29 luglio 2008

Il fascino attualissimo del professore di Cartagine: "Con Agostino gli studenti non si annoiano" (Osservatore Romano)


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Il fascino attualissimo del professore di Cartagine

Con Agostino gli studenti non si annoiano

Seguire l'itinerario agostiniano per comprendere meglio la storia della filosofia antica e il mutamento del concetto di saggezza portato dal cristianesimo. Questi gli obbiettivi del libro Sant'Agostino e la saggezza (Torino, Lindau, 2008, pagine 111, euro 12) del quale pubblichiamo il primo capitolo.

di Lucien Jerphagnon

Quando quel mattino del gennaio 1963 entrai nell'anfiteatro non ero molto a mio agio. All'epoca ero assistente del caro Maurice de Gandillac alla Sorbona. A quel tempo, al loro ingresso, i neodiplomati dovevano frequentare un anno preparatorio, la "propedeutica", termine il cui etimo presupponeva già nei partecipanti una minima conoscenza del greco. Avevamo il compito di mettere quei giovani in condizione di apprendere, di insegnare loro a rivolgere il proprio interesse a campi diversi, affinché scoprendo altri oggetti di studio confermassero la loro presunta vocazione e ne scoprissero i rischi. Questo avveniva perché dovevano superare velocemente gli esami che allora erano previsti dal piano di studio del loro corso di laurea. In breve, sembrava una catechesi o un'iniziazione ai misteri. Oggi non è più così.
Per dare a quei neofiti, che oggi hanno passato la sessantina, un'idea di quella che poteva essere la storia della filosofia avevo scelto Platone, Agostino e Cartesio.
Ottenni l'approvazione del mio superiore: tre autori, tre epoche, e quindi tre fasi del pensiero nel corso della storia. I tre mesi dedicati a Platone passarono piuttosto bene, anche se, con un certo distacco, mi verrebbe da dire che "potevo fare meglio". Agostino però era la prima volta che lo insegnavo. Ecco spiegata la mia agitazione di quella mattina entrando nell'anfiteatro di anestesiologia, dove ogni settimana avevo due ore. La filosofia non era certo prevista nel programma di medicina, ma in quel periodo i complessi di Censire, Nanterre o Vincennes non esistevano neppure nella testa dei ministri, e quindi la facoltà di medicina metteva generosamente a disposizione di quella sovrappopolata di lettere un'aula.
A volte mi capitava, prima di appoggiare le mie cose, di spostare delle garze o alcuni strumenti lasciati l'ora precedente dal collega di medicina... Che nostalgia.
Mi rivedo, sempre quel mattino, estrarre dalla cartella i miei appunti e le Confessioni nell'edizione Budé. Pessima idea, mi dicevo, aver scelto Agostino così su due piedi, quando avrei potuto preferire Lucrezio, Marco Aurelio o un altro. In quell'anfiteatro affollato, di certo popolato in maggioranza da atei più o meno ferventi, da marxisti di qualche osservanza o da agnostici tranquilli, chi mai avrei potuto interessare con il mio "Agostino (355-430), nato a... e così via"? Qualche "prete" forse, come venivano chiamati ai miei tempi quelli che "andavano a messa"; una sorta di specie in via d'estinzione dopo la morte di Dio! Ah, ci fossero state almeno due suore gentili e assidue come quelle che annotavano scrupolosamente tutto ciò che dicevo su Platone. Forse questo avrebbe procurato loro due posti da insegnanti? A ogni modo, mentre sedevo, mi dissi alea iacta est.
Con mia grande sorpresa, nelle settimane successive non soltanto non vidi l'anfiteatro spopolarsi, come mi sarei aspettato, ma percepii ben presto quel tipo di attenzione che ogni insegnante conosce bene: quella tradita da un sorriso, da un luccichìo negli occhi, da una penna che rimane a mezz'aria per qualche istante. Scoprivano inaspettatamente che questo santo del calendario, che alcuni conoscevano solo per il nome di una chiesa di Parigi e della rispettiva fermata della metropolitana, era intramontabile e capace di anticipare l'intuizione di sant'Anselmo e la sua argomentazione, Cartesio e il suo Cogito, parlando anch'egli di Dio in ogni pagina. Sentivo che non sarebbero scappati, e questo in parte mi rassicurava. Quei due mesi sarebbero serviti a qualcosa. Infatti, quando in seguito affrontai Cartesio, citando i passi in cui faceva riferimento ad Agostino colsi nei loro sguardi un bagliore di complicità. Sapevamo di cosa si trattava ed eravamo contenti di vederci più chiaro. I libri parlano tra loro, è risaputo.
