12 gennaio 2008

"Spe salvi": il commento di Mons. Leuzzi per Zenit


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La Speranza e la deriva individualistica del cristianesimo

Monsignor Lorenzo Leuzzi commenta l’Enciclica di Benedetto XVI

Di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 11 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Al giorno d'oggi “c’è bisogno di un’autocritica del cristianesimo moderno, ripartendo dalle proprie radici”, sostiene monsignor Lorenzo Leuzzi, Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma.

Commentando in una intervista a ZENIT alcuni aspetti dell'Enciclica di Benedetto XVI, Spe salvi, monsignor Leuzzi ha sottolineato che, in opposizione a una certa deriva individualistica del cristianesimo, “i cristiani devono spiegare il perché della loro speranza e offrirla al mondo”.

La “Spe salvi” critica lo scientismo e propone un'autocritica del cristianesimo vissuto in maniera individualistica, perchè?

Leuzzi: Ambedue le prospettive sono antirealistiche, perché non rispondono al vero desiderio dell’uomo di uscire da sé per arricchirsi ontologicamente.
Mentre è abbastanza comprensibile e diffusa la critica verso la fede nel progresso, il Papa cita la Scuola di Francoforte nel paragrafo 22, non appare ancora all’orizzonte l’autocritica del cristianesimo moderno, il quale ha risposto alle nuove attese della società contemporanea con la proposta soggettiva della fede, propria della Riforma, avviandosi su una strada che lo ha portato, di fatto, fuori dalla storia, anche se molto presente nei circoli culturali d’elite!

La speranza cristiana, e quindi la fede, è una realtà individualistica?

Leuzzi: La risposta a queste domande è il cuore dell’Enciclica! Il Papa risponde di no! Se il cristianesimo ha vissuto questa deriva, sul piano storico, individualistico, pur svolgendo una grande opera di formazione dell’uomo e di cura dei deboli e dei sofferenti, ciò è avvenuto per servire la società che prima della rivoluzione industriale, aveva bisogno di un’animazione etica, prevalentemente di tipo sacrale.
La fede cristiana, se vuole essere fonte di speranza per la società contemporanea, deve tornare a comprendere se stessa, dopo la parentesi storica del servizio alla società statico-sacrale, come esperienza dinamica che raggiunge l’uomo nella sua esistenza e gli dona la vita nuova.

La vita cristiana non è soltanto un’esperienza soggettiva di Dio o “un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti”: essa è una esistenza nuova che costituisce una “prova” delle cose che non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest’ultimo non è più il puro “non ancora”.

I cristiani appartengono ad una nuova società e possono investire per il futuro la propria libertà perché hanno sperimentato e sperimentano l’amore di Dio in Gesù Cristo che sostiene la libertà dell’uomo verso la verità.
La vita nuova in Cristo rende l’uomo capace di uscire da se stesso e diventare costruttore di quella nuova società che è la Chiesa. Senza la speranza l’uomo non potrà essere autentico costruttore della storia perché sarà costretto a ridimensionare le esigenze della libertà e della ragione.
La capacità e il desiderio di essere costruttore della storia potrà svilupparsi nella misura in cui l’uomo possiede in germe la certezza che la sua uscita da sé non si annulli nella dialettica della storia, ma si apra alla costruzione della comunità dove ogni uomo viene accolto per quello che è, nel rispetto delle sue vere esigenze di giustizia.

Perché il cristianesimo nutre la speranza e libera l’uomo?

Leuzzi: La vita “secondo Cristo” non soltanto libera l’uomo dalla signoria degli elementi del cosmo ma anche dalle leggi delle prassi antirealistiche che svuotano l’uomo di ogni consistenza ontologica.
La speranza cristiana non può limitarsi a promuovere la formazione etica dell’uomo, ma deve ritornare ad essere promotrice di quella singolarità che fa del cristianesimo un messaggio non solo “informativo” ma “performativo”.
La nuova situazione storica impone al cristianesimo di annunciare al mondo con le parole e le opere che Dio non è una “lontana causa prima del mondo” e che per mezzo di Cristo l’uomo può essere certo di Dio.
Il semplice annuncio informativo può tutt’al più rendere buono l’uomo, ma non potrà salvarlo dalle prassi antirealistiche della società contemporanea: solo la vita nuova in Cristo può rendere l’uomo protagonista della storia.
La condizione necessaria per realizzare questo passaggio da un annuncio informativo a quello “perfomativo” è la realizzazione di un nuovo rapporto tra il filosofo e il pastore, cioè tra ragione e fede.

Nella prospettiva “informativa”, propria di una realtà statica, fede e ragione possono percorrere vie diverse e, al limite, anche parallele, raggiungendo il medesimo obiettivo, cioè quello della verità.
Nella prospettiva “performativa”, propria di una realtà dinamica, a cui appartiene il cristianesimo, fede e ragione sono destinate a cercarsi vicendevolmente, perché la costruzione della storia impegna la presenza di Dio e la partecipazione dell’uomo in modo più radicale.
Non si può costruire la storia poggiandosi sulle singole speranze, è necessaria la grande speranza, che sorregge il cammino dell’uomo.
Il cristiano, nella sua vita ecclesiale, possiede questa grande speranza ed è chiamato ad offrirla all’umanità.

Qual è il contributo del cristianesimo alla società perché la sua costruzione non annulli l’uomo, ma lo renda protagonista?

Leuzzi: Il primo contributo è aiutare l’uomo ad avere coscienza di sé. Il secondo è aiutare l’uomo ad avere coscienza del limite. Il terzo contributo è aiutare l’uomo ad avere coscienza del male.
Il cristiano che possiede la vita nuova è nelle condizioni per vivere la pienezza dell’umanità: la grande speranza non è fuori di sé, ma nella sua nuova esistenza. Ciò rende il cristiano il vero costruttore della storia. La civiltà dell’amore prima ancora di essere un impegno è dono.
Per costruire la storia non sono sufficienti le singole speranze, ma è necessario possedere la grande speranza che è la forza per progettare. Se il Dio di Gesù Cristo fosse il Dio della legge, non sarebbe possibile costruire. Dio ingannerebbe se stesso.
Se Dio si è manifestato nella storia per dire “chi è in realtà l’uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo” è perché è troppo poco per l’uomo essere buono: l’uomo è chiamato ad essere costruttore.
Il cristianesimo non è mai stato un messaggio delle piccole speranze, perché ciò lo riporterebbe nel Vecchio Testamento (tempo dell’attesa). I santi hanno sempre vissuto nella grande speranza. La società contemporanea, nonostante le contraddizioni socio-culturali, attende questo annuncio, quello cioè della grande speranza, senza il quale sarà impossibile costruire la civiltà dell’amore.

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