15 ottobre 2007

I due preti rapiti in Iraq le persecuzioni dei Cristiani in Pakistan: speciale del Corriere


Vedi anche:

ANGELUS DI IERI: VIDEO DI SKY

Milingo, che lagna: niente visto per l'Italia, niente pensione e soprattutto niente show per tv e giornali

Il sindaco di Napoli, Iervolino: «Il Papa ci darà coraggio, coraggio, coraggio»

La ragione del celibato sacerdotale: un articolo de "Il Timone"

L'Angelus del Papa davanti ad una Piazza traboccante: commenti

Benedetto, il Papa “verde” marcia sull’Onu

La lebbra odierna è rappresentata dall'orgoglio e dall'egoismo che generano indifferenza, odio e violenza

Caso Stenico-Exit: lo speciale del Quotidiano Nazionale

Caso Stenico-Exit: lo speciale del Giornale

Consiglio disinteressato: chiudere certi siti con base a Samoa dove comunque potrebbero essere spedite le rane dalla bocca larga

Caso Stenico-Exit: lo speciale di Repubblica

Caso Stenico-Exit: lo speciale del Corriere della sera

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

CONSIGLIO DI LETTURA: IL SITO DI FRANCESCO

L'appello di Benedetto XVI

Sequestrati due preti nel nord dell'Iraq Il Papa: «Liberateli»

Michele Farina

Alle 4 del pomeriggio, in Iraq, è come se fosse notte fonda. Uffici chiusi, strade quasi deserte per paura dei sequestri. E' stato a quell'ora che sabato a Mosul, terza città irachena 350 chilometri a nord di Bagdad, hanno rapito padre Pius Afas, 60 anni, e padre Mazen Ishoa, trentacinquenne fresco di voti. Due sacerdoti iracheni, cattolici di rito siriano, che andavano a dir messa in periferia, alla parrocchia di Nostra Signora di Fatima nel quartiere di al-Faisaliya. Ieri in piazza San Pietro il Papa ha rivolto un appello ai rapitori perché li rilascino «prontamente»: «Continuano a giungere dall'Iraq gravi notizie di attentati e violenze — ha detto Benedetto XVI all'Angelus — Tra queste apprendo oggi la notizia del sequestro di due buoni sacerdoti dell'Arcidiocesi siro-cattolica di Mosul, minacciati di morte».
I centri urbani, in Iraq, sono mortalmente pericolosi. Figuratevi le periferie, a Mosul, dove si annidano cellule fondamentaliste di Al Qaeda. «Finora Mosul non è stata clemente con i cristiani, ma speriamo bene», ha detto ieri pomeriggio una suora cattolica all'agenzia Asianews.
Clemenza poca: il 3 giugno, dopo aver detto messa alla chiesa del Santo Spirito, il prete cattolico caldeo Ragheed Ganni fu ucciso a mitragliate. Un anno fa fu preso e dopo qualche giorno decapitato un sacerdote ortodosso.
Ora altri due cattolici nel mirino. Il loro vescovo, monsignor Casmoussa, era stato sequestrato nel gennaio 2005 e poi liberato dietro pagamento di un riscatto.
«Il vescovo ha sperato in un epilogo simile — dice al
Corriere padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews
—. Ha aspettato a dare la notizia agli altri sacerdoti e al Vaticano, contando che tutto si risolvesse in poche ore. Invece i rapitori non si sono fatti vivi e monsignor Casmoussa ha dato l'allarme». Proprio ieri il vescovo era atteso a Erbil, la poco distante «capitale» del Kurdistan iracheno, per l'inaugurazione di un centro medico dedicato a padre Ganni ucciso 4 mesi fa. Da una mancata commemorazione a una nuova emergenza. Il colonnello Donnelly, portavoce delle forze Usa che a Mosul si sono ridotte a un solo battaglione (800 uomini), ha detto ieri sera alla
Reuters che si sta vagliando la pista di un gruppo non identificato che avrebbe chiesto per il rilascio dei sacerdoti un riscatto di 1 milione di dollari. Ma i cristiani di Mosul sono preoccupati, dice padre Cervellera. «Li ho sentiti, temono che in questo periodo che per i musulmani coincide con la fine del mese santo del Ramadan i fondamentalisti mettano in atto qualcosa di eclatante, di grave».
I sacerdoti in Iraq girano in borghese. Ma sono un bersaglio facile, non hanno guardie del corpo, si spingono nelle periferie, e la loro cattura può essere spesa «politicamente » dai gruppi fondamentalisti. Padre Pius Afas, l'ostaggio più anziano, è una figura di spicco nel dialogo inter- religioso. E' stato direttore della rivista «Il pensiero cristiano» stampato in lingua araba. Un grande intellettuale, lo definisce padre Bernardo, «e in Iraq i fondamentalisti prendono volentieri di mira gli uomini di cultura, di qualsiasi credo, per fare spazio alla barbarie».
Padre Mazen Ishoa, il più giovane dei rapiti, è entrato in seminario tardi, dopo la laurea e il servizio militare. In trincea, sacerdote nella terra che vide fiorire una tra le più antiche comunità cristiane. Mosul oggi è guidata da un'amministrazione araba sunnita a cui collabora la minoranza curda (sunnita anch'essa). Grazie ai 40.000 effettivi nelle forze di sicurezza, che combattono e non scappano più come prima, la vita è migliorata. Non per le minoranze religiose. La provincia è quella di Ninive, nome biblico legato a Giona, il profeta che finì nel ventre della balena salvo poi uscirne e ubbidire a Dio recandosi nella città «corrotta» grande «tre giorni di cammino». La Bibbia racconta che gli abitanti ascoltarono il suo messaggio e si ravvidero. L'appello per la liberazione di due sacerdoti, nella Ninive di oggi, è un'altra storia.

