22 agosto 2007

Mons. Fisichella racconta Oriana Fallaci e il suo desiderio di incontrare il Papa


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Oriana Fallaci Vita di un’atea cristiana

Mons. Fisichella: «Mi chiese di tenerle la mano alla fine» Feltri: «La portai dal salumiere, era molto felice»

Marino Smiderle

Mentre mons. Rino Fisichella parla di Oriana Fallaci, c’è un palloncino che volteggia sulla piscina della Fiera, bombardato dalle gocce di pioggia che gli impediscono di scappare via verso il cielo e che invece fanno scappare i turisti da Rimini. Non c’è stato verso di entrare nella sala B5, troppo piccola per contenere le migliaia di persone che volevano sentire il rettore della Pontificia Università Lateranense e il direttore di Libero, Vittorio Feltri, parlare su “La ricerca di Oriana”. Anzi, che volevano sentire Oriana e basta. Le sale più grandi erano riservate ai ministri, ma là c’erano posti liberi a iosa. Al Meeting volevano Oriana e, per un giorno, i ministri sono finiti in secondo piano, buoni solo a ricicciare qualche polemichetta agostana.
No, la gente si è accalcata, in piedi, davanti al megaschermo, perché volevano sapere, volevano capire, volevano ascoltare. “Dall’agosto del 2005 al settembre 2006, quando è morta, il nostro è stato un incontro quotidiano – rivela mons. Fisichella -. Ci sentivano ogni giorno, anche con tre o quattro telefonate. Lei aveva letto una mia intervista sul Corriere della sera e subito dopo mi scrisse una lettera. E’ stata la prima di una lunga serie, e sono molto geloso di queste missive, tanto che sono venuto a Rimini con le fotocopie, nella paura che qualcuno mi rubasse le originali”.
Le lettere Fisichella-Fallaci, lo rivela il rettore della Pontificia Università Lateranense, diventeranno un libro. E al Meeting Fisichella ha letto alcuni passaggi di quelle lettere. “Leggendo la sua intervista – scrisse la Fallaci al religioso – mi sono sentita meno sola, come quando leggo uno scrittore che lei conosce bene, Joseph Ratzinger. Se un’atea e un Papa dicono la stessa cosa, vuol dire che quella cosa è giusta. Ho un grande desiderio di incontrare, zitta zitta, lontana da occhi indiscreti, Papa Ratzinger. Quando venne eletto Papa feci capriole di gioie ma, allo stesso tempo, dissi: adesso che è Papa non lo potrò più incontrare”.
“E invece – ricorda Fisichella – le annunciai che il pontefice l’avrebbe ricevuta in udienza privata. Era una donna incredibile, tanto che la sua reazione alla notizia fu incredibile: ‘Ho una sola preoccupazione – disse – non ci vorranno mica gli abiti da cerimonia, vero? Perché io i veli in testa non li porto, neanche per coprire i capelli lasciati dalla chemioterapia’. La ospitai in casa mia ed ebbi l’impressione di una donna molto sola. Ed era sovrastata dal mistero della morte che si stava avvicinando”.
Un’atea cristiana, così la definisce Renato Farina, moderatore non super partes, in quanto amico di Oriana e di Feltri, il direttore di Libero, il giornale che ha ospitato i suoi ultimi scritti. “Gli ultimi mesi, quando decise di trasferirsi in Italia, non sapeva dove andare – racconta Feltri -. Io gli offrii la mia casa di Milano e lei accettò di trasferirsi lì per qualche tempo. Era magra, ormai il cancro, anzi, i cancri, la stavano finendo. Aveva la preoccupazione di ritirare i diritti d’autore dei suoi libri che, per vent’anni, aveva lasciato all’editore Rizzoli. L’hanno sempre descritta come attaccata ai soldi ma una attaccata ai soldi non lascia un tesoro in diritti d’autore all’editore. Lei si arrabbiò, o fece finta di arrabbiarsi, e gridò: ‘Per vent’anni non mi hanno dato una lira’. E poi tornava al suo chiodo fisso, la paura di lasciare l’Europa all’islam radicale. ‘Siamo diventati Eurabia – mi diceva – e io sto morendo. Ma tu combatti, combatti fino in fondo, mi raccomando’. Passavamo ore al telefono, di notte, e parlavamo di tutto. Un giorno mi chiese di portarla dal salumiere, a Milano. Si agghindò e scese in strada, facemmo una passeggiata. Era felice come una bambina al luna park”.
Ma è la testimonianza di mons. Fisichella a tenere senza fiato le migliaia di persone che si fermano lungo i corridoi dove echeggia la sua voce dagli altoparlanti. “Quando la morte si stava avvicinando – rivela – lei si fece più inquieta. ‘Se è davvero come dici tu – mi disse a proposito delle nostre diverse visioni della fede – allora mi devi tenere la mano mentre io muoio’. Divenne per me un obbligo morale. Ebbi la forza di consegnarle il mio ultimo libro, che suo nipote Edoardo mi ha poi riconsegnato tutto sottolineato, ed è un mio orgoglio. Si può dire di essere atei, come lei diceva, e nonostante questo avere una profonda nostalgia di Dio dentro di sé”.
“Perché una donna che si professa atea – prosegue Fisichella – non può esserlo veramente se chiede di morire in una stanza da cui si possa vedere la cupola del Brunelleschi di Santa Maria del Fiore a Firenze, se chiede a un sacerdote di tenerle la mano nel momento del trapasso, se esprime il desiderio di far suonare le campane della cattedrale nel giorno del suo funerale. E nel giorno del suo funerale, quando il corpo è stato trasferito al cimitero, le campane della cattedrale hanno suonato per Oriana Fallaci”.
Farina ricorda che lei amava la libertà in maniera viscerale, forse più della verità che compare nello slogan del Meeting. “Amava la vita – aggiunge mons. Fisichella – perché, in punto di morte, soffrendo, alzò gli occhi e gridò: ‘Se Tu esisti davvero, perché non mi fai vivere’. Non chiedeva di non farla soffrire, chiedeva di vivere. Diceva di non credere, ma aveva una grande speranza”.

