11 gennaio 2008
La catechesi del mistero cristiano si compie con l'insegnamento teologico e la liturgia (Osservatore Romano)
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Educazione e iniziazione al mistero cristiano
Tutto il tempo appartiene a Gesù
Inos Biffi
In due modi può compiersi la catechesi del mistero cristiano: quando questi diventa tema di insegnamento o di riflessione teologica, e quando viene ripreso nella celebrazione liturgica.
In questo secondo caso la catechesi proviene dall'evento che si sta compiendo: essa non riguarda più semplicemente un oggetto riacceso nella memoria o un argomento indagato dal pensiero: riguarda il mistero presente e ancora in atto, perché divenga preghiera ed esperienza. La liturgia iscrive l'avvenimento della salvezza non solo nell'area dell'intelletto, perché lo comprenda, ma in quella della volontà perché lo condivida.
La catechesi liturgica espone nel linguaggio del simbolo l'opera della salvezza, in opera nella forma sacramentale e su cui sono fissati lo sguardo della fede, la percezione dei sensi, l'attenzione dell'intelligenza e l'intenzione dell'amore.
Occorre però subito aggiungere che quest'opera della salvezza celebrata nella liturgia è personalmente Gesù Cristo. È lui, nei suoi misteri, a ritrovarsi nei segni e a essere annunziato nella loro memoria. D'altronde, ogni catechesi cristiana si risolve nella catechesi su Cristo, fine, sostanza e irradiazione della Rivelazione e della storia sacra che la manifesta e la avvera.
Il ritmo originale della liturgia
Quanto alle prerogative della catechesi che avviene attraverso il rito occorre prima di tutto rilevare che esso non si riferisce a una materia offerta all'intenzione dell'intelletto: la catechesi liturgica tocca una realtà presente, che in concreto sta avvenendo e sta coinvolgendo, come oggetto di esperienza. È questa realtà che promana dall'azione liturgica nella modalità dei segni, dei quali il primo a far trasparire il mistero è il tempo sacro. La liturgia crea un suo tempo originale, collocandovi il ricordo degli eventi di Gesù e l'efficacia della loro grazia, imprimendovi, così, un orientamento nuovo.
Con i suoi riti la Chiesa, in certo modo, lo riscatta dalla sua genericità, per imprimervi un significato cristologico. Così è del tempo domenicale, che riporta l'avvenimento della risurrezione del Signore, e giunge nella stessa Chiesa con i riverberi del giorno pasquale. E così è anche del corso di un intero anno, che, assunto nella liturgia e ritmato dalle feste del Signore e dei suoi Santi, si converte in anno sacro: l'anno che ha trovato i suoi poeti, Manzoni, con i suoi Inni sacri, inserito nella Liturgia ambrosiana delle Ore, e Paul Claudel con l'incomparabile Corona benignitatis anni Dei: un titolo che è suggestiva e luminosa definizione dell'anno liturgico: appunto anno di Dio.
Ma ogni giorno sorge contrassegnato e iridato della grazia del Signore, nella misura in cui, con l'Eucaristia, vi si imprima e vi si diffonda la memoria della croce e della risurrezione, e lo costellino gli appuntamenti oranti delle diverse Ore. Veramente, tutto il tempo appartiene a Gesù, che ne è il Signore, dal momento che tutto è stato creato per lui, in lui e in vista di lui (Colossesi 1, 16). La Chiesa con le sue commemorazioni ne condensa, per così dire, e ne accentua la presenza sacramentale.
Ora, un primo aspetto della catechesi svolta dalla liturgia è il richiamo al valore cristiano del tempo, assunto e posseduto da Gesù Cristo, e luogo simbolico del suo incontro con la Chiesa, la quale lo solennizza e lo decora di molteplici richiami, a rimarcarne la differenza. Va, quindi, fatta ritrovare nella liturgia una teologia del tempo, a servizio di Cristo e del suo mistero di salvezza.
Illustrare la Pasqua e il suo sacramento
Ma rileviamo, in correlazione, un'altra prerogativa che contraddistingue la catechesi liturgica ed è il corso ricorrente dei suoi contenuti, il loro riaffacciarsi di domenica in domenica, di anno in anno, e di giorno in giorno: ed è, questo, uno dei chiari indici della saggia pedagogia della Chiesa, che non teme di proporre e rioffrire l'inesauribile mistero, così che venga variamente e progressivamente assimilato.
Ora, questo mistero è esattamente Gesù Cristo. Potremmo dire: nella liturgia viene dispiegata una cristologia concreta, ai fini della sua conoscenza e della sua esperienza. E anzitutto a ricorrere in essa è la cristologia nel suo compimento pasquale in esercizio nell'Eucaristia, che è il cuore della domenica. Ogni giorno del Signore ripresenta nella comunità cristiana il sacrificio della croce e la partecipazione al corpo dato e al sangue sparso. Ne consegue che la Pasqua di Cristo, il significato della sua ripresentazione e comunione sacramentale, devono costituire il tema ricorrente e fondamentale della catechesi liturgica, perché i riti domenicali siano intimamente compresi e la sua "realtà" efficacemente condivisa. D'altra parte, illustrare la Pasqua e il suo sacramento significa spiegare il senso stesso della vita di Cristo, che culmina nel sacrificio, il fine del disegno della salvezza, l'avverarsi della Scrittura.