© Copyright Corriere della sera, 15 ottobre 2007


VIAGGIO IN PAKISTAN

La persecuzione dei cristiani

di LORENZO CREMONESI

RAWALPINDI (Pakistan) — Quando azzardano un paragone lo fanno con l'Iraq di Saddam Hussein. «Meglio una dittatura, però pronta a garantire le minoranze, che non il populismo intollerante delle maggioranze aizzate dal fondamentalismo islamico», dicono i sacerdoti alla sede vescovile di Rawalpindi e tra gli ecclesiastici più in vista di Islamabad.
L'incubo imperante è che possa ripetersi anche qui la tragedia che sta consumando i cristiani di Bagdad dopo la caduta di Saddam. Prima dell'invasione americana erano una comunità garantita dalla dittatura, oggi sono profughi braccati.
Il pericolo viene avvertito qui in Pakistan come imminente. Sino a che, in luglio, l'esercito non è intervenuto a scacciare nel sangue gli studenti coranici asserragliati nella Moschea Rossa, nelle basiliche di Islamabad ci si attendeva il peggio. E comunque il peggio sta già avvenendo a Quetta, Peshawar, nella vallata dello Swat e tra i circa 80 mila cristiani dispersi nelle «zone tribali» di Waziristan e Beluchistan al confine afghano. «I mullah filotalebani fanno pressioni perché si chiudano le scuole femminili. Quasi non passa settimana senza che arrivino notizie di messaggi che impongono l'alternativa tra la conversione all'Islam e la fuga. A Peshawar sono sotto attacco la Chiesa dell'Immacolata Concezione e la scuola femminile di padre Patrick Soahil. A Bannu, il liceo nel Convento di San Giuseppe. Molti studenti restano a casa per paura», dicono alte fonti ecclesiastiche.
Un rappresentante della Chiesa di Roma è ancora più esplicito: «Nei Paesi a maggioranza cristiana noi sentiamo come un dovere garantire le minoranze musulmane. Perché non fanno lo stesso nei Paesi musulmani?». Se i capi religiosi islamici non contribuiscono ad appianare i problemi, anzi in molti casi sono loro ad aizzarli, non è strano che i cristiani vedano in Pervez Musharraf il loro garante.
«Lo so che a voi europei non piace. È un militare, viola la costituzione, antidemocratico, lo ha appena dimostrato facendosi rieleggere dal Parlamento per il terzo mandato consecutivo in barba alla legge. Però ci difende. È l'unico disposto a farlo contro il potere montante dei mullah», dice Maqsud Masih, 37 anni, direttore del coro alla cattedrale anglicana Saint Thomas di Islamabad.
Sono circa 3 milioni i cristiani in Pakistan, più o meno la metà cattolici. Una briciola tra gli oltre 160 milioni di abitanti tra cui crescono le forme più estreme di Islam. Un rapporto sugli «Abusi delle minoranze religiose» appena pubblicato da Human Rights Monitor, un'organizzazione non governativa locale, li descrive come una comunità seriamente minacciata. «Proprio in Pakistan sta il cuore del problema islamico. Qui è nata Al Qaeda, c'è la retrovia dei talebani, ci sono larghe fette di popolazione culturalmente pronta ad ascoltarli. Il governo non li combatte davvero, ma cerca continuamente compromessi. Basti pensare che nel 1947 le minoranze religiose, compresi gli indù, sfioravano il 30% della popolazione, ora sono il 3%», sostiene Asma Jahanagir, presidente dell'Ong. A vedere le statistiche, il governo è riuscito a limitare gli attacchi contro le chiese. Dal periodo dell'attacco Usa contro l'Afghanistan, tra l'ottobre 2001 e il 2005, ne vennero bruciate almeno una dozzina. Negli ultimi due anni solo un paio. «Ma è un miglioramento solo apparente. Quelli erano attacchi molto visibili e per questo subito platealmente condannati, anche se tutto sommato limitati a pochi fanatici. Ora invece le aggressioni sono molto più diffuse e numerose nel Paese: violenze carnali contro donne cristiane, minacce alle scuole, accuse pretestuose contro cristiani e indù di vilipendio alla religione musulmana, rapimenti. Ma siccome sono fatti minori restano ignorati e per lo più impuniti», aggiunge la Jahanagir.
Tra gli attacchi più gravi, quelli alle coppie miste. «In genere si tratta di uomini cristiani che vorrebbero sposare donne musulmane. Ma le due comunità si oppongono. E spesso avviene che i musulmani siano pronti ad uccidere i due fidanzati pur di evitare il matrimonio », racconta Shamim, una suora di 31 anni dell'Ordine di San Paolo, che ha vissuto nella paura i mesi trascorsi nella diocesi di Quetta. A credere nella convivenza era invece la giovane figlia di Alexander John Malik, carismatico arcivescovo anglicano di Lahore. Ha voluto sposarsi con un medico musulmano. Ma le pressioni e le minacce sono state impossibili da sostenere. La stessa comunità cristiana si è messa ad accusare l'arcivescovo di essere un cattivo pastore per non aver saputo fermare la figlia. Alla fine, esasperati ed impauriti, i due sposi sono scappati a Londra.

© Copyright Corriere della sera, 15 ottobre 2007

Nessun commento: