11 marzo 2008
Benedetto XVI invita la Chiesa a ballare con i lupi (Il Foglio)
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Benedetto XVI invita la chiesa a ballare con i lupi
Giuliano Ferrara
Benedetto non delude mai. La sua sprezzatura mette di buonumore. Ma il suo buonumore è ferrigno.
Ha ricevuto il Pontificio consiglio per la cultura e gli ha detto le cose come stanno.
Poteva cavarsela con qualche banalità modernista, ingraziarsi il mondo dei dotti secolari, che aspettano solo segni di benevolenza per celebrarsi e celebrare la riconciliazione, come fecero dopo il Concilio Vaticano Il. Invece è stato rigoroso, severo, caustico.
Ha detto che la gente di mondo, più o meno, se ne infischia della fede cristiana. Nietzsche gli ha dato la notizia della morte di Dio, e loro hanno preso a guardarsi l'ombelico. Nell'ombelico hanno visto il tramonto del mondo borghese-cristiano, e il trionfo della scienza e della tecnica, di un naturalismo evolutivo che non prevede quella grande rottura nella catena dell'essere che è la creatura, piùo meno quel che si definisce l'uomo da un paio di migliaia di anni. Su questo c'è poco da aggiungere, da glossare.
La percepiamo tutti, la nuova centralità secolare dell'ombelico segnalata dal Papa. Non si tratta di individualismo, ma di egocentrismo. Non si tratta di libertà ma di vanità. L'individuo è il nucleo della persona, il centro geometrico intorno a cui ruota un sistema di relazioni che comprende l'alto e il basso della vita, certe possibilità come la speranza o il senso del futuro.
Dove l'individuo è espropriato del suo potere su di sé, non è la persona che trionfa, ma lo stato. Con il marxismo è successo. Con l'arianesimo è successo. Nel Novecento è successo.
Il Papa conosce troppo bene Lutero, che ha deciso di ristudiare a fondo insieme con i suoi vecchi allievi bavaresi, per non diffidare di un generico disprezzo o di una generica devozione verso la libertà del cristiano, che fu oggetto di un celebre discorso del monaco agostiniano riformatore.
Sa, Joseph Ratzinger, quanta moderna ambiguità ci sia in quella figura di libertà interiore selvaggia e di sottomissione esteriore totale alla potestas del Principe. La libertà di Ratzinger vive sotto la permanente sorveglianza della ragione, oltre che sotto l'impulso della fede.
Quel che fa la differenza, secondo il discorso del Papa ai suoi intellettuali organici, è che la cultura individualista e ombelicale è entrata da qualche parte anche nella chiesa, e bisogna farla accomodare fuori senza tanti complimenti. Quella persona gentile e preparata di monsignor Gianfranco Ravasi, il nuovo ministro della cultura vaticano, si sarà accorto in quale pasticcio si è ficcato. Il compito decisivo di dialogare con il mondo com'è si accompagna a quello di riscoprire e rideterminare il soggetto ecclesiastico come dovrebbe essere. Cosa non facile, C'è una grande questione culturale che riguarda da vicino l'intera chiesa: perdere ogni complesso di inferiorità, considerarsi alla pari con il secolo nel discorso pubblico intorno ai massimi sistemi e ai minimi dettagli. La chiesa trionfante del Vaticano I, quello dell'infallibilismo, doveva abbassare la testa e farsi umile. La chiesa umile del Vaticano TI, quello del maternalismo, deve rialzare la testa e farsi maestra. Non è un affare di disciplina, di potere temporalista, di etica da ammannire alle masse, è una questione di identità, di eloquenza, di capacità persuasiva. Il crollo dei totalitarismi politici è stato surrogato dalla costruzione di un potente totalitarismo culturale. I modelli di vita pervasivi del tempo moderno hanno destituito di fondamento l'idea, molto laica, che esista qualcosa di separato, di sacro. L'intoccabilità dottrinale della chiesa di un tempo non si può ripristinare, ovviamente.
Ma l'immunità culturale di cui gode oggi il conformismo neosecolarista, l'insieme delle mitologie e delle ideologie su cui si basa la pretesa di riformare la chiesa e scardinarne il valore nello spazio pubblico, questa è una frontiera lungo la quale al Pontificio consiglio per la cultura tocca di ballare con i lupi.
© Copyright Il Foglio, 10 marzo 2008
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