19 maggio 2008

Il Papa: «Giovani, no ai miti». 50mila fedeli in Piazza della Vittoria per la Messa di Benedetto XVI (Viani)


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Il Papa: «Giovani, no ai miti»

Con la Messa davanti a 50 mila persone in piazza della Vittoria, Benedetto XVI ha concluso ieri la sua visita di due giorni in Liguria.
Dopo la tappa di sabato a Savona, il Papa ha trascorso 24 ore a Genova, dove ha visitato il santuario della Guardia e l’ospedale Gaslini. Ratzinger ha salutato il nuovo governo, rappresentato dal ministro Claudio Scajola (che ha poi incontrato), e ha invitato i genovesi a costruire il futuro insieme, «evitando faziosità e particolarismi».
Ai giovani incontrati in piazza Matteotti ha suggerito di non seguire falsi miti giovanilistici e durante l’Angelus ha chiesto ai governi un accordo contro le bombe a grappolo
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le 24 ore genovesi

«DIFENDETE IL BENE COMUNE»

Dopo l’entusiasmo dei Papa-boys, l’incontro con suore e religiosi. Il saluto al nuovo governo

di Bruno Viani

Arrivederci, Papa Ratzinger. La comunità genovese ha salutato Benedetto XVI dopo due giorni vissuti intensamente, dall’arrivo alla Guardia nella nebbia sabato sera fino alla celebrazione in piazza della Vittoria davanti a cinquantamila persone.

In mezzo, fra nebbia, pioggia e sole, ci sono suoni e simboli, parole e gesti rivolti alla mente e al cuore dei fedeli (ma non solo). È stata, quella genovese, una visita consumata nell’arco di ventiquattr’ore, attraverso tappe unite da un filo conduttore: lo sforzo costante di Papa Benedetto di mediare tra razionalità e fede.

È certamente la fede in Dio, quella che per i fedeli ha la “F” maiuscola, a contrassegnare la prima tappa, al santuario della Guardia.
Ed è la fede nell’intelligenza umana a marcare la seconda tappa, al Gaslini: «santuario della fede, santuario della famiglia», secondo le parole di Ratzinger.
Ogni tappa resta segnata da un simbolo, un volto o un’immagine. Il primo è certamente la rosa d’oro della Guardia, consegnata durante una tappa spiccatamente religiosa, intima, davanti a ottocento fedeli saliti sul monte Figogna con ogni mezzo, moltissimi a piedi, per incontrare il Papa.

La seconda immagine (in questo rosario di gioie e speranze, sofferenze e gioie) è il sorriso ferito di Pietro, 9 anni, che ha preso la parola a nome di tutti i bimbi dell’ospedale, parlando all’amico vestito di bianco con semplicità.
E il mistero del dolore di un bimbo è la sfida più difficile per l’intelligenza.
In piazza Matteotti, davanti ai giovani dell’arcidiocesi, è invece il momento della festa, col pensiero già rivolto a quella Giornata mondiale della gioventù di Sydney. Un appuntamento che sarà probabilmente diverso dalle Gmg di Giovanni Paolo, ma probabilmente non meno caloroso.

Chi credeva che Ratzinger fosse troppo freddo per scaldare i cuori dei ragazzi, ieri a Genova ha avuto l’ennesima conferma che non è così: senza falsa accondiscendenza, senza proporre strade facili nella vita, Benedetto XVI ha entusiasmato il popolo dei Papa boys genovesi (nome che i diretti interessati odiano).

Poi la seconda tappa religiosa, quella in cattedrale davanti all’esercito dei religiosi e delle religiose. Ancora immagini che restano nella mente: le suore che tornano adolescenti, come ragazzine a un concerto davanti a un idolo pop.

Gioia pura che traspare dai volti e dagli occhi, trasmessa solo (in questo caso) dalle immagini del centro televisivo vaticano, l’unico autorizzato a documentare l’apertura di un incontro privatissimo. Qui la ragione comune fatica ad accettare i motivi di rinunce anche estreme, come quelle delle monache di clausura. E Benedetto XVI invita i suoi religiosi a essere «esempi credibili di una fedeltà che si traduca in fedeltà al Vangelo senza cedimenti allo spirito del mondo». Ma anche i preti e le suore sono uomini e donne, con le loro fragilità.

Sempre meno (numericamente) e sempre più anziani, visto che i seminari arrancano e il ricambio generazionale non è certamente sufficiente a mantenere i numeri del recente passato. «Abbiate fiducia - esorta Papa Ratzinger - i tempi nostri non sono quelli di Dio». E, parlando ai tanti preti anziani (ma nello stesso tempo ai tanti uomini e donne con i capelli bianchi che vivono nella città): «Vi prego di non considerarvi mai come se foste al tramonto della vita: Cristo è l’alba perenne, la nostra luce».

In piazza della Vittoria la giornata si conclude, il clima è completamente diverso.

Il contatto viso a viso è impossibile, i numeri sono quelli delle folle da stadio, cinquantamila persone strette attorno al palco montato sotto le Caravelle.
Però, anche se il discorso di Benedetto XVI si fa più accademico, rivolto alla mente dei suoi ascoltatori senza indulgere in commenti accattivanti, la forza dell’analisi e dell’esortazione arriva dritta al bersaglio. A colpire di più è l’identità di vedute tra il pontefice e il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, e con il cardinale Tarcisio Bertone suo predecessore e attuale segretario di Stato Vaticano.

C’è tempo per un saluto al ministro Claudio Scajola: «Saluto il ministro in rappresentanza del nuovo governo, che proprio in questi giorni ha assunto le sue piene funzioni al servizio dell’amata nazione italiana».

«Cari amici - esorta il Papa rivolgendosi ai cinquantamila di piazza della Vittoria - guardate al futuro con fiducia e cercate di costruirlo insieme, evitando faziosità e particolarismi, anteponendo ai pur legittimi interessi particolari il bene comune». È il sigillo sulla visita, l’invito a guardare avanti.

Davanti a sé, in piazza, Papa Benedetto vede schierati i volti delle massime istituzioni cittadine, rappresentanti del governo e dell’imprenditoria. Si rivolge prima di tutto a loro, credenti o no.

© Copyright Il Secolo XIX, 19 maggio 2008 consultabile qui.

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