7 gennaio 2008

Benedetto, il Papa no-global (Franca Giansoldati per "Il Messaggero")


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«Preferiamo il bene comune»


«I conflitti per la supremazia economica ostacolano un mondo giusto»

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO - Benedetto XVI alleato dei no-global. Tanto fermo in dottrina quanto aperturista in questioni sociali e ambientali, con la sua ultima presa di posizione in materia, Papa Ratzinger scatenerà sicuramente l’entusiasmo dell’intero popolo di Seattle.
Le parole pronunciate durante la messa dell’Epifania, in una basilica gremita di fedeli, sono lo specchio delle preoccupazioni della Chiesa, testimone diretta, col suo esercito di missionari sparsi ai quattro angoli del pianeta, del divario tra il Nord sempre più opulento e il Sud sempre più povero. «Anche oggi resta vero quanto diceva il profeta: una nebbia fitta avvolge le nazioni» ha denunciato. Poi di seguito l’affondo: «Non si può dire che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramanto delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale». Col movimento anti globalizzazione il pontefice condivide l’analisi sullo strapotere delle multinazionali, un potere a volte così forte da pilotare le scelte dei singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale, energetico, in buona sostanza non rispettoso delle peculiarità locali, persino dannoso per le condizioni dei lavoratori. Ciò che il Papa suggerisce ad un Occidente distratto e ripiegato su se stesso è di aprire la porta del cuore alla speranza cristiana, unico antidoto in grado di tenere a bada le sirene dell’egoismo, la ricerca del superfluo, gli eccessi, in fondo la rovina di se stessi: «C’è bisogno - ha ammonito - di una speranza più grande che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti». La moderazione - da regola ascetica - si trasforma in una vera e propria «via di salvezza per l’umanità». Condivisione, generosità, giustizia sono i binari sui quali dovrebbero muoversi popoli e governi: «E’ ormai evidente che solo adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per una equa distribuzione delle ricchezze sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile». L’auspicio è di avere governanti lungimiranti e «coraggiosi», capaci di scelte ardite, proprio come i «re Magi che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella e che seppero inginocchiarsi davanti ad un Bambino e offrirgli doni preziosi». Il tema della globalizzazione - assai caro a Papa Ratzinger - sarà al centro della sua prima enciclica sociale. Secondo quanto filtra dai palazzi vaticani il testo dovrebbe vedere la luce il giorno di San Giuseppe, il prossimo 19 marzo. L’argomento gli sta particolarmente a cuore, come del resto testimoniano i suoi recenti interventi. Dall’appello al G8, nel giugno scorso, con tanto di lettera personale ad Angela Merkel per spronare i Grandi ad aiutare l’Africa e sollecitare la cancellazione del debito ai paesi poveri, fino all’omelia pronunciata nel corso della visita pastorale a Velletri, nel settembre scorso. Quel giorno denunciò la globalizzazione intesa soprattutto come fenomeno economico. Senza condannare il profitto in sè, Papa Ratzinger metteva paletti etici poichè il guadagno non può mai divenire il criterio ultimo dell’agire umano dato che dovrebbe tradursi sempre in condivisione e solidarietà. «La generosità si esprime in un amore sincero per tutti». A fare da battistrada al filone no-global è stato Giovanni Paolo II. Tre encicliche sociali e una sfilza di discorsi tanto che arrivò persino a meritarsi il plauso dell’allora segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti e di Fidel Castro. Ratzinger ha ripreso il cammino no global invitando le nazioni ad aprirsi, ad essere generose nella consapevolezza che le parti sociali, gli stati, i popoli sono interdipendenti, che dallo sviluppo degli uni dipende lo sviluppo degli altri. L’Occidente non può più restare in silenzio davanti al dramma di miliardi di persone affamate. Non vederne le conseguenze significa minare lo sviluppo dell’intero pianeta.

© Copyright Il Messaggero, 7 gennaio 2008, consultabile online anche qui

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