28 luglio 2008

Adrian Pabst: "La complessa sfida dell'arcivescovo di Canterbury per evitare lo scisma" (Sussidiario)


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ANGLICANI/ La complessa sfida dell'arcivescovo di Canterbury per evitare lo scisma

Adrian Pabst

La Comunione anglicana, che rappresenta il terzo maggior gruppo di cristiani dopo i romano-cattolici e gli ortodossi, è sul limite della disintegrazione.
La battaglia che contrappone i modernizzatori progressisti ai tradizionalisti conservatori sta rapidamente disfacendo il tessuto connettivo della Comunione anglicana, ponendo la minaccia di una rottura definitiva. La cristianità anglicana richiede una nuova rotta, se si vuole evitare un nuovo scisma.
La nascita dell’anglicanesimo è comunemente associata a Enrico VIII, quando la Chiesa di Inghilterra rifiutò l’autorità papale riguardo ai molteplici matrimoni di Enrico.
Tuttavia, la Chiesa anglicana si può far risalire alla cristianizzazione della Britannia nel sesto secolo, con il primo Arcivescovo di Canterbury nel 597, e alla formazione di una Chiesa inglese (ecclesia anglicana) nel Medioevo. Attraverso l’influenza inglese, congregazioni nazionali furono costituite oltreoceano, dando luogo all’anglicanesimo. In parte come conseguenza della Riforma protestante, non fu riconosciuta nessuna autorità centrale e ogni congregazione nazionale si governa perciò in modo autonomo.
L’indipendenza americana ha consolidato l’autonomia delle Chiese nazionali anglicane, un modello successivamente esportato dall’Impero britannico e dai missionari in Australasia e Africa: con quasi venti milioni di membri, la Nigeria è la Chiesa anglicana più grande. Storicamente, ciò che tiene unita la Comunione è il legame con la Chiesa d’Inghilterra e la primazia dell’Arcivescovo di Canterbury, che è “il primo tra eguali” all’interno del corpo dei vescovi anglicani. Teologicamente, l’anglicanesimo rappresenta un autentico cattolicesimo riformato, fedele alle radici cristiane dei Padri della Chiesa e del Medioevo, che ha anche punti di contatto con l’ortodossia orientale.
L’aspro conflitto tra liberali e conservatori sta compromettendo questa unicità e la capacità della Comunione di essere un ponte tra le Chiese cristiane. La recente decisione della Chiesa di Inghilterra di approvare la consacrazione di donne a vescovo ha reso più difficili le relazioni con Roma e il Vaticano ha espresso rincrescimento e preoccupazione per il futuro del dialogo ecumenico. Inoltre, questa decisione ha accresciuto le tensioni tra l’ala progressista e quella conservatrice, tensioni che rispecchiano una più ampia frattura all’interno della Comunione tra queste due fazioni, specialmente dopo l’elezione a vescovo nel 2003 di un prete omosessuale a vescovo anglicano del New Hampshire.
L’incontro del mese scorso a Gerusalemme dell’ala evangelica conservatrice ha portato all’approvazione di un consiglio separato dei vescovi conservatori, non per costituire una Chiesa separata , ma al fine di prendere in mano la Comunione ed escludere quelli che considerano come dei progressisti eretici, ivi incluso Rowan Williams, l’attuale Arcivescovo di Canterbury. I ribelli stanno boicottando la Conferenza di Lambeth, in corso a Canterbury, la assemblea dei vescovi anglicani che si tiene ogni dieci anni e che, pur non avendo alcun potere formalizzato di prendere decisioni, è vista come l’espressione del pensiero comune dell’anglicanesimo e uno strumento di unità della Comunione.
Questo atteggiamento settario contrasta vivamente con quello della gerarchia cattolica, che ha inviato a Canterbury il Cardinale Walter Kasper allo scopo di riaffermare l’impegno del Vaticano verso una piena riunificazione delle Chiese basate sull’ordine episcopale.
Lo scontro tra progressisti e tradizionalisti è centrato sui vescovi gay e donna, ma il problema è che, riducendo queste questioni alla interpretazione delle scritture e ai precedenti storici, entrambi i contendenti finiscono per ignorare la tradizione formativa della Comunione e le fonti dell’autorità.
E' questa ignoranza che impedisce un appropriato dibattito teologico tra le due parti in guerra.