Solo così l'Eucaristia può apparire in tutta la sua luce e diventare attraente dinanzi alla mente e alla visione dei fedeli, e brillare in tutto il suo valore e suscitare la sorpresa senza la quale la liturgia diventa di una monotonia affliggente, ricoperta da un'attualità solo in apparenza interessante, dal momento che non ha l'interesse di ciò che è soprannaturale e quindi tra tutto supremamente meraviglioso. E solo Gesù Cristo si rivela vivo nel gesto supremo del suo amore, in ogni volta rinnovato.
Nella domenica, e soprattutto nell'Eucaristia, la cristologia diventa viva e deve dispiegarsi.
Ogni tempo ha la sua luce
Vi è poi la cristologia orante distribuita nel corso dell'anno, le cui festività rievocano i vari misteri della vita di Gesù e, rievocandoli, ne permettono una devota comprensione e una intensa iniziazione. È la funzione dei diversi tempi liturgici, che anche negli apparati esteriori rifrangono in certa misura all'esterno il contenuto di quei misteri, li rendono familiari e popolari e creano la sintonia dell'anima che li rivede e li risente con agio e distensione. Sia i padri sia gli autori medievali hanno lasciato sermoni liturgici mirabili, la cui lettura è una splendida e magnifica introduzione a queste festività.
Pensiamo a Gregorio di Nazianzo, ad Agostino, a Leone Magno, a san Bernardo e ad altri deliziosi abati cisterciensi.
Ogni tempo ha la sua luce, il suo messaggio e la sua grazia cristologica.
Il commento, poi, più pertinente alle festività è quello fatto dalle Sacre Scritture, ossia dalla Bibbia liturgica. Essa è la Parola di Dio destinata soprattutto a dire Gesù Cristo, principio e compimento, a descrivere la storia della sua attesa e a offrire la testimonianza della sua apparizione. Specialmente nella liturgia il libro sacro assume il suo valore, fondendosi con l'avvenimento celebrato e diventando, a sua volta, motivo e fonte di orazione, o libro di preghiera.
Ma occorre rilevare tutta la densità o tutte le relazioni della cristologia rintracciabili nella liturgia, sia essa raccolta nella forma dell'Eucaristia o ripartita negli appuntamenti del tempo sacro. Nel mistero di Cristo, infatti, sono incluse tutte le verità di fede: per suo tramite si giunge alla Santissima Trinità - il mistero da cui ogni altro gemma, di continuo richiamato dalla preghiera liturgica, che si rivolge al Padre, per Gesù Cristo, nello Spirito Santo -; alla mariologia, più volte ripassata nelle memorie della Vergine; all'ecclesiologia, coinvolta come soggetto stesso della liturgia; ai sacramenti; ai novissimi; all'antropologia teologica e al comportamento cristiano, che, in più, trova i suoi modelli nel Santorale, che intesse l'"anno di Dio".
L'"arte del celebrare"
Certo, perché tutta la verità cristiana, che è la sostanza della liturgia, vi possa emergere e trasformarsi in una catechesi in accordo con l'orazione - una lex credendi che si converte in lex orandi - sono indispensabili la cura e la competenza del pastore d'anime.
Si usa parlare oggi di arte del celebrare: ma bisogna che sia un'arte fondata su una buona cultura storica e su una seria preparazione teologica, intesa, questa, non come un'aggiornata informazione sull'ultima brillante teoria di un teologo, persuaso che con lui incomincia la teologia, ma come conoscenza dell'intero dogma professato dalla fede della Chiesa, che, chi ben lo capisce, conserva una novità e un'attrattiva inesauribili. Questo però non basta ancora: vi si deve associare un gusto estetico e una sensibilità nei confronti di tutto lo spettro dei segni di cui la liturgia è compaginata e che un loro commento sa risvegliare e rendere trasparenti: un commento, tuttavia, appropriato e sobrio - perché non diventi, come non raramente avviene, un continuo e opprimente arbitrio - a cui si unisca la persuasione che la liturgia non è il campo della fantasia creativa, improvvisata e sconcertante, di colui che la presiede.
Oggi si va spesso, volonterosamente, alla ricerca di nuove strategie pastorali un po' in tutti i campi della catechesi e della pastorale. Ma non è remoto il rischio di trascurare le strategie - se pur così si possono chiamare - che già esistono e fanno parte della vita stessa della Chiesa, e che si tratta di tradurre in pratica. È il caso della liturgia, come scuola di fede e di orazione. È la via strategica più semplice e più sicura, alla quale è garantita la riuscita.
Solo che a questo si apre la questione fondamentale, che è quella della formazione del celebrante.
(©L'Osservatore Romano - 12 gennaio 2008)
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