28 luglio 2008

A Tarso, sulle orme di Saulo: la città delle quattro culture (Osservatore Romano)


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A Tarso, sulle orme di Saulo

La città delle quattro culture

di Mario Spinelli

Eccoci a Tarso. Fra tutte le mete del pellegrinaggio paolino in Turchia - magari più "blasonate", come la grecoromana Efeso o la biblica Antiochia di Siria - Tarso dà una emozione particolare a chi vi arriva dopo aver lasciato alle spalle la catena costiera del Tauro, perché questa città è legata più intimamente di altre alla vita e alla persona di Paolo.

Infatti è qui che l'apostolo è nato - duemila anni fa, fra il 5 e il 10, secondo una tradizione antica - ed è qui che ha passato i primi trent'anni della sua vita, studiando i sacri testi e lavorando come artigiano tessile.

Sia pure con qualche lungo soggiorno a Gerusalemme, per completare la sua educazione rabbinica e farisaica nella rinomata scuola di Gamaliele (cfr Atti 22, 3).
Anche se è stata una famosa metropoli ellenistica e romana la Tarso di oggi non ha un parco archeologico esteso, come Gerapoli, Afrodisia o altri centri della Turchia. È una città moderna, industriale, sui duecentomila abitanti, piena di moschee, negozi, edifici pubblici, con tante donne velate ma ancora di più vestite all'occidentale, e con un traffico automobilistico intenso e vivace. Il mare dista pochissimo, per cui si può considerare una città mediterranea a tutti gli effetti, con il clima e la luminosità delle località costiere.
Muovendoci in questo scenario tipico della Turchia di oggi, che tende a europeizzarsi e occidentalizzarsi sempre di più, nonostante certe "resistenze" conservatrici, andiamo in cerca dei luoghi e delle memorie paoline, incoraggiati pure da alcuni manifesti e striscioni in turco che ricordano il bimillenario di san Paolo, da poco inaugurato proprio qui nella chiesa-museo a lui intitolata.
Nelle sue lettere l'apostolo non parla mai della città che gli aveva dato i natali, come del resto è sempre avaro di notizie sulla sua famiglia, infanzia, giovinezza.
Solo in Filippesi 3, 5-6 ricorda la sua identità giudaica, l'appartenenza alla tribù di Beniamino e la sua condizione di fariseo. Ma pure qui neanche una parola su Tarso, che invece è presentata più di una volta come la città di Paolo negli Atti degli apostoli.
Al tribuno romano che lo aveva arrestato dopo i disordini nel tempio di Gerusalemme alla fine del terzo viaggio missionario in Anatolia e in Grecia (53-58 dell'era cristiana) Paolo dichiara: "Io sono giudeo, cittadino di Tarso in Cilicia", e aggiunge: "una città che non è certo priva di importanza", alludendo all'antichità e alla vitalità politica, religiosa e culturale della capitale di quella provincia romana (Atti, 21, 39). Saulo ricorda di nuovo di essere nato a Tarso parlando alla folla di Gerusalemme, anche se si preoccupa di precisare il carattere gerosolimitano "doc" della sua formazione (cfr Atti, 22, 3).
Ma gli Atti degli apostoli ci dicono pure che Tarso non fu solo il luogo della nascita e della giovinezza di Paolo. È invece una città e una presenza ricorrente nella sua vita e nei suoi viaggi apostolici. Egli torna a Tarso dopo la conversione e vi si trattiene (cfr 9, 30). Infatti è là che va a cercarlo Barnaba per riportarlo con sé ad Antiochia, che ormai era diventata il centro dell'azione cristiana assieme a Gerusalemme (cfr 11, 25). E finalmente, dopo la partenza da Antiochia, sarà proprio Tarso la prima tappa sia del secondo che del terzo viaggio missionario, dal 50 al 52 e dal 53 al 58.
Come si fa durante il pellegrinaggio in Terra Santa, pure in quello paolino si possono introdurre le visite ai vari luoghi e santuari con le testimonianze bibliche mirate. Così, sulla scorta della lettura dei passi ricordati degli Atti degli apostoli, ci portiamo sulle memorie di Paolo. La sua vicenda ci fa pensare a come era importante la diaspora giudaica di Tarso, città dalle tre culture, ellenistica, romana e giudaica, a cui poi si sarebbe aggiunto il cristianesimo. Ebbene, proprio nell'area cittadina abitata nell'antichità dagli ebrei c'è il sito di quella che la tradizione indica come "casa di san Paolo".
Sono muri antichi, scabri, solidi, dove gli archeologi hanno lavorato bene, riportando recentemente alla luce alcune fondamenta e costruzioni, ben conservate e visibili sotto una moderna protezione trasparente. È qui una sorta di Nazaret o di Betlemme della missione e dell'evangelizzazione paolina, e nella sua semplicità, fra i turisti e i pellegrini che si aggirano attenti e compresi, il luogo fa riflettere sugli inizi piccoli e poveri di tanti eventi e sviluppi anche grandiosi.
In quello che appare come il cortile della casa sorge il "pozzo di San Paolo", largo più di un metro e profondo quasi quaranta. È una meta antica e cara ai pellegrini, che si alternano ad attingere l'acqua con un secchiello di rame e la bevono per devozione.
L'altra memoria è la chiesa di San Paolo, un monumento austero ma elegante in calcare biondo, di stile vagamente gotico, nell'angolo di un cortile ombreggiato. Ricostruita nel xix secolo e abbandonata agli inizi del Novecento dopo la partenza degli ortodossi, l'antica chiesa è diventata un museo negli anni Venti. Pure questo simbolo paolino è stato restaurato di recente, in vista del bimillenario. Ma l'auspicio, come ci aveva detto a Iskenderun il vicario apostolico di Anatolia, monsignor Luigi Padovese, è che l'edificio sacro sia restituito stabilmente al culto cattolico.
E dopo i siti paolini visitiamo quelli romani, che ci ricordano la capitale della Cilicia, la provincia imperiale dove visse Saulo, e che un secolo prima era stata governata da Cicerone. Incontriamo una prima memoria sulla strada diretta al vicino litorale: è la cosiddetta Porta di Antonio e Cleopatra, perché secondo la leggenda la regina egiziana e il triumviro romano si incontrarono vicino a questo monumento, negli anni Quaranta del i secolo prima dell'era cristiana.
Il vestigio è noto pure come Porta di San Paolo. In effetti, chissà quante volte l'apostolo sarà passato sotto quell'arcata durante i suoi viaggi. Sulla via opposta, verso il Tauro, non resta invece nulla delle tombe di Massimino Daia e di Giuliano l'apostata, l'ultimo persecutore dei cristiani, che volle riposare accanto all'imperatore che lo aveva preceduto nelle sue scelte neopagane. Giuliano sepolto a Tarso! E pensare che il cristiano da lui più odiato e combattuto - con la parola, il pensiero, gli scritti, le leggi - era stato proprio Paolo.
Ma gli scavi più interessanti, liberati e sistemati alla vigilia dell'Anno paolino, si raccolgono attorno a un bel tratto di strada romana, con il tipico basolato e le colonne corinzie che si ergono tutt'intorno. Memoria classica, o memoria paolina? In realtà, cosa può simboleggiare l'apostolato itinerante e universale di Paolo meglio di una strada romana? Se poi si tratta, come qui, di una via verso un porto del Mediterraneo, navigato in lungo e in largo dall'apostolo, il simbolo si concretizza in documento, in testimonianza storica.

(©L'Osservatore Romano - 27 luglio 2008)

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