3 gennaio 2008
Moratoria sull'aborto: gli editoriali di Giuliano Ferrara
Vedi anche:
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Moratoria sull'aborto: i commenti di Carlo Casini, Baget Bozzo e Sandro Bondi (Il Giornale)
Per ridere di gusto: la esilarante "cronomail" di "Avvenire" per il 2008 :-)
Quel deficit di speranza male oscuro del nostro tempo (Colombo per "Avvenire")
Perché il Papa ha le scarpe rosse? Perché indossa un berretto bianco? Perché ha un anello? I bambini interrogano Mons. Georg
Vaticano, effetto Ratzinger: per incontrarlo sono arrivati in 3 milioni. Successo in libreria. Offerte raddoppiate (Bartoloni per Corriere della sera)
Moratoria sull'aborto: agitazione e parole grosse
Anche stamattina, su Raiuno, contestazioni al Vaticano...senza contraddittorio
In Kenya dilagano gli scontri. Migliaia di persone in fuga
Un invito alle nuove generazioni (commento dell'Osservatore Romano all'omelia del 31 dicembre 2007)
Quel lasciarsi prendere per mano dalla speranza cristiana (commento dell'Osservatore Romano all'omelia del 1° gennaio)
Messaggio del Papa in occasione della Giornata Mondiale della Pace: il commento di "Repubblica" e "Eco di Bergamo"
Messaggio del Papa in occasione della Giornata Mondiale della Pace: lo speciale de "Il Corriere della sera"
L'arte al servizio della liturgia: "La forza seduttiva del Vangelo dipinto" (Timothy Verdon per "L'Osservatore Romano")
Dio ha voluto essere il Dio con noi ed ha una madre, che è la nostra madre (udienza generale)
La moratoria sulla vita si può fare. Eccome
Non è stato uno scatto di umore etico, è una prospettiva realistica
Quaranta anni fa, comunque la si pensi dell’anno 1967 + 1, accadde qualcosa. Roba forte, importante, ambigua, liberatoria e anche asservente, che percorse il mondo intero e fece costume, cultura, legge e politica anche e soprattutto nell’occidente divenuto postmoderno. Nel frattempo molte cose sono cambiate, non solo le ecografie che permettono di vedere quel che si faceva finta di non vedere, anche la mentalità è cambiata, è cambiata in notevole misura la percezione di sé, degli altri, del significato di una società libera. Cinque milioni di pellegrini della vita e dell’amore, tutti a Roma nella prossima estate, ratificherebbero questo cambiamento e lo renderebbero cristallino, leggibile anche a quei ciechi o miopi che fanno finta di niente e continuano a trastullarsi con l’idea che l’uomo è tanto geneticamente simile alla scimmia da potersi comportare molto peggio di una qualunque scimmia. C’è anche la parola d’ordine che mobiliterebbe i popoli occidentali, i giovani, i vecchi, le donne, i cattolici bambini e alla fine anche quelli adulti, e molti laici: la moratoria dell’aborto nel mondo. E se vogliamo qualcosa di simile, per contrappasso, alla famosa intimazione di Russell: “Fate l’amore, non la guerra”, potremmo scegliere: “Fate l’amore, non l’aborto”. Ma che cosa significa la moratoria, in termini di realismo politico?
E’ molto semplice. Ai governi occidentali e a chi ci può stare nel resto della terra si chiede di sospendere ogni politica che incentivi la pratica eugenetica, in particolare quella fondata sull’aborto selettivo per sesso o per disabilità. E questo è un obiettivo degno dello stesso impegno messo nella lotta per sospendere l’esecuzione della pena di morte legale. Il secondo obiettivo è affermare la libertà di nascere come uno dei diritti fondamentali dell’uomo, inscrivendolo nella Dichiarazione universale in base alla quale furono costituite le Nazioni Unite. Sono due grandi mete intrecciate tra loro, il no all’eugenetica e la libertà di nascere, che possono essere indicate come un programma civile, politico, etico e umanitario schiettamente indipendente da ogni valutazione confessionale.
Il manifesto della moratoria potrebbe essere preparato da un comitato internazionale, che comprenda uomini come il francese Didier Sicard o l’italiano Carlo Casini o il bioeticista americano Leon Kass o il filosofo anglosassone Roger Scruton o l’ambasciatore Usa presso la Santa Sede Mary Ann Glendon, e insieme con loro donne e leader dei movimenti laici e cristiani che intorno a questa piattaforma possano creativamente riconoscersi, come hanno fatto a Roma e a Madrid. Ma se eludesse una certa sua vaghezza, per fare un esempio, anche un italiano come Giuliano Amato dovrebbe potersi ritrovare nella cosa. Ed è certo, che a studiare bene tutta la faccenda, si renderebbero disponibili alla riflessione comune e all’azione personalità ed energie del fronte progressista e femminista, quello serio e intellettualmente reponsabile, quello che sa che i diritti dell’uomo o sono universali o sono una pagliacciata pseudoumanitaria. Quello che ha individuato nella medicalizzazione eugenetica della maternità una nuova forma di oppressione delle donne. Fossero vivi Norberto Bobbio e Pier Paolo Pasolini, ovviamente firmerebbero, carta canta: chi dei loro presunti eredi etico- culturali avrà il coraggio di farsi avanti?
