30 novembre 2007

Enciclica "Spe salvi": lo speciale dell'agenzia Sir


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SPE SALVI: LA SECONDA ENCICLICA DI BENEDETTO XVI DEDICATA ALLA SPERANZA

La seconda Enciclica di Benedetto XVI è suddivisa in 50 paragrafi, numerati all’interno di otto capitoli generali. Dopo l’“Introduzione” si apre il capitolo “La fede è speranza”, di taglio scritturistico, con spazio anche per una figura quale santa Bakhita, esempio vivente della “speranza” cristiana. Il capitolo seguente s’intitola “Il concetto di speranza basata sulla fede nel Nuovo Testamento e nella Chiesa primitiva”: qui sono citati san Gregorio Nazianzeno, san Tommaso d’Aquino e Lutero. Nel capitolo “La vita eterna – che cos’è?”, Benedetto XVI affronta il tema dell’aldilà, mentre nel successivo “La speranza cristiana è individualistica?” entrano in gioco teologi come Henri de Lubac o mistici come Sant’Agostino, Bernardo di Chiaravalle e Benedetto. Nel capitolo “La trasformazione della fede-speranza cristiana nel tempo moderno” compaiono Bacone, Kant, Engels, Marx sul rapporto fede-ragione. Nel capitolo “La vera fisionomia della speranza cristiana” si citano poi Lenin, di nuovo Marx, Adorno, mentre in “Luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza” si parla della preghiera, con riferimento tra gli altri al cardinale Van Thuan, al filosofo Horkheimer, a Dostoevskij e Platone. L’Enciclica si chiude con il capitolo “Maria, stella della speranza”.


SPE SALVI: “I CRISTIANI SANNO CHE LA VITA NON FINISCE NEL VUOTO”

“Spe salvi facti sumus”. Si apre con queste parole, nella speranza siamo stati salvati, la Lettera Enciclica di Benedetto XVI, seconda del suo pontificato dopo Deus caritas est del 25 dicembre 2005, presentata questa mattina in Vaticano. “La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente”.
È una delle prime affermazioni dell’Enciclica, su cui il Papa si domanda: “Ma di che genere è mai questa speranza per poter giustificare l’affermazione secondo cui a partire da essa, e semplicemente perché essa c’è, noi siamo redenti?”. L’“elemento distintivo dei cristiani”, risponde, consiste nel “fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente”. “Il messaggio cristiano – prosegue - non era solo «informativo», ma «performativo». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del futuro è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova”.
Nella prospettiva della speranza, tutto cambia per l’uomo: Benedetto XVI propone questa verità affermando che “la vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c’è una volontà personale, c’è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore”. “Forse oggi – spiega il Papa - molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo”. Aggiunge poi che la prospettiva dell’eternità non va considerata in chiave “individualistica”, come si trattasse di “una salvezza eterna soltanto privata”. “Questa vita vera, verso la quale sempre cerchiamo di protenderci, è legata all’essere nell’unione esistenziale con un «popolo» e può realizzarsi per ogni singolo solo all’interno di questo «noi». Essa presuppone, appunto, l’esodo dalla prigionia del proprio «io», perché solo nell’apertura di questo soggetto universale si apre anche lo sguardo sulla fonte della gioia, sull’amore stesso, su Dio”.
Nella parte centrale dell’Enciclica, il Papa affronta un tema che gli sta molto a cuore: il rapporto fede-ragione. Dopo aver ricordato lo sviluppo scientifico degli ultimi secoli, riferendosi al pensiero di Bacone scrive che “la restaurazione del «paradiso» perduto non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi”, e “grazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno dell’uomo”. La “concretizzazione politica di questa speranza” trova nella Rivoluzione francese e nell’Illuminismo due tappe fondamentali del “regno della ragione e della libertà”. Con Engels e Marx, aggiunge, “essendosi dileguata la verità dell’aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell’aldiqua. La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica”. Si domanda quindi: “Quand’è che la ragione domina veramente? Quando si è staccata da Dio?”. La risposta è che “un «regno di Dio» realizzato senza Dio – un regno quindi dell’uomo solo – si risolve inevitabilmente nella «fine perversa» di tutte le cose descritta da Kant”. Per questo “la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione”.
Occupandosi del “giudizio”, nella parte conclusiva dell’Enciclica, Benedetto XVI scrive che “nella gran parte degli uomini – così possiamo supporre – rimane presente nel più profondo della loro esistenza un’ultima apertura interiore per la verità, per l’amore, per Dio. Nelle concrete scelte di vita, però, essa è ricoperta da sempre nuovi compromessi con il male”. Il Papa allora chiede: “Che cosa avviene di simili individui quando compaiono davanti al Giudice? Tutte le cose sporche che hanno accumulato nella loro vita diverranno forse di colpo irrilevanti?”. La risposta ridona il senso della speranza cristiana. “L’incontro con Lui (il Cristo) è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi”. “Nel dolore di questo incontro, in cui l’impuro e il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza”.
La prospettiva finale che Benedetto XVI delinea al termine della sua seconda Enciclica è quindi di guardare con fiducia all’aldilà. “Alle anime dei defunti – scrive - può essere dato «ristoro e refrigerio» mediante l’Eucaristia, la preghiera e l’elemosina”. Secondo il Papa, “che l’amore possa giungere fin nell’aldilà (…) è stata una convinzione fondamentale della cristianità attraverso i secoli”. Del resto, aggiunge che “nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo”. “Così la mia intercessione per l’altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppure dopo la morte”. Benedetto XVI addita alla fine Maria, madre di Cristo, che nell’accogliere l’annuncio diviene “madre della speranza”. “Quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo «si» aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo?”.


