11 marzo 2008

Difendere la storia dal subdolo disprezzo odierno: Carlo Cardia commenta il discorso del Papa al pontificio Comitato di scienze storiche (Avvenire)


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Difendere la storia dal subdolo disprezzo odierno

CARLO CARDIA

La storia è un patrimonio prezioso per tutti noi, perché in essa è scritta la fatica dell’uomo per costruire il proprio futuro e darsi una identità sempre più forte.

Può essere questa una sintesi del discorso svolto venerdì scorso da Benedetto XVI al pontificio Comitato di scienze storiche.

Si avverte l’eco del pensiero di Henry Bergson, per il quale la storia va studiata e coltivata perché costituisce la memoria collettiva dell’umanità. Come persone noi conserviamo la memoria di ciò che abbiamo vissuto individualmente.

Diveniamo parte di una collettività, di un Paese, dell’umanità, soltanto conoscendo gli eventi che ci hanno preceduti, i traguardi conseguiti, gli errori e le tragedie che si sono accumulati nei secoli. Per questo motivo lo studio della storia non riguarda soltanto gli specialisti, ma aiuta ad arricchire la nostra memoria e identità. Tante volte la storia è stata piegata ad interessi partigiani, o disprezzata. È avvenuto ogniqualvolta i despoti hanno voluto l’idolatria dei sudditi convincendoli che stavano vivendo la fase più bella della storia umana rappresentata dalla loro potenza e gloria. Poi, gli occhi dei sudditi si sono aperti quando il despota cadeva, la sua gloria evaporava, si conoscevano i suoi misfatti. È avvenuto ancora quando l’illuminismo ha voluto vedere nel passato soltanto buio e tenebre, per legittimare le proprie idee come nuove e vere.

Diceva Voltaire che «se si dicesse la verità la storia non esisterebbe», perché tutto sino ad allora era stato menzogna. Il terrore rivoluzionario in Francia, le infinite atrocità dei totalitarismi successivi, hanno fatto naufragare le parole di Voltaire ma qualche seme maligno è rimasto nella cultura occidentale.

Il disprezzo per la storia si ripresenta oggi in forma subdola, quando lo scientismo semplicemente ignora la storia dichiarandola priva di significato. L’uomo sarebbe soltanto il frutto di un progresso tecnico che determina il suo habitat naturale e la sua persona.

Il resto, i primordi dell’uomo, la crescita spirituale, la dimensione morale e religiosa, sono scorie di un cammino i cui ritmi sono cadenzati dalla scienza. Così l’uomo si sente rinnovare una promessa di onnipotenza, perché può disporre della sua vita e di quella degli altri, senza avere regole o un’etica cui corrispondere. Paradossalmente l’ideologia scientista diviene la peggior nemica delle scienze storiche perché queste si occuperebbero di un passato mitologico. In questo modo, però, ci si comporta scioccamente come l’uomo che irride alla propria infanzia e alla propria giovinezza, e non si rende conto che ciò che ha costruito nell’infanzia e nella giovinezza è parte integrante del suo essere adulto.

Anche per questo motivo Benedetto XVI ha ricordato che la storia tutta intera ha costruito l’umanità come è oggi, e conoscerla vuol dire conoscere se stessi. Ha un posto la fede nella storia?

Ce l’ha in tanti sensi, ma ne voglio ricordare due. La storia sta lì a dimostrare quanto il cristianesimo abbia contribuito a modificare il mondo antico e a plasmare una umanità ancora dispersa introducendo valori divenuti poi divenuti universali.
Il valore della persona, i suoi diritti maturali, la capacità di trascendere il contingente e ispirarsi ad una universalità di rapporti e di relazioni.
Ma la fede ha un posto nella storia anche per un altro motivo. Perché aiuta a resistere quando prevale la negatività, l’oppressione, quando la storia sembra avvolgersi in una buio senza fine, come è avvenuto tante volte nel passato, e nel lungo Novecento con la notte dei totalitarismi. Chi è cristiano sa che sulla terra non c’è il male senza fine, e ciò dà una forza interiore alla lunga invincibile.

Conoscere la storia non vuol dire abbandonarsi ad una concezione storicistica, per la quale tutto ciò che avviene è razionale e inevitabile, al contrario educa ad imparare dagli errori del passato, a prendere coscienza della grande libertà che è data all’uomo, la libertà di edificare un mondo umano, ma anche di crearsi degli idoli e patirne poi la soggezione.

© Copyright Avvenire, 11 marzo 2008

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