In seguito, quando insegnai storia della filosofia antica e medievale, mi venne più volte l'idea di dedicare ad Agostino un intero corso avanzato.
Del resto non sarei stato l'unico a farlo: seppi infatti che, anche se raramente, alcuni libri di Agostino erano stati inseriti nei programmi di abilitazione all'insegnamento universitario sia di lettere che di filosofia. Dunque, a parte qualche sporadico caso di grave allergia ideologica, i miei studenti accantonavano ogni orientamento e manifestavano curiosità per il percorso intellettuale di Agostino, per i suoi viaggi e le sue scoperte. E soprattutto per il suo modo di innovare ciò che affrontava, di collocare inaspettatamente ogni cosa su un altro piano. Tutto questo li affascinava. L'interesse degli studenti per Agostino era testimoniato in modo indiscutibile dai loro lavori, dalle loro tesi. e dalle loro relazioni... persino dai loro appunti.
Ma al di là del pragmatismo scolastico che mira alla lode - o alla media - io avvertivo dell'altro. Potevo dire a me stesso che questi ragazzi avevano tratto dall'incontro con Agostino tutto un altro vantaggio che non il semplice buon voto.
Gli esami orali, le conversazioni in corridoio, tutto questo mi dava l'impressione che quella generazione, un millennio e mezzo dopo Agostino, sentisse in sé qualcosa fino ad allora mai conosciuto. Non che si fossero minimamente convertiti, né era questo il mio scopo; anche perché quello di Agostino non era certo il mio modo di vedere le cose. Avevo una sensibilità troppo "platonica" per condividere tutti i punti di vista di Agostino. E poi - come dire - Agostino era più cristiano di me. No, si trattava di altro. Era come se nell'esperienza personale narrata da Agostino, per quello che ne avevamo tratto dalla sua filosofia e dalla sua vita personale, scoprissimo tutti insieme, ragazze e ragazzi, un'altra dimensione dell'esistenza oppure, se l'avessimo sperimentata, un altro modo di esprimerla. Avevo l'impressione che si facesse strada in questi giovani la preoccupazione comune di collocare nel tempo la propria effimera durata, di realizzare un equilibrio, un'armonia e forse - chi lo sa - una qualche felicità, al di là del significato che ognuno le attribuisce. In breve, avevo l'impressione che attraverso questi testi venuti da un passato tanto lontano e che potevano sembrare così distanti dalle preoccupazioni quotidiane, aprissero gli occhi a quel modo di pensare e di vivere che, per consuetudine e in mancanza di meglio, chiamiamo saggezza. Una saggezza tra tante altre, certo, ma che sembrava aver brillato nei secoli fino a raggiungere il nostro anfiteatro.
Non era forse questo ciò che seguitavo a scoprire nel corso della mia vita, leggendo e rileggendo quegli autori, sempre felice della fortuna che avevo di superare i limiti del mio secolo e di offrire questa possibilità anche ai ragazzi che la sorte mi affidava? Riguardo ad Agostino, volevo proprio renderli partecipi di quello che in lui mi aveva affascinato. Per queste ragioni avevo avuto l'idea di includerlo nel programma: per passione. (...) Ci si può appassionare a un autore senza per questo assoggettarvisi. Lo si prende, lo si lascia e vi si ritorna. Del resto è proprio così che durante i miei studi sono arrivato ad Agostino: per curiosità. E non potevo che sentirmi sempre diverso, e a mano a mano che scorrevo le pagine in quarto dell'edizione Vivés mi affezionavo a lui sempre di più. Poi scoprivo che avevo condiviso le sue stesse letture: Plotino, Porfirio e tutti gli altri. Ma ero ben lungi dal pensare che non l'avrei mai più lasciato fino alla fine dei miei giorni, né che avrei contribuito come potevo a mantenerne viva anche ai giorni nostri la presenza e forse anche la saggezza. Inoltre, bisogna precisare cosa si può imparare da tale sapienza e come venivano percepite le cose al tempo di Agostino, il quale prima di ottenere la più prestigiosa cattedra di retorica dell'Impero Romano d'Occidente, quella di Milano, era stato anch'egli uno dei tanti studenti di Cartagine, così come io lo ero stato di Parigi. La saggezza, dunque. Ma di fatto quale saggezza?

(©L'Osservatore Romano - 30 luglio 2008)

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