SPE SALVI: CARD. VANHOYE E COTTIER, "IL TEMA SCELTO UNISCE TUTTI I CRISTIANI"

"Il Papa è riuscito a sfuggire a lungo alle ipotesi e indiscrezioni del mondo della comunicazione sulla sua seconda enciclica e ha scritto di getto la 'Spe Salvi'. Questa enciclica non cancella l'attesa di una futura sui temi sociali. Dopo la prima sulla carità e questa sulla speranza, ci domandiamo a questo punto se ci sarà una terza enciclica sulla fede": con queste parole il direttore della Sala stampa della Santa Sede ha aperto la conferenza stampa della tarda mattinata di oggi per la presentazione della enciclica di Benedetto XVI "Spe salvi", presenti i cardinali Albert Vanhoye e Georges Cottier. Rispondendo a una domanda sull'ecumenismo, il card. Vanhoye ha sottolineato che "il tema scelto dal Papa unisce tutti i cristiani, in quanto tutti siamo nella direzione della vita eterna, come comunione piena e definitiva con Dio". Alla domanda sulla dimensione sociale dell'enciclica, il card. Georges Cottier ha sottolineato che "non c'è una ricetta cristiana per la costruzione della società temporale. Invece il Papa auspica che i cristiani si impegnino apportando al mondo e alla soluzione dei suoi problemi il patrimonio dei grandi valori della tradizione cattolica".


SPE SALVI: CARD. COTTIER, "IL PROGRESSO NON È NEGATO, È NEGATA LA RELIGIONE DEL PROGRESSO"

"Il discorso del Papa nell'enciclica sottolinea l'articolazione tra 'le speranze' umane, varie e differenziate, e 'la grande speranza', quella della ricapitolazione in Dio di ogni cosa. Tutti gli uomini con speranze giuste e orientati al bene sono dei collaboratori al miglioramento del mondo. Per questo dobbiamo rallegrarci di tutti i beni che vediamo nascere": lo ha detto il card. Cottier durante la conferenza stampa di stamane in Vaticano. Secondo Cottier, "in questo senso il progresso non è negato, è negata piuttosto la 'religione del progresso' come traguardo ultimo. Il Papa nell'enciclica sottolinea a questo riguardo che per noi cristiani oggi ci sono ancora dei compiti grandi da compiere su questo piano". Sullo stesso argomento il card. Vanhoye ha aggiunto che "l'enciclica parla della sconfitta delle speranze politiche umane, che non possono arrivare a stabilire un mondo veramente rinnovato. La speranza senza Dio è inconsistente – ha aggiunto citando l'enciclica – e la prova è stata nei regimi comunisti dove la libertà non esisteva e l'oppressione è stata forte come mai nel mondo".

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