I conservatori condannano i liberali che fanno proprie norme morali secolarizzate incompatibili con gli insegnamenti anglicani sull’etica e il matrimonio. I progressisti accusano i tradizionalisti di intolleranza e di lettura letterale delle scritture contrarie all’apertura anglicana. Entrambi hanno ragione circa l’altro, ma hanno torto circa la loro Chiesa. In realtà, tra loro vi è molto più in comune di quanto siano disposti ad ammettere. Entrambi pretendono un monopolio sulla interpretazione biblica che nessuno dei due ha, entrambi dichiarano di parlare a nome di una maggioranza di anglicani, che in realtà nessuno di loro rappresenta, ed entrambi considerano l’anglicanesimo in termini ideologici invece che in una solida ottica teologica.
Come risultato, la divisione sempre più profonda tra progressisti e tradizionalisti nasconde una visione più ortodossa e più radicale, che trascende l’attuale divisione e situa la Comunione decisamente all‘interno della tradizione episcopale, accanto alla Chiesa romano-cattolica e a quella ortodossa orientale. L’episcopato differenzia l’anglicanesimo dai protestanti scismatici, come i battisti, conservando la successione apostolica, cioè il legame ininterrotto dei vescovi con i dodici apostoli di Gesù. La successione apostolica assicura la legittimità della missione anglicana e conserva la continuità delle Chiese anglicane locali con l’autorevole Chiesa universale (o cattolica).
La specificità della tradizione episcopale anglicana risiede nella fusione tra pratiche liturgiche e sacramentali tradizionali e idee politiche e sociali progressiste, un’eredità che risale ai padri fondatori della teologia anglicana del 16° secolo, come William Tyndale e Richard Hooker. L’anglicanesimo ha sempre cercato perciò di rappresentare un’alternativa cattolica riformata sia al progressismo protestante che al fondamentalismo conservatore degli evangelici.
Se i liberali vogliono allargare l’episcopato alle donne e ai gay e se i conservatori vogliono opporsi a questi sviluppi, devono fornire argomentazioni teologiche tratte dalla tradizione episcopale, ed entrambi devono anche rispettare l’autorità dell’Arcivescovo di Canterbury come “primus inter pares”. Altrimenti, i vescovi progressisti e conservatori si separeranno dall’ortodossia anglicana e perderanno così la loro legittimazione.
È difficile vedere come le contrastanti visioni possano essere riconciliate, ma per ricondurre a unità gli 80 milioni di anglicani della Comunione mondiale si dovrà fare ben di più che recuperare l’ortodossia anglicana. Rowan Williams ha fatto il primo passo mettendo in discussione le motivazioni non teologiche che hanno spinto i progressisti a “strappare” con la nomina di un vescovo gay e i conservatori a costituire un concilio rivale di vescovi. I suoi critici sostengono giustamente che dalla sua elezione nel 2003 non è riuscito a superare l‘impasse; sebbene egli abbia ereditato molti problemi dal suo predecessore, finora non è riuscito a cambiare i termini della questione nel dibattito, anche perché la sua stessa posizione è oscillata nel tempo tra progressismo sociale e conservatorismo teologico.
Comunque, Williams è in una posizione unica per progettare una nuova rotta per la Comunione anglicana, perché le attuali divisioni nascondono una opzione di maggior respiro che egli ha sempre cercato di comunicare: cancellare l’opposizione tra progressisti e conservatori attraverso una teologia rivitalizzata che conservi ed estenda la tradizione episcopale anglicana. A meno che voglia assistere a uno scisma de facto, Williams deve presentare una nuova concezione dell’anglicanesimo episcopale e riunire gli anglicani attorno ad essa. Quelli che dovessero rifiutare la sua autorità e questa concezione su basi non teologiche si escluderebbero da soli dalla Comunione.
In conclusione, una teologia anglicana adeguatamente ridisegnata e rinvigorita è indispensabile per la conservazione della Comunione e per un riavvicinamento dei cristiani nel mondo.

© Copyright Il Sussidiario, 28 luglio 2008 consultabile online anche qui.

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