9 gennaio 2008
VIOLENZE CONTRO I CRISTIANI IN IRAQ: PREMIER RASSICURA IL PAPA E LO INVITA A BAGHDAD
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IRAQ: PREMIER RASSICURA IL PAPA E LO INVITA A BAGHDAD
A seguito degli attacchi coordinati a chiese e conventi del 6 gennaio scorso, il premier iracheno Nuri al-Maliki ha voluto rassicurare il Vaticano circa l'impegno del suo governo nella protezione dei cristiani. Lo ha fatto nel suo incontro con il nunzio apostolico, mons. Francis Assisi Chullikatt. E il portavoce del governo, Ali al-Dabbagh, ha riferito anche di un invito del primo ministro a Benedetto XVI per visitare l'Iraq. Un comunicato del Governo iracheno, citato da AsiaNews, agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere, conferma che il primo ministro ha condannato gli attentati dell'Epifania a Mosul e Baghdad e ha garantito che i responsabili verranno individuati e puniti. "Il governo iracheno - si legge nel testo - desidera promuovere i forti legami di amicizia con le comunita' cristiane e ribadisce che la convivenza pacifica e' possibile". Inoltre il premier ha voluto ricordare al rappresentante della Santa Sede che "cristiani e musulmani sono uniti nel fronteggiare terroristi e fuorilegge" e che le violenze nel Paese "colpiscono tutti i gruppi religiosiÂ. Al-Maliki aveva già promesso protezione e giustizia ai cristiani iracheni lo scorso ottobre, dopo la denuncia del Patriarca caldeo, card. Emmanuel III Delly, dei sistematici attacchi contro chiese e istituzioni cattoliche nel Paese". Parole di "condanna e denuncia per gli attentati terroristici" di domenica scorsa sono arrivate anche dal vice presidente iracheno, Tareq al-Hashemi. In una dichiarazione ufficiale sul suo sito internet, il vice capo di Stato esprime la sua "vicinanza ai fratelli cristiani" e dice di volere combattere insieme "questi ingiusti attacchi che hanno trasformato le celebrazioni in dolore e preoccupazione".
Repubblica.it
L'intervista di Mons. Sako all'Osservatore Romano:
L'arcivescovo di Kerkûk dei Caldei, monsignor Sako
Premeditati gli attacchi a chiese cristiane in Iraq
BAGHDAD, 8.
"Rappresentano un messaggio preciso e probabilmente rientrano in un piano coordinato" gli attentati di domenica scorsa contro numerose chiese e istituzioni cristiane in Iraq. Ne è convinto l'arcivescovo di Kerkûk dei Caldei, monsignor Louis Sako, il quale ha confermato che le autobomba non hanno provocato morti, ma solo danni materiali e un ferito.
Gli obiettivi colpiti a Baghdad sono la chiesa caldea di San Giorgio, nel quartiere di Ghadir, dove il cardinale Emmanuel III Delly, patriarca di Babilonia dei Caldei, aveva da poco finito di celebrare la messa, una chiesa greco-melchita e il convento delle suore caldee a Zaafraniya. A Mosul, invece, le autobomba hanno investito la chiesa caldea di San Paolo, l'entrata dell'orfanotrofio gestito dalle suore caldee ad Alnoor e il convento delle suore dominicane di Mosul a Aljadida. E pensare che il nuovo anno nell'arcidiocesi di Kerkûk, la città simbolo della convivenza tra le diverse etnie e fedi, si era aperto all'insegna del "dialogo interreligioso" e di uno "sforzo comune per la pace". Il giorno di Capodanno, per la prima volta durante la messa, nella cattedrale caldea era stato letto il Vangelo nelle quattro lingue della città: arabo, caldeo, curdo e turkmeno.
L'iniziativa aveva come scopo la "concreta volontà di riconciliazione ed armonia".
L'arcivescovo di Kerkûk dei Caldei, monsignor Louis Sako, aveva sottolineato che "alla funzione erano presenti anche alcuni rappresentanti politici musulmani, in segno di amicizia".
Nella sua omelia, il presule, davanti a circa 1.500 fedeli, aveva ricordato che: "La pace è un progetto collettivo, ma anche personale e per raggiungerla dobbiamo impegnarci ad accettare e rispettare gli altri. La speranza non esiste senza l'altro".
Tra le offerte portate all'altare vi erano fiori, candele e due colombe bianche, a testimoniare il "forte desiderio di pace e di riconciliazione che regna tra gli iracheni".
Durante tutto il periodo natalizio, monsignor Sako, da sempre impegnato nel dialogo interreligioso, aveva ricevuto gli auguri e le visite da parte di diversi esponenti sunniti e sciiti. Il 24 dicembre scorso una delegazione guidata dal rappresentante dell'ayatollah sciita, Ali al Sistani, era stata ricevuta nell'episcopio. Nel gruppo era presente, il rappresentante della Lega degli imam sunniti, l'imam dell'ufficio per il dialogo e una ventina di capi tribù. Nel corso dell'incontro i delegati musulmani hanno apprezzato il ruolo della Chiesa nel cementare le relazioni tra le due comunità religiose e i vari gruppi etnici.
