15 maggio 2008

CINA - EUROPA - Non è indifferenza. Intervista con padre Gianpaolo Salvini, direttore di "Civiltà Cattolica” (Sir)


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CINA - EUROPA - Non è indifferenza

Intervista con padre Gianpaolo Salvini, direttore di "Civiltà Cattolica”

“Cina ed Europa: indifferenza, confronto o dialogo”: è il tema della Lectio cathedrae Magistralis che padre Gianpaolo Salvini, direttore del quindicinale dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, terrà il 20 maggio prossimo alla facoltà di scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, in occasione del conferimento del Premio internazionale “Matteo Ricci” (1552-1610), in memoria del famoso missionario cattolico e scienziato che ha vissuto tra i cinesi. Padre Salvini riceve il riconoscimento per aver “raccordato l’approccio politico-economico-istituzionale con quello improntato ai grandi principi che hanno un riferimento basilare nell’ispirazione cristiana”. Lo abbiamo intervistato.

Qual è l’atteggiamento dell’Europa nei confronti della Cina?

“È un atteggiamento ambivalente. Da una parte c’è un grande interesse, il desiderio di fare buoni affari e di non perdere l’occasione. Moltissime aziende europee (almeno 1500 sono italiane), hanno delocalizzato una propria filiale sul territorio cinese, soprattutto perché la manodopera costa da un ventesimo ad un trentesimo di quella italiana. Inoltre non ci sono alcune difficoltà supplementari: ad esempio non esiste un sindacato, quello che c’è è controllato dal governo. Dall’altro lato c’è un grande timore, viste a volte le condizioni di vendita sottocosto (dumping) che i cinesi sono in grado di effettuare. In passato mi sembrava che la stampa europea sottolineasse solo gli abusi dei cinesi nel copiare i nostri prodotti, infischiandosene degli accordi commerciali. Ora mi sembra che l’atteggiamento sia più costruttivo, con il desiderio di evitare questi abusi ma anche di trovare una via di collaborazione comune”.

E sul fronte dei diritti umani?

“Dal punto di vista della nostra concezione dei diritti umani c’è ancora molto da fare in Cina. Credo sia positivo premere perché, in una occasione così vistosa come le Olimpiadi, anche la Cina si avvicini al nostro standard. Ma confesso che la causa, pur essendo ovviamente meritevole, alle volte sembra anche strumentale, cioè fatta per danneggiare l’immagine della Cina, non rispettando tempi e modalità molto diversi dai nostri. Neanche l’Europa è arrivata in fretta e furia al rispetto dei diritti umani. C’è da dire che la Cina in altri settori come quello economico e del commercio ha realizzato passi da gigante in 30 anni, ma nel campo dei diritti umani sembra muoversi molto più a rilento. Però ci sono anche difficoltà interne che noi non percepiamo, come la grande eterogeneità etnica e di reddito tra le singole province. La grande rigidità di controllo da parte dell’apparato di controllo serve anche a tenere insieme un coacervo di popoli assai eterogeneo che si teme possa sfuggire di mano”.

E riguardo alla questione tibetana?

“È molto complessa. Spero che, al di là delle violenza, si riesca a gestire con la via del dialogo. Il Dalai Lama non si presenta come leader politico, non fa parte del governo tibetano in esilio, non contesta la sovranità cinese sul Tibet, per cui può essere un utile personaggio per il dialogo. Purché dall’altra parte ci sia la stessa buona volontà. Se non ci fosse un dialogo sarebbe una occasione perduta”.

Come la Cina sta gestendo l’emergenza terremoto di questi giorni?

“Non mi pare che, come il Myanmar, abbia rifiutato gli aiuti esteri. È probabile che desiderino controllarne l’afflusso e i rischi di strumentalizzazione, ma non c’è stato altro tipo di chiusura pregiudiziale. Credo che in momenti di dolore e tragedia se ci si unisce e se si accetta l’aiuto prestato nel modo migliore, è sempre un’occasione di fraternità e solidarietà mondiale che può avvicinare i popoli”.

Ritiene siano stati fatti passi in avanti riguardo alla presenza della Chiesa in Cina?

“Spero che le autorità cinesi si rendano conto che la Chiesa cattolica non ha alcuna mira né volontà di ingerenza negli affari interni della Cina, ma vuole solo mantenere le strutture fondamentali della propria Chiesa. Ho l’impressione, ma non ho informazioni di prima mano, che ci siano da tempo dei dialoghi informali e a volte anche delle soluzioni già realizzate di fatto, alla cinese – ma si potrebbe anche dire all’italiana – cioè che le cose ci sono ma non bisogna dirle, sennò creano problemi. Ossia mutui riconoscimenti nelle nomine dei vescovi, anche se non vale per tutti. Ogni tanto ci sono dei ripensamenti e dei colpi di coda che fanno intravedere dei passi indietro, a volte dovuti a problemi interni cinesi”.

Si riferisce anche allo stato dei colloqui tra Santa Sede e Cina?

“Mi risulta che ci siano e spero vadano in porto. Penso anche ai piccoli gesti che si vedono e hanno anche un grosso significato. Ad esempio il concerto in Vaticano offerto giorni fa dal governo cinese al Papa, che ha un significato politico e simbolico molto forte. In uno stile che è quello dell’arte, della cultura, della comunicazione, molto consono all’opera della Chiesa e di questo Papa in particolare. Spero che la diplomazia della musica sia più adeguata ed eloquente”.

Quindi, per tirare le somme, l’indifferenza tra Cina ed Europa è da escludere?

“Certamente l’indifferenza è esclusa per dati di fatto. Non si può ignorare un mondo che è già dentro casa nostra e viceversa e non andrebbe affidato solo alla logica commerciale, alla concorrenza, alla competizione. Spero che il confronto possa avvenire all’insegna del dialogo e del mutuo arricchimento. Cosa che Matteo Ricci e i suoi confratelli simboleggiano: andarono in Cina e ottennero grande credito senza esprimere nessun potere, che non fosse quello della cultura e della testimonianza della fede. Spero ci sia una profonda comprensione delle differenze culturali, storiche e di stile e che questo aiuti ad edificare un futuro migliore all’insegna della comprensione reciproca”.

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