Naturalmente un paragrafo della dichiarazione di principio, sulla quale impegnare i governi e le lobby internazionaliste, dovrebbe essere dedicato, e non sarebbe un comma minore ma la condizione del tutto, al fatto che la moratoria esclude ogni forma di colpevolizzazione, men che meno di persecuzione penale, delle donne che si trovano di fronte alla “scelta” della maternità. Le politiche pubbliche, la cultura e lo spirito del tempo sono in discussione, non la coscienza dei singoli.
© Copyright Il Foglio, 2 gennaio 2008
Nominare le cose con il loro nome
Buon anno! Cin cin! Domani finisce la dieta liquida per la Grande Moratoria dell'aborto. Quattro chiacchiere sui laici, madre chiesa e noi stessi
Buon anno a tutti, e cin cin. Da domani martedì, primo dell’anno 2008, biscottini e caffè con latte al risveglio, poi pastina in brodo e verdura lessa a pranzo, con frutta, e infine a cena un petto di pollo ai ferri o un pezzo di formaggio, una fetta di pane, altra verdura e frutta. La dieta speciale per una Grande Moratoria dell’aborto dopo la piccola moratoria della pena di morte, mezza privata e mezza pubblica, sarà per me solo un bellissimo ricordo. Non è stata troppo invasiva, spero, non ha inquietato i telespettatori e i lettori di giornale, ha rallegrato e incoraggiato tanti che ci credono e che ci hanno scritto in modo strabordante, come e più che per le due giornate pro Israele (aprile 2002 - novembre 2005) o per la giornata di celebrazione delle vittime del World Trade Center (10 novembre 2001), anch’esse iniziative per la vita e contro l’andante spirito del tempo.
Ho bevuto acqua, tè e brodo di dado, e non la mia urina. Non ho ricattato nessuno, sono stato felice dei banchetti altrui per festeggiare il molto che c’era da festeggiare, ho accettato e accetto adesioni, distinguo, indifferenze e critiche con eguale tranquillità. Ho lanciato l’idea di un pellegrinaggio per la vita a Roma, di cinque milioni di persone da tutto il mondo, quaranta anni dopo l’esplosione della post modernità e lo scandalo della Humanae vitae di Paolo VI, ed è probabile che non se ne farà nulla ma, se se ne facesse qualcosa, ne sarei lieto. Ad altri spetta la eventuale decisione e il governo della decisione. Nessuno è tenuto a fare cose impossibili, e io sono solo un banale direttore di un giornale abbastanza vivace, e sempre leale con i lettori, e il co-conduttore di uno spazietto televisivo che ha una certa libertà di tono. Punto e a capo.
Punto e a capo nel senso che da domani ovviamente si ricomincia a rompere, in condizioni non più straordinarie ma ordinarie, con il giornale e la tv e frequentando in molti incontri un pubblico anche cattolico che non ha il problema di piacersi ma quello di imparare ad amare. Si ricomincia a porsi e a porre, con mille amici e interlocutori, le solite domande irriguardose sulla natalità, sulla maternità, sulla scienza, sull’infanzia anche prenatale, sulla disabilità, sull’eugenetica, sulla fatale decadenza di una vera idea laica dell’esistenza, sullo spazio pubblico della religione, sui criteri etici non negoziabili e su quelli negoziabili, sulla democrazia e la sua difesa in Italia e nel mondo, su coloro che amano la morte più della vita (nell’islam radicale e anche in occidente), e su tutto il resto della politica, della cultura, dell’economia.
I laici hanno preso la moratoria antiaborto in modo diverso. I radicali, che hanno smesso di pensare da un po’ di tempo, perché devono “fare politica di governo” e celebrare se stessi, hanno rimasticato banalità “in difesa della 194”, come se l’attacco fosse alla legge, che peraltro a suo tempo non hanno votato e che volevano abrogare, e non alla loro specifica e vincente ideologia della legge, allo spirito e alla prassi con cui viene disapplicata. Posizione assunta con toni civili di sapiente indifferenza ma trascurabile, che fa perdere tempo. I cattolici democratici che pretendono per sé una forte impronta di laicità, egemoni nel cattolicesimo politico e governativo, e forti nel Partito democratico, hanno nel complesso oscurato la cosa, giudicandola un piccolo scossone anacronistico, forse una provocazione tradizionalista e restauratrice, peraltro imbarazzante perché arrivata da un ragionamento sulla filosofia molto imperfetta e alquanto ipocrita dei diritti umani universali e non da un’istanza di pura fede, in fondo per loro più maneggevole. Perché la condividono, la fede, ma senza sporcarsi la mente con problemi di consequenzialità tra fede e cultura, tra fede e ragione.
