2 ottobre 2007
Consigli di lettura: Giovanni Miccoli, "In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI"
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ELZEVIRO «In difesa della fede» di Miccoli
LE METAMORFOSI DELLA CHIESA
Quante definizioni di fede si trovano nel pensiero moderno? Il computo è difficile, forse impossibile. Ma è certo che essa fu il grimaldello utilizzato da Kierkegaard per scardinare il sistema di Hegel, mentre a Gabriel Marcel suggerì l'idea di una indefinita apertura verso l'assoluto. Ed è la medesima presenza che farà capire a Karl Jaspers quanto sia vana la pretesa di offrire sistemi al mondo, perché «fede è ciò che riempie e muove l'uomo nel fondo». E quante istituzioni hanno cercato di gestire la fede? La Chiesa Cattolica è quella che più di ogni altra si è interrogata su di essa, prima e dopo il crollo delle ideologie. Le domande si sono moltiplicate tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Se si volesse riassumere con una frase l'eredità di papa Wojtyla, dovremmo ammettere che egli ha riaffermato come pochi altri pontefici il primato di Pietro ottenendo consensi, come nessuno ha chiesto pubblicamente perdono e cercato la presenza dei santi. Ma è altresì doveroso aggiungere che egli ha reso profondo il solco che separava Roma dalle altre Chiese cristiane. Papa Ratzinger, dal canto suo, sta seguendo il tracciato del predecessore nella veste di custode dell'integrità della fede, cercando di colmare con nuova terra i ricordati solchi. Anche se il suo mandato è agli inizi, tutti ne hanno avvertito il magistero: salvaguardare l'identità cristiana minacciata dal relativismo, combattere i nuovi fanatismi religiosi (ne è stato anche vittima), vigilare le frontiere che la scienza mette ogni giorno in discussione.
È proprio su queste due figure e sul loro operato, muovendosi con scelte argomentazioni, che Giovanni Miccoli, professore emerito dell'Università di Trieste, ha scritto il suo In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (Rizzoli, pp. 414, e 21). Non si è posto un compito facile. La Chiesa del nostro tempo è forte, ha grandi risorse economiche, ma conosce difficoltà che vanno dall'indifferenza all'insofferenza. Wojtyla ha affrontato di petto le grandi sfide della modernità, esponendosi con una presenza straordinaria (per qualcuno eccessiva), tanto da trasformarsi non nel primo comunicatore della fede ma nel solo dotato di una certa visibilità. Un amico vescovo, che faceva notare allo scrivente questo aspetto, sussurrò: «Noi siamo spariti. Forse è meglio così, ma la fede ha bisogno di tutti».
Lasceremo in un canto gli aspetti del consenso, dei rapporti con la politica, diremo soltanto che il saggio di Miccoli affronta questa problematica in nome di quella fede che il mondo cristiano cerca ancora, ogni giorno. Egli parte dall'eredità tormentata del Concilio Vaticano II, che presenta ancora letture opposte se non divergenti, e prosegue con la teologia della liberazione, con i pentimenti dinanzi alla storia, con le nuove guerre che sono uguali a quelle antiche ma vengono scatenate con ragionamenti diversi.
Di più: Miccoli dedica un capitolo al commissariamento della Compagnia di Gesù, una decisione di Giovanni Paolo II «senza precedenti», un atto che farà scrivere a un gruppo di gesuiti, tra i quali il teologo Karl Rahner, personalità di alto profilo intellettuale, una lettera allo stesso pontefice che riflette i numerosi problemi che tormentano la fede e tutto il mondo cristiano. Nella missiva, tra l'altro, si legge: «Anche dopo aver pregato e meditato, non ci è stato facile riconoscere il "dito di Dio" in questa misura amministrativa, perché la nostra fede e l'esperienza della storia ci insegnano che anche l'autorità più alta della Chiesa non è esente da errori». Miccoli mette infine in luce il passaggio avvenuto sul trono di Pietro, dove il custode della fede è diventato il successore di Cristo.
Libro ricco di intuizioni, ben documentato. Conservare e difendere la fede, del resto, è il vero problema di ogni papa.
© Copyright Corriere della sera, 2 ottobre 2007
'IN DIFESA DELLA FEDE' DI GIOVANNI MICCOLI
Giovanni Miccoli, uno dei piu' accreditati storici del cristianesimo, preferisce definirlo un saggio aperto, lavoro approfondito di un osservatore esterno, relativamente arbitrario e per niente esaustivo della storia del pontificato di Giovanni Paolo II e meno che mai dei primi due anni di Benedetto XVI. Ma, al di la' di queste enunciazioni prudenti, le pagine di questo illustre studioso che ha dedicato molti anni del suo lavoro alla figura di Pio XII, analizzano senza incertezze quel 'Pontificato di contraddizioni' che fu, ad una lettura profonda e meno suggestionata dall'immensa popolarita' del personaggio, l'opera di Giovani Paolo II.
Quel pontificato, a due velocita' o a due facce, per tanti versi e' un'enigma affascinante e ancora non risolto. Papa Wojtyla e' stato pienamente consapevole dei pericoli incombenti sull'umanita', ma la Chiesa - scrive Miccoli - che egli proponeva per affrontare tali prove, resta nella sostanza una Chiesa del passato. Alla liberta' evangelica della Chiesa-popolo di Dio e' stata duramente contrapposta ancora una volta la Chiesa-Gerarchia.
Il confronto con la modernita' nel suo pontificato e' stato tutt'altro che risolto. Il cardinale Ratzinger e' stato uno tra i piu' fedeli collaboratori di papa Giovanni Paolo II, e per questo la sua rapida elezione nel conclave del 2005 e' stata considerata un segno di continuita'. Di quella visione del pontificato di Giovanni Paolo II e di quelle linee guida Ratzinger e' stato largamente partecipe, comprimario, se non addirittura protagonista dei pronunciamenti dottrinali. Benedetto XVI si muove dunque nel solco tracciato dal suo predecessore.
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