11 marzo 2008
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Le "magnificenze vaticane" della collezione della Basilica di San Pietro accostano inediti a proposte "esagerate"
Non c'è solo Michelangelo
di Alfredo Maria Pergolizzi
Pierre-Jean Mariette, collezionista del Settecento francese, riferendosi al progetto per la nuova sagrestia vaticana di Filippo Juvarra, si esprimeva usando il termine "magnifico", facendolo immediatamente seguire dal "troppo"; con l'avvedutezza di chi vive nella concretezza del quotidiano, l'opera certo impressionava, ma a suo giudizio mai sarebbe stata realizzata. Una previsione che coglieva nel segno, e il grande sogno perseguito da Juvarra, e cioè realizzare a Roma un'architettura degna di confrontarsi con quelle dei grandi maestri che lo avevano idealmente guidato nel suo decennale soggiorno in questa città, soprattutto con il proprio idolo, Michelangelo, sarebbe rimasta una idea sì esagerata ma carica di poesia, per lungo tempo destinata a essere sepolta.
Era il 1715, e il modello ligneo di Juvarra è oggi una delle oltre 100 opere esposte alla mostra "Magnificenze vaticane", che dal 12 marzo al 25 maggio invita il visitatore a inoltrarsi in un percorso artistico composto di opere tratte dalla collezione della Basilica di San Pietro. L'esposizione, al Palazzo Incontro di Roma, prende le mosse proprio dall'opera di Juvarra e raccoglie una serie di testimonianze artistiche, in massima parte inedite. Dopo la mostra tenutasi lo scorso anno nel Braccio di Carlo Magno - in occasione delle celebrazioni del cinquecentenario della posa della prima pietra della nuova basilica vaticana - con questa nuova esposizione la Fabbrica di San Pietro sceglie un affondo dal carattere diverso, orientando l'attenzione non verso ciò che è noto, bensì recuperando frammenti e lavori cosiddetti minori, che, riorganizzati per temi, contribuiscono a meglio definire e delineare la committenza e l'impegno della Fabbrica verso la basilica vaticana lungo un esteso arco temporale.
Recupero, valorizzazione e conservazione sono le parole chiave che hanno scandito il lavoro di preparazione, confluito in un percorso articolato in diverse sezioni, tra loro interconnesse ma autonome per generi: architettura, pittura, scultura e arti applicate.
L'insieme costituisce la pluralità di interventi in un unico centro quale è la basilica di San Pietro, e la qualità dei manufatti individuati resta la testimonianza della varietà e abilità creativa di tanti artisti che dal XIV al XX secolo hanno aspirato, chiesto e non sempre ottenuto di poter lasciare una propria traccia nella basilica vaticana.
Il tema della decorazione è anticipato, sin all'ingresso, dal grande rotolo di Damasco con le armi chigiane di Papa Alessandro VII, ideato e realizzato da Gian Lorenzo Bernini nel 1665 per la canonizzazione di San Francesco di Sales, destinato a coprire le gigantesche lesene e i pilastri nella basilica vaticana dal capitello alla base, e da allora riutilizzato in altre importanti celebrazioni, soprattutto canonizzazioni.
A queste ultime cerimonie si lega la presenza della serie dei paliotti preziosi che arredavano l'altare papale nei solenni teatri sacri del Settecento.
Gian Lorenzo Bernini, regista indiscusso del barocco romano ma soprattutto artista intimamente connesso alla storia della basilica, è il protagonista di una stanza con parte della muta di candelieri e il crocifisso in bronzo dorato con il Cristo morto appartenenti al gruppo dei ventisei corredi liturgici commissionati ancora da Papa Alessandro VII per gli altari della basilica di San Pietro; accanto sono i reliquiari piramidali la cui singolare foggia adombra il passaggio dalla vita alla morte: sul finire del Seicento, piramidi e obelischi erano infatti divenuti elementi costanti nelle rappresentazioni di tematiche funerarie.