© Copyright Giornale di Vicenza, 22 agosto 2007


A Rimini monsignor Fisichella ricorda le ultime ore della scrittrice

«La Fallaci aveva nostalgia di Dio»

FRANCA GIANSOLDATI

ENTRE la bara di Oriana Fallaci lasciava la clinica fiorentina di Santa Chiara diretta al cimitero evangelico degli Allori, le campane di Santa Maria in Fiore iniziarono a suonare per lei e solo per lei. Si esaudiva così l’ultimo desiderio della scrittrice-guerriera che condivideva con Papa Ratzinger la battaglia per la difesa dell’Occidente. Battuta dall’Alieno, come lei chiamava il cancro che l’ha divorata pian piano, un paio di giorni prima di spirare ebbe a implorare monsignor Rino Fisichella, l’amico prete del periodo della solitudine: desiderava che fosse il suono familiare del duomo della sua città ad accompagnarla al camposanto. Fedele alla promessa Fisichella la benedì e le restò vicino, tenendole la mano, nel momento più terribile. Le ultime ore di vita dell’autrice della Rabbia e l’orgoglio sprigionano la straordinaria forza di un’anima in cerca di verità e di risposte sul senso della vita. Fisichella le ha rese pubbliche, leggendo brani del carteggio con la Fallaci, al Meeting di Rimini. «Si può dire di essere atei, di non credere ma allo stesso tempo coltivare una profonda nostalgia di Dio. Sono convinto, e con ragione, che Oriana avesse dentro di sé una profonda nostalgia di Dio». Migliaia di ciellini stipati in una capiente sala, in un silenzio religioso, intenti a non perdersi nemmeno una parola, prendevano persino appunti. Fuori, altrettanti, ascoltavano davanti a due maxi-schermi. «In quei giorni ho chiesto a Dio che la guardasse con misericordia se non altro perché aveva sofferto tanto. Penso che si debba guardare a questa grande donna, ora appartenente ai libri di storia, per ciò che ha detto e fatto, e poi perché ha difeso l’appartenenza di questo Paese a quella civiltà cristiana che è la base della nostra identità». L’incontro tra un uomo di fede e un’intellettuale fortemente anticlericale si proietta sul Meeting infiammandolo. Quasi due ore di aneddoti e particolari inediti. «Ho conosciuto Oriana attraverso una lettera che mi inviò per averla difesa in un’intervista» ha raccontato il vescovo. Il carteggio divenne ben presto frequente e profondo. «Sono geloso di quelle lettere, anche oggi ho portato con me delle fotocopie, gli originali sono in salvo». E’ intenzione di Fisichella raccoglierle e pubblicarle per far comprendere quale fosse la profondità spirituale della scrittrice toscana davanti al mistero della morte e del dolore. «Era lucida, lucidissima dall’inizio alla fine della sua vita; mi diceva spesso: «Io non voglio arrivare al momento della morte senza sapere con chi mi sto incontrando”. Voleva affrontare la morte, non subirla. Si può giocare a scacchi, come nel Settimo Sigillo di Bergman, ma alla fine la devi incontrare e Oriana sapeva che la morte le stava