Si sono, inoltre, detti soddisfatti per l'impegno di Papa Benedetto XVI a favore di un "dialogo sincero e coraggioso". Dal canto suo, monsignor Louis Sako ha espresso profonda stima nei confronti degli imam che stanno svolgendo un "ruolo importante nel favorire l'unione tra i cittadini e nel respingere tutte le forme di violenza e negazione dell'altro".
Al termine dell'incontro il rappresentante di Ali al Sistani ha anche regalato all'arcivescovo di Kerkûk dei Caldei una copia con calligrafie in oro del Corano ed è stato deciso di formare una Lega dei leader religiosi musulmani e cristiani per promuovere il dialogo e la convivenza.
La speranza che il 2008 veda un calo delle violenze in Iraq viene anche dalle cifre fornite dai ministeri della Difesa, dell'Interno e della Sanità, che parlano di una diminuzione delle morti tra gli iracheni. Infatti, a dicembre il bilancio era di 568 vittime, a novembre il dato era di 606; 887 ad ottobre e 840 a settembre.
Secondo l'esercito degli Stati Uniti d'America, gli attacchi di tutti i generi sono scesi del 60% rispetto al picco raggiunto nel giugno scorso.
Una delle ragioni più plausibili di un calo delle violenze, vi è anche il rafforzarsi di una coscienza nazionale, che rigetta il terrorismo. Alle ultime intimidazioni video da parte di esponenti fondamentalisti, i leader sunniti impegnati contro il terrorismo in Iraq hanno risposto coraggiosi che continueranno la loro lotta.
A dicembre sono stati circa ventimila i profughi iracheni, secondo l'organizzazione umanitaria Mezzaluna Rossa (analogo islamico della Croce Rossa), che hanno lasciato la Siria per tornare a casa. Stando ad un rapporto dell'organizzazione, in totale da metà settembre a fine 2007 gli iracheni rimpatriati sono stati 45.913. Di questi, 38.736 sono tornati a Baghdad e i restanti nelle altre province del Paese. Allo stesso tempo diminuisce il numero dei rifugiati interni: a novembre erano quasi 2,18 milioni in confronto a circa 2,3 milioni di fine settembre.
Il numero dei rimpatri forniti dalla Mezzaluna Rossa è inferiore a quello diffuso dal governo iracheno, che parla di sessantamila rientri, per lo più da Siria e Giordania. Le cifre arrivano mentre le forze statunitensi in Iraq riferiscono di un calo degli attacchi a livello nazionale del 62 per cento, dovuto soprattutto all'aumento delle truppe, stabilito l'anno scorso, e alla formazione di numerosi gruppi a livello tribale in opposizione ad al-Qaeda. La Mezzaluna Rossa sottolinea, comunque, che la situazione dei profughi iracheni rimane drammatica. "Soffrono ancora gravi problemi - si legge nel rapporto - legati all'elevato costo degli affitti, all'accesso a strutture sanitarie, alla disoccupazione e alla difficoltà per i giovani di portare avanti gli studi".
Secondo l'Alto Commissario Onu per i rifugiati (Unhcr), gli iracheni che hanno abbandonato la loro casa dopo l'invasione Usa del 2003 sono 4,2 milioni: solo la Siria ne ospita 1,4 milioni e settecentocinquantamila in Giordania. L'Unhcr ammette le difficoltà di stimare in modo esatto le cifre dei rimpatri e per ora non incoraggia il ritorno in Iraq. In una dichiarazione ufficiale sul loro sito web, le Nazioni Unite spiegano che "molte aree sono ancora considerate insicure. In generale non vi è sicurezza materiale, fisica e legale e manca l'accesso a servizi basilari come acqua potabile, cibo, ospedali, istruzione; non vi sono inoltre possibilità di impiego lavorativo né di recuperare proprietà immobiliari e terreni".
Gli attentati terroristici, dunque, sono tornati a minacciare la popolazione e rischiano di gettare di nuovo sfiducia fra i cristiani che hanno bisogno di un supporto psicologico per poter superare questi drammatici momenti. Alcuni missionari carmelitani, per esempio, hanno creato a Baghdad una sorta di terapia di gruppo, guidata da psicologi, per cercare di ridonare equilibrio alle persone e risollevarne il morale. Questi rimangono durante il giorno all'interno di strutture gestite dai missionari, ma per la maggiore efficacia nelle terapie sarebbe necessario che i pazienti rimanessero all'interno di queste strutture di accoglienza, senza tornare alle loro case per circa dieci o quindici giorni.
(©L'Osservatore Romano - 9 gennaio 2008)
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