Il modello di Filippo Juvarra, di cui si accennava, introduce a una intera sezione riservata alla sagrestia vaticana, non quella attualmente edificata, peraltro anch'essa documentata con disegni e modelli lignei, ma quella virtualmente costituita all'interno di un'avventura, mai portata a termine per ragioni finanziarie, durante il pontificato di papa Clemente XI Albani.
Dopo un primo tentativo nel 1711, quattro anni dopo il Papa indice una seconda competizione "ordinando ai più celebri e valorosi architetti, di formarne i disegni e i modelli": per la prima volta in tempi moderni sono visibili le originali e significative soluzioni emerse in questo concorso, da leggere in modelli lignei di grandi dimensioni. Alla citazione di una competizione svoltasi nel Settecento fa da contrappunto nelle sale minori del primo piano il ciclo pittorico di sedici tele e sedici bozzetti del francese Philippe Casanova, ispirato in accordo con la Fabbrica di San Pietro, e realizzato nel 2007-2008: un itinerario artistico che da ponte Sant'Angelo si restringe al particolare del monumento berniniano della Cathedra Petri e nella cui successione delle tele si può rintracciare una somiglianza sorprendente con gli studi preparatori di Filippo Juvarra e di Gian Lorenzo Bernini, quasi a dimostrazione che l'arte barocca è ancora un'arte paradigmatica la quale, con le sue mirabolanti invenzioni e realizzazioni, suggerisce arditi passaggi dal dato corporeo all'elemento spirituale.
Il piano superiore è riservato ai generi oltre l'architettura, come anticipano i due angeli un tempo ai lati della barberiniana sistemazione della Cathedra Petri e qui attribuiti alla mano di Luigi e Gian Lorenzo Bernini.
Il Quattrocento è indicato dalla serie dei quattro Evangelisti opera di due veri protagonisti della scena romana dell'epoca, Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata, autori del monumento a Papa Paolo II Barbo, esempio tra i massimi vertici della statuaria quattrocentesca, ancora oggi non fruibile al pubblico.
Oltrepassando il Seicento, con un bozzetto attribuito ad Alessandro Algardi e due gessi di Jean-Baptiste Theodon, e il Settecento con Antonio Corradini, al periodo contemporaneo è dedicata la sala con la serie di undici bozzetti in gesso e una statua di grandi dimensioni modellati da Francesco Messina per il monumento a Pio XII nella basilica vaticana. Una eccezionale occasione per seguire il lungo iter di gestazione del lavoro e le diverse e differenti soluzioni elaborate prima di approdare alla definizione conclusiva dell'opera bronzea. Nella parte pittorica sono recuperati e mostrati per la prima volta frammenti e affreschi staccati provenienti dalla decorazione interna della basilica vaticana, oltre che bozzetti e quadri in corso di attribuzione, ma di sicura qualità artistica.
Due sezioni autonome sono infine riservate a due specifici aspetti della Fabbrica di San Pietro. La sala dedicata al mosaico, in quanto dal 1727 la Fabbrica coordina ufficialmente lo Studio del mosaico Vaticano. L'origine e il carattere dello Studio derivano dall'esigenza di provvedere alla decorazione musiva del massimo tempio della cristianità e, in seguito, alla conservazione dei mosaici realizzati. Dalla fine del 1500 agli inizi del 1800, la basilica di San Pietro diviene il più grande laboratorio d'Europa nella pratica di quest'arte, e in questa sezione sono esposti una serie di cartoni, cioè veri e propri quadri sia a olio che a tempera che servivano da modello e da guida per la scelta dei colori e delle tessere musive.
La seconda sezione è dedicata alla "memoria", al patrimonio cartaceo conservato nell'Archivio storico generale della Fabbrica, con l'esposizione di autografi di Benvenuto Cellini, Michelangelo, Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini, assieme a disegni per le opere a stampa curate sempre dalla Fabbrica.
Questa esposizione è stata dunque pensata come raccolta di tracce sino a oggi silenti, ma la cui presenza mai ha smesso di essere cara a chi le ha conservate e custodite, e che ora vuole svelarle per essere conosciute dal più vasto pubblico amante dell'arte.
(©L'Osservatore Romano - 10-11 marzo 2008)
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