14 marzo 2008

Vescovo ucciso: martirio in Iraq (Rodari)


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Vescovo ucciso: martirio in Iraq

di Paolo Rodari

Sentito dal Riformista pochi minuti dopo l’annuncio dell’uccisione di monsignor Faraj Rahho - arcivescovo caldeo di Mosul - sua beatitudine il cardinale Emmanuel III Delly, eletto nel 2003 guida del patriarcato di Babilonia dei caldei che ha sede a Baghdad, è particolarmente scosso: «Sono senza parole. Posso solo dire che domani andrò nella cittadina di Karamles per i funerali. La morte di monsignor Rahho è una terribile croce per la nostra Chiesa».
Poche parole, dunque, come poche sono le frasi rilasciate dal nunzio apostolico in Iraq, monsignor Francis Assisi Chullikatt: «Il corpo di monsignor Rahho è stato trovato nei dintorni di Mosul. Era stato sepolto dai rapitori che lo avevano rapito il 29 febbraio scorso dopo la Via Crucis celebrata nella chiesa del Santo Spirito».
La notizia della scomparsa di Rahho è arrivata in Vaticano come una doccia gelata.
Per il Papa è stato «un atto di disumana violenza che offende la dignità dell’essere umano». I vescovi italiani hanno parlato in un comunicato di «martirio». La sezione della segreteria di Stato vaticana deputata agli affari esteri ha seguito con apprensione le notizie che giungevano in questi 14 giorni da Mosul, ma non ha mai avuto conferme che Rahho fosse vivo. La Santa Sede sa bene cosa Rahho rappresentasse per l’Iraq. Era l’uomo del dialogo coi musulmani, l’uomo della speranza per la piccola comunità cristiana irachena: i caldei sono la parte preponderante, poi assiri, siriani, armeni e latini. Una comunità in sofferenza e che cerca di lavorare per la riunificazione del paese. Una comunità oramai sempre più al centro dello scontro tra musulmani sciiti e sunniti, in pericolo anche per la totale mancanza di sicurezza.
Durante il regime di Saddam i cristiani erano 1 milione e mezzo. Oggi sono 400 mila. In quattro anni sono state distrutte 50 chiese, uccisi tre sacerdoti. Molti sono stati costretti a cedere terreni e abitazioni, pena la morte, obbligati a lasciare città e villaggi di origine, a trovare rifugio in Giordania, Siria, Libano e nel Kurdistan iracheno.
Una volta caduto Saddam sono esplosi conflitti politici, etnici e confessionali che covavano da tempo ma che non erano mai stati risolti. Non che con Saddam la vita dei cristiani fosse migliore, ma oggi sono antiche ferite a essersi irreparabilmente riaperte. La resa dei conti tra le comunità musulmane è in atto. E i pochissimi cristiani rimasti nel paese si trovano nel mezzo.

© Copyright Il Riformista, 14 marzo 2008 consultabile online qui, sul blog di Rodari.

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