20 marzo 2008

Il Papa: in Tibet prevalga la via della tolleranza. «Con la violenza non si risolvono i problemi»


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Il Papa: in Tibet prevalga la via della tolleranza

«Con la violenza non si risolvono i problemi»

DA ROMA GIANNI SANTAMARIA

Benedetto XVI segue «con grande trepidazione» le notizie delle drammati­che violenze che arrivano dal Tibet. «Il mio cuore di Padre sente tristezza e dolore di fron­te alla sofferenza di tante per­sone – ha detto il Pontefice ieri al temine dell’udienza generale in piazza San Pietro –.
Il miste­ro della passione e morte di Gesù, che riviviamo in questa Settimana Santa, ci aiuta ad es­sere particolarmente sensibili alla loro situazione». Papa Rat­zinger ha poi proseguito il suo appello sulla situazione di a­perta tensione nella zona del­l’Estremo Oriente, sottolinean­do che «con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano». E con un invito ad unirsi alla sua preghiera: «Chie­diamo a Dio onnipotente, fonte di luce, che illumini le menti di tutti e dia a ciascuno il corag­gio di scegliere la via del dialo­go e della tolleranza». Le parole della massima autorità cattoli­ca sono state salutate con gran­de favore da due esponenti buddisti in Italia, intervistati dall’agenzia Sir. Il presidente dell’Unione buddista italiana, Giorgio Raspa, ha sottolineato l’importanza di simili gesti. «La popolazione tibetana è assolu­tamente disperata, per cui sa­pere che c’è una solidarietà in­ternazionale li rafforza nella lo­ro determinazione».

Raspa ha poi evidenziato come il pro­nunciamento arrivi in un gior­no in cui il Dalai Lama ha nuo­vamente espresso la sua posi­zione non violenta e di auspi­cio per il dialogo. «Credo che il Papa – è stata l’analisi da lui formulata – abbia apprezzato questo atteggiamento». Sulla forza delle preghiera si è incen­trato l’intervento del Lama Paljin Tulku Rinpoce, monaco di tradizione tibetana, fondato­re e guida spirituale del centro «Mandala» di Milano. Il mona­co la ritiene il modo migliore, come «base per un rinsavimen­to delle genti», per sostenere tutte le popolazioni che soffro­no. «Il mio messaggio – dice, infatti, il Lama – è che non sol­tanto non si dimentichi il po­polo tibetano, ma non si di­mentichino tutti coloro che soffrono a causa della violen­za ».

L’atteso pronunciamento del Papa è arrivato dopo giorni di polemiche su un presunto silenzio della Santa Sede detta­to, si è detto, da motivi di real­politik nei confronti della Cina. Benedetto XVI «troverà i modi e i tempi» per un intervento sulla spinosa questione aveva spie­gato l’altroieri il segretario del­la Cei Giuseppe Betori, durante la conferenza stampa di chiu­sura del Consiglio permanente, ricordando poi come «non pos­sono essere i mass media a de­cidere i suoi interventi».

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2008


IL DOCUMENTO

La diocesi di Hong Kong: fermare l’uso della forza

Contro la repressione in Tibet si leva la voce della diocesi cattolica di Hong Kong, guidata dal cardinale Joseph Zen.
«Protestiamo energicamente per l’uso della forza da parte del governo cinese contro i dimostranti tibetani» si legge in un documento approvato dalla commissione Giustizia e Pace della diocesi di Hong Kong e riportato dall’agenzia dei vescovi Usa,“Catholic news service”. Oltre a chiedere al governo cinese di fermare urgentemente la repressione in Tibet, la diocesi protesta «per aver proibito ai giornalisti di Hong Kong di seguire gli avvenimenti in Tibet».

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2008


Il Dalai Lama stoppa i «falchi»: serve dialogo

Il leader ha ricevuto i capi dei gruppi che reclamano l’indipendenza e li ha esortati a cessare ogni ostilità. Gordon Brown tenta la mediazione con Wen Jiabao, ma incontrerà il religioso. E il regime di Pechino attacca Londra

DA DHARAMSALA

Nuovi movimenti di truppe.
Sembra essere questa la risposta cinese alle pressioni internazionali e all’offerta di dialogo ripetuta anche ieri dalla massima autorità spirituale tibetana, il Dalai Lama. Secondo diverse testimonianze, i movimenti si sono registrati nelle vicinanze delle zone etnicamente tibetane, teatro nei giorni scorsi di violenti scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. In particolare nel Sichuan, dove un testimone ha affermato di aver visto «un gran numero» di camion militari muoversi verso i confini con la Regione autonoma del Tibet.
L’organizzazione “Campagna per il Tibet libero” ha affermato che nel distretto di Ngawa, dove si sono verificate delle proteste, la polizia ha invitato con gli altoparlanti i ribelli ad arrendersi affermando che saranno trattati «con clemenza». Nel Gansu, una provincia a larga maggioranza tibetana, un giornalista danese ha visto «alcuni autobus carichi di soldati in viaggio» verso il monastero di Labrang, dove si sono svolte delle massicce proteste anti-cinesi.
Secondo il governo tibetano in esilio, la repressione cinese non si sarebbe dunque ancora fermata. «La situazione sta peggiorando, ci sono stati arresti nella notte e più di ottocento persone sono state arrestate solo in Tibet», ha detto il premier tibetano in esilio a Dharamsala, Samdhong. «Molti manifestanti sono stati portati nelle prigioni dove si sono verificate anche delle uccisioni».
Secondo un sito Web di Honk Kong sarebbero 160 i «rivoltosi» consegnatisi spontaneamente alle autorità dopo l’ultimatum di Pechino che prometteva «clemenza». Ieri il Dalai Lama ha di nuovo chiesto alla Cina di riannodare il dialogo spezzatosi due anni fa. «Dobbiamo renderci conto che dobbiamo vivere fianco a fianco, dobbiamo parlarci», ha dichiarato il portavoce del leader tibetano, Tenzin Takhla. Il Dalai Lama ha poi ricevuto i leader del Tibetan Youth Congress ( Tyc) e di altri gruppi politici che reclamano l’indipendenza, e che nei giorni scorsi hanno “contestato” la linea giudicata troppo morbida del leader spirituale, per invitarli a mettere fino all’uso della violenza. Il dialogo resta dunque l’unica via percorribile per il Dalai Lama, da sempre sostenitore della non violenza. Basterà? Il leader religioso ha inviato un appello ai leader mondiali perché premano su Pechino affinché usi «moderazione» nell’affrontare i disordini in Tibet. Un appello raccolto dal premier inglese Gordon Brown che ha sentito l’omologo cinese al telefono per chiedere la fine delle violenze.
Secondo Brown, il premier cinese Wen Jiabao è disposto ad avere colloqui con il Dalai Lama, a patto che questi non cambi idea su due cose: il “no” all’indipendenza piena del Tibet e il rifiuto della violenza. Una possibilità non eslcusa dall’entourage del Dalai Lama: le condizioni non contraddicono la posizione del religioso ma in ogni caso «è improbabile un incontro a breve termine». Brown ha annunciato che incontrerà il Dalai Lama a maggio.
L’incontro annunciato ha provocato però la dura reazione cinese che ha espresso «grave preoccupazione» per le intezioni manifestate dallo stesso Brown. Il premier inglese ha infine aggiunto di aver parlato con Wen, e di aver «detto chiaramente» che le violenze in Tibet devono cessare «immediatamente». ( E.A.)
Secondo diversi testimoni, «un gran numero» di camion militari si è mosso verso le zone teatro degli incidenti dei giorni scorsi. «Sono almeno 800 le persone arrestate»

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2008

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