andando incontro». Per la prima volta i pensieri più intimi della Fallaci, quelli che precedettero l’incontro tanto cercato con Benedetto XVI a Castel Gandolfo divengono pubblici. «Quando ho saputo che era stato eletto Papa scriveva in una delle lettere ho fatto salti di gioia, ma poi ho pensato: ”oddio e adesso non potrò più vederlo”. E così mi rassegnai. Trascorso un mese all’ospedale mi dissero di essere alla fine della mia strada. E di colpo la rassegnazione si estinse». Eccitata dall’incontro esprimeva il timore di non avere nell’armadio abiti sufficientemente adeguati o la ritrosia ad indossare eventualmente il velo («Io i veli in testa non li porto neanche morta, nemmeno per coprire i capelli lasciati dalla chemio. Sono ancora traumatizzata da quando portai lo chador a Qom davanti a Khomeini»). Fino alla fine lavorò alle bozze della saga della sua famiglia, volume che verrà pubblicato prossimamente, tuttavia coltivava anche l’idea di scrivere la continuazione ideale alla Lettera a un bambino mai nato. «Mi chiese persino del materiale. Era interessata alle nuove frontiere della genetica, ai Frankenstein, voleva capire». Oriana si era affezionata al Rettore del Laterano, uno dei pochissimi che, assieme a Vittorio Feltri, altro testimone invitato alla kermesse ciellina per parlare della Fallaci, continuava a sentire regolarmente durante il periodo dell’isolamento newyorchese. «Ho l’immagine di una donna molto sola che si volle rinchiudere nella solitudine della sua casa di di New York per pensare di più. Il mistero la sovrastava, era il mistero della morte che si avvicinava».

© Copyright Il Messaggero, 22 agosto 2007


In quattromila a sentir parlare di Oriana Fallaci

di ALESSANDRA STOPPA

Hanno detto e ripetuto che era terribile. Orgogliosa. Sola e furiosamente antipatica. La sua amicizia tempestosa come il cielo vicino alle cime. Ma l'hanno detto da innamorati. La dichiarazione d'amore di tre uomini a una donna e alla sua vita divorata dalla sete di libertà. Due sono stati tra i suoi più cari e rari amici. Uno le ha tenuto la mano il giorno prima che morisse. L'altro la vede ancora in sogno, e si sente chiamare da lei per nome nelle notti insonni. Il rettore della Pontificia Università Lateranense, monsignor Rino Fisichella, e Vittorio Feltri, direttore di Libero, hanno reso omaggio a Oriana Fallaci al Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini. Davanti a un pubblico straripante, dirottato davanti ai maxischermi, in piedi e per terra. Quattromila persone per ascoltare un vescovo teologo e un giornalista bergamasco con un'amicizia in comune. Guidati dal terzo amico della Fallaci, Renato Farina. Che ha appena scritto un libro sui "Maestri di umanità", dedicando un capitolo a lei. E che ha letto il titolo della kermesse, "La verità è il destino per il quale siamo fatti", e l'ha pensata. Ha pensato «alla faccia e alla voce» di Oriana Fallaci.

