20 maggio 2008

Il Papa a Genova: "Le nuvole tacciono all'annuncio del Dio Misericordia" (Corradi)


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LE NUVOLE TACCIONO ALL’ANNUNCIO DEL DIO MISERICORDIA

MARINA CORRADI

Il passo del Libro dell’Esodo con cui Benedetto XVI ha iniziato l’omelia di domenica a Genova è quello, straordinario, del Dio che passando davanti a Mosè nella nube rivela il suo nome. E quel nome è: «Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà». Sotto il cielo di nuvole inquiete di Genova for­se qualcuno nella folla avrà pensato: splendida immagine, ma di un tem­po così antico. Quel Creatore possen­te che si china a parlare con gli uomi­ni, può sembrarci lontano. Le nostre nuvole, tacciono.

Ha continuato, però, il Papa, sottoli­neando gli attributi di quel Nome ri­velato: «pietoso», «fedele», «miseri­cordioso ». Su quest’ultimo aggettivo soprattutto ha calcato. (La radice del­la parola «misericordia» in ebraico si­gnifica «con viscere materne». Dun­que ciò che Dio disse di sé, prima di tutto, era che amava l’uomo di amo­re materno; quel tipo di amore che per quanto tradito non rinnega mai il figlio, e ogni volta perdona). Dio, ha spiegato il Papa, è vita che vuole co­municarsi: «ha creato il mondo per a­mare le sue creature». L’essenza stes­sa di Dio, «è essere in relazione». L’uo­mo, fatto a sua immagine, ricalca nel­la sua struttura questa impronta ori­ginaria. Anche lui è «essere in rela­zione », ontologicamente chiamato a un rapporto («Noi siamo un collo­quio », dice uno splendente verso di Hölderlin). L’uomo per sua natura fi­glio: creatura aperta verso Dio e que­gli 'altri', che in quanto figlio gli so­no fratelli.

Ma, tutto questo, come c’entra col no­stro maggio 2008, coi nostri affanni di occidentali minacciati dal caro pe­trolio e lambiti dall’ala di una povertà che credevamo dimenticata, mentre orde di poveri veri e miserabili asse­diano come un fortino l’Europa? Che c’entra, il Dio di Mosè e la sua natura dialogica, con noi? C’entra, dice il Pa­pa, «perché questa concezione di Dio e dell’uomo sta alla base di un corri­spondente modello di comunità u­mana, e quindi di società». Archetipo anteriore a ogni legge, l’umanità let­ta come una immensa famiglia. Figli, e dunque fratelli. Tutta la storia e l’in­segnamento della Chiesa partono da questa prospettiva antropologica, ri­calcata sull’impronta del Dio trinita­rio, del Dio «in relazione». La cura dei malati e la carità, la missione e il ma­trimonio, tutto da una radice – il «mo­dello di Dio».
E oggi? È ancora attuale questa mille­naria visione del mondo, oggi? La ri­sposta del Papa è netta: «In una so­cietà tesa fra globalizzazione e indivi­dualismo, la Chiesa è chiamata a of­frire la testimonianza della koinonia, della comunione». Di fronte dunque a un pianeta come annientato nelle distanze e nelle differenze dalla tec­nologia, in cui smarrite moltitudini paiono omologate e accomunate so­lo dalla disperata gara a sfamarsi, o a produrre con più efficienza; mentre i nostri figli imparano prima di tutto a vivere per sé e a prendersi ciò che pos­sono, monadi tese a un privato e illu­sorio paradiso; eppure ancora, pro­mette Benedetto XVI, tra globalizza­zione e individualismo c’è una terza via. È la comunione, l’essere con l’al­tro e per l’altro. È il 'modello di Dio'. Che cosa osta prima di tutto a questa terza via?
La pretesa moderna del dir­si padroni di tutto, e figli di nessuno. Dunque quel materialismo e quel lai­cismo che, ha detto il Papa sabato a Savona, vanno affrontati senza com­promessi – in quanto contraddicono la struttura originaria dell’uomo.
Un’altra storia è possibile. Nel cielo di Genova tacciono le nuvole, ma la pre­tesa cristiana parla e sfida ancora, per bocca del successore di Pietro. E vie­ne in mente un verso del grande cri­stiano Peguy: «Lui è qui». Duemila an­ni dopo. Adesso, ora.

© Copyright Avvenire, 20 maggio 2008

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