dolore e tristezza» di fronte «alla sofferenza di tante persone», ha lanciato un appello contro le violenze e per il «dialogo e la tolleranza» tra le parti.
«Seguo con grande trepidazione - ha detto al termine dell’udienza generale - le notizie che in questi giorni giungono dal Tibet. Il mio cuore di padre sente tristezza e dolore di fronte alla sofferenza di tante persone. Il mistero della Passione e della morte di Gesù, che riviviamo in questa settimana santa, ci aiuta ad essere particolarmente sensibili alla loro situazione».
Ha poi ammonito: «Con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano. Vi invito - ha esortato i presenti - ad unirvi a me nella preghiera».

La preghiera riecheggiava le parole pronunciate quasi contemporaneamente dal Dalai Lama dal suo esilio di Dharamsala, in India. «Chiediamo a Dio onnipotente, fonte di luce, che illumini le menti di tutti e dia a ciascuno il coraggio di scegliere la via del dialogo e della tolleranza».
L’esternazione di Benedetto XVI, giunta dopo le polemiche dei giorni scorsi relative al cosiddetto «silenzio del Papa» fa certamente parte di una strategia complessiva della Santa Sede sia nei rapporti con la Cina che di politica interreligiosa. In primo luogo c’è un dato comportamentale: a differenza di Giovanni Paolo II (ma anche lui non sempre) papa Ratzinger non ama compiere interventi «a botta calda», specialmente in situazioni complesse. E la struttura che lo attornia non è «allertata» per questo genere di reattività mediatica. A questo silenzio si era aggiunta la mancata udienza dello scorso dicembre al Dalai Lama, nel bel mezzo di pressioni e proteste di Pechino nei confronti dei governi europei.
Fonti ufficiose vaticane avevano spiegato il mancato intervento di domenica scorsa con la necessità di verificare la reale portata dei fatti tibetani, e avevano preannunciato che il Papa sarebbe intervenuto nei «modi e nei tempi» ritenuti più opportuni e non in quelli dettati dalle esigenze dei mass media o dalle aspettative dell’opinione pubblica. E’ vero però che alla consueta prudenza ratzingheriana si era aggiunto un surplus di cautela perché Pechino fa balenare davanti agli occhi della Santa Sede la possibilità di una normalizzazione dei rapporti, fino ad oggi inesistenti. Fra l’altro il Vaticano è uno dei pochi paesi che ancora riconosce formalmente l’esistenza di Taiwan.

Comunque prima di dire o fare qualcosa che potesse riportare alla casella di partenza una speranza di trattativa con il governo comunista il Vaticano voleva avere le idee ben chiare sulla situazione.

Non è escluso, fra l’altro, che in questi giorni ci siano stati anche contatti molto discreti con Dharamsala, da cui si è capito che il Dalai Lama non appoggiava la rivolta violenta. Colpisce la contemporaneità e la sintonia dei messaggi dei due capi spirituali. Se il Papa e il Dalai Lama chiedono il dialogo, il combattivo cardinale Zen di Hong Kong, autore delle «meditazioni» per la Via Crucis al Colosseo di quest’anno, tutte in chiave cinese, batte un tasto diverso. «Protestiamo energicamente per l’uso della forza da parte del governo cinese contro i dimostranti tibetani», si legge in un documento approvato dalla commissione Giustizia e Pace della diocesi di Hong Kong. Oltre a chiedere al governo cinese di fermare la repressione in Tibet, la diocesi protesta «per aver proibito ai giornalisti di Hong Kong di seguire i fermenti politici in Tibet».

© Copyright La Stampa, 20 marzo 2008

Bene anche Tosatti :-)
Rimedia sicuramente al brutto articolo di lunedi'.
R.

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