UN'AMICA PRESENTE Feltri dice che quella donna «non riusciva ad avere rapporti duraturi». Ma poi racconta di lei come si parla di un'amica che non è seduta alla propria tavola, ma c'è. Presente e irruente come lo era quando «ha resuscitato l'Europeo». Semplicemente scrivendoci. E come quando concepì quel «formidabile librino» che parla di un bambino mai nato. Quando difendeva ogni virgola di un suo articolo come la sacralità della vita. «Senza mai essere sentimentale», dice Feltri, «ma razionalmente: spiazzava tutte le tesi degli abortisti con la ragione». Per questo venne isolata. Poi andò in crisi sul Vietnam. Pensava che in fondo gli americani avevano avuto ragione. Ogni sua parola le costava l'assedio dell'intellighentia marxista. Ma non ebbe mai il timore di rimanere sola. Feltri la conobbe nel 1989. Voleva sempre aver ragione, e «il più delle volte l'aveva». Sbraitava, dava del bischero a chiunque, e se bestemmiava erano bestemmie «toscane e veraci». E «non certo contro il Padreterno, ma contro quel servo un po' pirla che sono io». Stava al telefono con lei per ore, ogni sera, quando il telefono squillava «non appena avevo infilato la forchetta nel piatto di spaghetti». Lasciava tutto per i colloqui notturni con lei. E non fu capace di arrabbiarsi nemmeno «quando Oriana venne a trovarmi un giorno e mi regalò una pelliccia». Una pelliccia, «a me?». Ce l'ha ancora. La conserva, insieme a quel po' di gelosia che provava per l'amicizia tra la Fallaci e Fisichella. «Ero geloso, mi parlava così spesso di lui». Del «monsignore» con cui non litigò mai. «Con me non si permetteva», precisa il rettore della Lateranense. Nessuna bestemmia, nessuna irruenza. Parlavano di tutto, ma «tante parole posso solo custodirle nel cuore». Le ultime cose scritte da Oriana, quando i suoi dieci cancri le avevano divorato anche gli occhi, sono proprio le lettere all'amico teologo. Ne legge alcuni passi e sembra di sentirla. Gli ha scritto di come si sentiva «meno sola» a studiare i suoi libri e quelli di Ratzinger. Dell'ammirazione profonda per quell'uomo che oggi è Papa e che è riuscita ad incontrare, di persona. «È un desiderio che avevo da tanto», aveva confidato a Fisichella, «vorrei vederlo, zitta zitta». Poi pensa alle etichette clericali, che ha sempre odiato, e dedica una lettera a disperarsi «perché se servono i vestiti da cerimonia è un problema». Lei aveva solo «spartane giacche da uomo». E poi non «bisognerà mica coprirsi il capo», perché «io il velo non lo metterò mai, mai».

IL VELO, MAI Se l'era tolto anche davanti all'Ayatollah. Non si faceva problemi. Fisichella ricorda quelle sue «sigarettacce», lei che fumava come un diavolo, e lui a inseguirla con le candele per assorbire puzza e fumo. «Si affezionava alle persone», dice piano, «ma era rimasta sola». Chiusa nella sua casa di New York «per pensare al Mistero che la sovrastava, e alla morte che le andava incontro». Litigavano sul primo capitolo della Genesi, odiava Adamo ed Eva, «poi le spiegavo e lei faceva marcia indietro, come spesso le capitava». Partiva come una furia, poi si accucciava. Urlava che odiava i preti, come «li odiavano gli anarchici di Lugano», poi cercava lui, gli scriveva, e se qualcuno osava toccare il suo Occidente cristiano lo difendeva come la cosa più cara al mondo e a sé. La «donna solissima». Poi Farina insiste. Gli amici li aveva, «pochi, ma grandi», come quelli che ieri hanno parlato al Meeting. Dicendo tutto, anche di quando parlavano di Dio con lei. Feltri le spiegava che «non può esserci un Progettatore che ha fatto tutto per amore, e poi assiste alle carneficine di cui è pieno il mondo». Le diceva che lui non poteva crederci. E lei gli rispondeva che «te tu hai ragione, non ci avevo pensato». Poi, davanti alla morte, chissà quante volte ci ha ripensato. Fino a chiedere a Fisichella di tenerle la mano, quando sarebbe stata la fine. «Se tu hai ragione», diceva all'amico vescovo, «allora tienimi la mano». Non credeva in Dio, «avrebbe forse solo voluto assomigliargli un po'», sorride Feltri. Ma anche se non ci credeva, «nemmeno di notte, quando si cambia un po' idea sulle cose», lei ha «sempre vissuto nella Cristianità». Fin quando era bambina. Il «mi' babbo», diceva, «era socialista ma credente». E la «mi' mamma», poi, che «andava alla messa». Tutto le parlava del cristianesimo, della cristianità. E lei «l'ha difesa per tutta la vita, con tutta se stessa, davanti a una minaccia che sappiamo bene da dove arriva», allude Feltri. A cui Oriana ha chiesto di «continuare a lottare, quando non ci sarò più io, devi continuare tu».