I laici non cattolici di tradizione post comunista o i cattolici post comunisti come la Livia Turco ministro della salute, che avrebbero potuto capire la faccenda e reagire con inventiva e fantasia in favore della salute delle donne e di una vera applicazione della 194 in senso antiabortista, si sono attenuti alla regola del mainstream, dettata dalla stampa laicista e dalla sua cultura, che considera una non-notizia, anche giustamente, tutto quello che non abbia un significato di mercato e di scambio, e alluda pericolosamente a qualcosa, appunto, di non negoziabile se non attraverso l’impegno alla discussione e al contraddittorio (ma nominando le cose con il loro nome proprio). Un giorno, forse, osservando la famosa regola dei vent’anni necessari a rivedere le proprie posizioni a sinistra, gli stessi che hanno scritto il pamphlet post comunista einaudiano intitolato “Il silenzio dei comunisti” scriveranno un pamphlet post secolarista intitolato “Il silenzio dei laicisti”.
Repubblica ha messo in pagina una letterina bella di solidarietà e adesione alla moratoria, e a me sembra un trionfo mediatico senza precedenti. Il Corriere e i telegiornali hanno civilmente dato la notizia. I giornali della destra ne hanno scritto con un certo impegno, di cui li ringrazio, in particolare per gli editoriali del Giornale di Mario Giordano e per un pezzo di Antonio Socci su Libero, così generoso per me che non mi è consentito neanche di ringraziarlo.
E la chiesa? Una quota parte non piccola e comunque significativa del popolo di Dio, intere parrocchie, singoli sacerdoti, intellettuali cattolici tra cui cito la vedova del grande studioso e militante Sergio Cotta, ma anche tanti cani sciolti movimentisti e ascoltatori di Radio Maria, tanti fedeli semplici, tanti laici semplici e semplicissimi e complicatissimi, insomma tanti agnellini di ogni gregge non superomista si sono emozionati o intellettualmente incuriositi o comunque hanno scelto un’adesione attiva, spesso fervorosa, ma sempre razionale. Le lettere sono bellissime davvero, non sono la risposta a un gesto di propaganda come succede spesso in campagne mediatiche così così, sono esse stesse il fatto, la cosa, e per questo le pubblichiamo anche con il supplemento di lavoro festivo delle nostre grandi occasioni. Forse le raccoglieremo in un libro. Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, ha fatto una paginata d’avvio e ha dato la notizia che alcuni vescovi promuovevano la moratoria sull’aborto anche loro, seguendo con discrezione, in mezzo alle dovute e possenti celebrazioni del Natale cristiano, l’iniziativa di un piccolo giornale amico. Qualche amico paterno in quello che si usa definire l’alto clero mi ha chiamato e incoraggiato con amore.
Della chiesa non sono figlio se non per una convenzione battesimale che pare sia stata osservata cinquantacinque anni fa, con un certo pudore, dalla mia famiglia di atei e comunisti. Conosco il pensiero di Ratzinger- Benedetto XVI ma non ho mai visto il mio certificato di battesimo e non saprei ritrovarlo. Considero la chiesa cattolica madre adottiva e maestra d’elezione perché amo le belle storie, le belle idee, le cose ferme che sanno muoversi senza mutare statuto, insomma la filosofia. E perché penso sia invalida una ragione di quaggiù che non sia capace di vedere l’importanza delle ragioni di fede che vedono lassù. E perché penso che il meglio di quel che amo, il credere, il dubitare, la confessione di sé, l’osare e il pentirsi di aver osato, il peccato e la santità, la linearità e semplicità dell’esperienza, il realismo, il principio casto e sensuale del piacere, l’umorismo e l’ironia, insomma il tutto della vita e della speranza così misteriosa e assoluta sulla quale si fonda la nostra relatività finita, è custodito meglio nelle cattedrali e nelle parrocchie di quanto non lo sia nei salons e nel dorato mondo e scintillante della società secolare. E perché amo tutte le denominazioni religiose d’occidente e d’oriente, quelle cristiane come le varie sfaccettature dell’ebraismo rabbinico, uno dei cui maestri filosofici è da sempre la mia guida accademica e spirituale.
