3 gennaio 2008

Quel deficit di speranza male oscuro del nostro tempo (Colombo per "Avvenire")


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Quel deficit di speranza male oscuro del nostro tempo

ROBERTO COLOMBO

Il nuovo anno, come ogni stagione della storia, eredita dal precedente problemi irrisolti e ne preannunzia di nuovi, conserva ferite aperte e lascia intravedere nuove battaglie. Come – secondo l’augurio che ci siamo scambiati nella notte di San Silvestro – può essere «buono» o «migliore», un tempo amico dell’uomo, un’occasione propizia e non un fardello che aggrava il peso dei nostri anni?
I nemici della vita personale e sociale non sono i problemi che si incontrano, gli ostacoli che si frappongono tra il desiderio e il suo compimento, che separano l’attesa dalla realizzazione. Il gusto della vita non è rapito dai problemi che ci assillano.
Al contrario, essi sono la continua provocazione a non accontentarci mai di ciò che non corrisponde alle evidenze e alle esigenze del nostro cuore. Per gustare la vita fino all’ultima goccia occorre tenere aperta la questione – l’unica grande questione – il cui fondamento l’uomo moderno tende a censurare: la speranza. Una speranza per il futuro nostro e dei nostri figli, certo, ma che ha la sua radice, come scriveva San Tommaso, in una realtà presente.
Qualcosa che c’è già, qui e ora e per sempre. Senza questo fondamento, ogni edificio dei desideri e delle attese dell’uomo è fragile come un castello di carte.
«Questa grande speranza – ha ricordato il Papa – può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere». Per questo, desideriamo per noi e per tutti che quel Mistero «che in Cristo ci ha mostrato il suo Volto e aperto il suo Cuore possa [...] trasformare la nostra vita» (Spe salvi) e torni a essere il centro di gravità delle questioni che agitano la vita individuale e sociale. In un tempo in cui si (ri)aprono le grandi questioni civili del nostro Paese e si cerca una larga intesa per affrontarle, il senso religioso dell’esistenza – il cuore della vita – e l’Avvenimento che per l’uomo europeo ne ha costituito il compimento riconosciuto da secoli – il Natale di Cristo – non possono restare estranei. Se così fosse, diverremmo stranieri a noi stessi.

I discorsi di fine anno degli statisti sottolineano i mali che affliggono la nostra società e affievoliscono la fiducia dei cittadini, accrescendone l’incertezza per il domani: la perdita del potere d’acquisto dei salari, l’insicurezza del lavoro, la debolezza dell’economia, la lentezza nell’innovazione, l’instabilità politica, il dilagare della violenza, il disagio dei giovani. l’integrazione degli immigrati, la minaccia delle guerre e del terrorismo, il degrado ambientale ed altre ancora.

In occasione del Te Deum di fine anno in San Pietro, Benedetto XVI non si è soffermato su questa pur corretta disanima dei problemi. Non ha solo denunciato le incertezze del vivere, ma è andato alla loro radice, «quel deficit di speranza e di fiducia nella vita che costituisce il male 'oscuro' della moderna società occidentale».

Non si può debellare una malattia alleviandone solo i sintomi: una medicina efficace deve arrivare a sconfiggere il male nella sua origine. La malattia di cui soffre l’Occidente 'sazio e disperato' è l’oblio della sorgente del proprio essere: una sorgente che non è in noi, ma in un Altro. Per riprendere la vita quotidiana dopo la festa, occorre che la festa ci abbia (ri)dato una ragione per vivere, una meta di cui «possiamo essere sicuri» e che «è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Spe salvi).

Ultimamente, ciò che serve alla persona e alla società è una educazione. Benedetto XVI ha parlato nuovamente di «emergenza educativa». Per non restare bloccati di fronte alla vita, annoiati o violenti, in balia delle mode o del potere, occorre ricostruire e difendere i luoghi dell’educazione.

Anzitutto la famiglia, cui la scuola e la Chiesa possono dare il loro contributo per introdurre i giovani alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale. Educare è una responsabilità di tutti perché l’educazione è la vera emergenza dell’Italia e del mondo: solo attraverso di essa cresce nella verità e nella libertà la persona e, quindi, la società.

© Copyright Avvenire, 3 gennaio 2008

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