IL SOGNO Forse è per questo che lui ancora la sogna. «Non credo nell'al di qua, figurarsi nell'aldilà», dice, «eppure l'ho sentita chiamarmi, Vittorio...». Ora si corica la sera, e guarda sempre dietro il letto. Non si sa mai che «sia tornata a rompermi le palle». La donna violenta e terribile. Sola, ma che «dava compagnia a tutti». Innanzitutto «coi suoi figli», i suoi libri. Dice Farina che «era così orgogliosa delle sue qualità» e che allo stesso tempo «era così umile da non buttarle via, nemmeno per un attimo, da impegnarle tutte». Bestemmiava perché era stufa di dover ripetere a tutti di essere atea. E poi voleva morire guardando la cupola del Brunelleschi. Sentendo le campane di Santa Maria in Fiore. Fisichella le fece suonare per lei, il giorno in cui venne sepolta. «Si può dire di essere atei», aggiunge, e sembra sussurrare all'amica in ascolto, «ma avere allo stesso tempo nostalgia di Dio dentro di sé».

© Copyright Libero, 22 agosto 2007

2 commenti:

Blog creator ha detto...

Ebbene! Raffaella non mi ripeto ma se lo consenti voglio 'replicare' a questi articoli.
Visto che c'ero.
Le cose sono esposte bene, Feltri ha sottolineato una Fallaci sanguigna fin "cattiva" (parole sue, logicamente enfatizzate ma mica tanto a star del parere di chi le ha dette).
Mons. Fisichella d'un altra caratura: lo sò anch'io, fa più rumore l'albero che cade ed è più facile ridere sulla battuta volgare, e quindi l'ottimo Vescovo è stato invece indelebilmente chiaro-conciso-inedito a tratti (quando ha letto ad esempio brani della corrispondenza privata con l'Oriana grandiosa). Ed è stato esemplare: nei modi nella forma nella esposizione sincera ed a tratti anche per lui, ironico quanto basta.
Personalmente: un modello e mi si intenda bene, 'cristiano' ed etico... Feltri non mi è piaciuto con alcune sue 'parolacce', che sebbene attribuite alla Oriana, sempre e comunque ora riprese dinnanzi ad una platea intelligente sì, ma mica scema.
Di fianco a lui c'era un Vescovo e noi della platea, non ostante tutto, non dei gogliardi lì per il faceto.
L'ho già detto e lo ripeto: chiedo scusa al Vescovo mons. Fisichella, che glissando intelligentemnte delle 'storture' feltriane non era in imbarazzo ma neanche ha (a mio parere personalissimo) approvato! Comunque sul sito di CL del Meeting poi verranno messi oltre ai testi, il video per cui vedetevelo e commentate.
Per il resto è stato interessante, anche Feltri.
Un buon incontro, che i giornalisti han riportato bene.
Forse siamo talmente abituati 'al volgare' che non ce ne acorgiamo nemmeno e lo snobbiamo!
Vi prego: noi no!!!

Anonimo ha detto...

Grazie Umberto per questa tua testimonianza diretta!
E' sempre un piacere leggerti :-)