Ho imparato che la chiesa è giustamente lenta, attenta, sapiente, diffidente, che i suoi fervori e i suoi dogmi sono sottoposti all’interpretazione, al pragmatismo, a un contatto tenace e costante con tutti i cuori di ogni tempo e specie, con tutte le domande che spesso contano più delle risposte. Capisco che questo è il momento delicato di una grande riaffermazione liturgica e teologica, anche all’insegna dell’ecumenismo e al cospetto di un duro scontro di civiltà a sfondo religioso, un momento di grande reinvenzione di un razionalismo cristiano illuminista e moderno, roba particolarmente necessaria e prioritaria rispetto a tutto il resto, è il momento della massima determinazione e anche della massima prudenza; e capisco perfettamente che si faccia molta attenzione a trattare, sebbene nell’amicizia che la chiesa dimostra alle idee liberali ma non laiciste di questo giornale e al suo modo di esporle, le impennate di un mezzo scemo che digiuna a Natale invece che a Pasqua, che è marito di una femminista newyorkese e non ha figli ma si preoccupa dei figli non nati agli altri, che non si sa come gli sia saltato l’umore di appaiare la moratoria della pena di morte alla moratoria dell’aborto.
© Copyright Il Foglio, 31 dicembre 2007
L'annuncio liquido
Una dieta speciale per la moratoria sull’aborto. Perché siano garantiti fondi al movimento per la vita e ai centri di assistenza che lavorano contro l’aborto, come ha chiesto ieri il giornale dei vescovi e come dovrebbero chiedere i giornali borghesi e laici. Una dieta semplice, che consiste nell’assumere soltanto liquidi dalla vigilia di Natale (dalla mattina della vigilia di Natale) al primo dell’anno (alla mattina del primo giorno del 2008). Non lo chiamo digiuno perché sono grasso, sebbene io pensi in generale di essere felicemente grasso e di recente mi senta un grasso molto in forma, orgoglioso di avere lo stesso peso corporeo (quello mentale è un altro paio di maniche) attribuito a Tommaso d’Aquino.
Questa è la mia decisione, e chi voglia associarsi sarà il benvenuto. Non chiamatela testimonianza, perché la testimonianza è sorella del martirio. Chiamatela per quello che è. Una dieta speciale contro l’ipocrisia e la bruttezza di un tempo in cui la morte viene bandita in nome del diritto universale alla vita e blandita, coccolata come un dramma soggettivo, nella spregevole forma, e molto oggettiva, dell’aborto chirurgico o farmaceutico.
Terrò un diario pubblico dalla casa di campagna in cui mi ritiro, lo terrò in questo giornale e, nei giorni in cui non sarà in edicola, nel suo spazio sulla rete (www.ilfoglio.it). Ho consultato il mio medico e mi ha detto che posso fare quel che faccio senza troppi problemi, basta bere molto, dosare le pillole antidiabete ed eseguire qualche banale controllo della glicemia e della funzione renale. Non è un sacrificio eccezionale, tutt’altro. E’ un altro modo di fare festa. E’ una cosa che non mi sarei mai sognato di immaginare nella vita e che in genere mi ispira una tremenda diffidenza: una buona azione. Buon Natale.
© Copyright Il Foglio, 21 dicembre 2007
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2 commenti:
vorrei richiamare l'attenzione su questa frase di Ferrara:
"I radicali, che hanno smesso di pensare da un po’ di tempo, perché devono “fare politica di governo” e celebrare se stessi, hanno rimasticato banalità “in difesa della 194”, come se l’attacco fosse alla legge, che peraltro a suo tempo non hanno votato e che volevano abrogare"
Lo segnalo perchè chi non è vecchietto come me può non ricordarlo, i referendum sull'aborto furono due e quello dei radicali molto più permissivo non passò.
Quanto al fatto che i radicali abbiano smesso di pensare , sono d'accordo; io li ascolto spesso , è vero che io ascolto di tutto,e devo dire che a parte Massimo Bordin che trovo umanamente molto simpatico e anche abile con la sua rassegna tampa, l'impressione è quella di una specie di movimento religioso, con le sue liturgie e il proprio mahatma che poi sarebbe Pannella.
Ho seguito Ferrara sul Foglio (per favore la storia dell'agente della CIA è di Scalfari e bisognerebbe smetterla dal mio modesto punto di vista di esaminare in modo lombrosiano le vite delle persone per vedere se sono degne di parlare o no, uno sport in cui eccelleva Stalin, lasciamo parlare tutti, santa paletta)e devo dire che lo scossone che ha provocato è stato salutare e forte.
Basta leggere la posta che ha ricevuto.
Seguo anche 8 e 1/2 e mi piace assai perlomeno non faccio la nanna come con altre trasmissioni.
iniziativa interessante quella di Ferrara, un tipo capace di spiazzare come pochi altri...
però, pur non volendo giudicare la persona, io non so se di Ferrara ci si possa fidare del tutto...
cfr i podcast di Fratello Embrione
http://www.fratelloembrione.it/podcast/
Luigi
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