2 ottobre 2007

Don Marini che diventa cerimoniere per obbedienza al Papa


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Il cerimoniere del Papa con quella faccia un po' così

di Paolo Rodari

Genova. Chi lo conosce bene sa che la nomina a nuovo cerimoniere del Papa l’ha accettata per obbedienza.
Già, perché per uno come lui, lasciare il mare, la città dove 42 anni fa è nato e dove diciotto anni fa il cardinale Giovanni Canestri lo ordinò sacerdote, è un passo che si accetta non senza un velo di tristezza.
La Santa Sede, infatti, se per molti preti e monsignori è il sogno di una vita, per altri può essere un luogo in cui non ci si sente del tutto a casa, un posto, insomma, in cui ci si va a lavorare perché così viene richiesto e non per carrierismo o gloria personale.
Monsignor Guido Marini non ha tergiversato di fronte al Pontefice e quando gli è stato chiesto di lasciare Genova per Roma - ieri è stata ufficializzata la sua nomina a cerimoniere papale al posto di un altro Marini, Piero, divenuto responsabile del pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali - ha accettato senza batter ciglio.
Perché in fondo, monsignor Guido, è fatto così: un’anima spirituale che accetta tutto perché tutto avviene per volere divino.
Un prete vecchio stampo, schivo ma buono, che concepisce i compiti affidatigli dai superiori come un dovere a cui è obbligatorio rispondere.
Eppure, a monsignor Guido, mancherà parecchio Genova. Avrà nostalgia della vista che dal Righi - il colle sul quale sorge il seminario arcivescovile intitolato a Benedetto XV - domina sulla città. Un seminario dove egli ha abitato fino a ieri e nel quale uno dei suoi ex arcivescovi, il cardinale Bertone, volle che assumesse nel 2004 l’incarico di direttore spirituale. Un incarico svolto con solerzia, con quella dedizione per i futuri sacerdoti che era propria del cardinale Siri il quale fece costruire il seminario in cima al Righi per far sì che tutta la città si ricordasse sempre dei suoi ragazzi “chiusi” li dentro a studiare e, nel contempo, fossero anche i seminaristi a non dimenticarsi di pregare per la fede e la santità della gente sottostante.
Già, il cardinale Siri. Prelato attento alla custodia di quanto la tradizione della Chiesa ha consegnato, anche e soprattutto in campo liturgico. Così attento che oggi c’è chi dice che se fosse ancora vivo sarebbe lui, più di ogni altro, a essere felice della liberalizzazione dell’antico rito promossa da Ratzinger grazie al motu proprio Summorum Pontificum. Una liberalizzazione alla quale senz’altro monsignor Guido guarda con benevolenza, se è vero - come è vero - che è anche grazie al suo lavoro di cerimoniere degli arcivescovi Tettamanzi e Bertone prima, di Bagnasco fino a ieri, che l’antica scuola liturgica genovese è tornata a splendere e a far bella mostra di sé nella cattedrale di San Lorenzo. Uno splendore che nacque col lavoro di monsignor Moglia, uno per il quale la visione propria della scuola bugninista (a questa si rifa l’ormai ex cerimoniere papale Piero Marini) secondo la quale il Vaticano II ruppe col passato anche in campo liturgico, era cosa da rigettare perché menzognera.
A monsignor Guido mancheranno certamente anche il “Collegium Laurentianum” (un’associazione di volontari da lui istituita per il servizio d’ordine e d’accoglienza della cattedrale), la sezione genovese della facoltà teologica dell’Italia settentrionale nella quale insegna diritto canonico, l’istituto superiore di scienze religiose dove tiene il corso di teologia dei ministeri, fino all’istituto Figlie di San Giuseppe nel quale è cappellano.
Ma in Vaticano c’è un piccolo ufficio ad attenderlo: tre monsignori (Enrico Viganò, Giulio Viviani e Konrad Krajewski) e due addetti alla sagrestia papale (Mario Mattei e Giuseppe Viscardi) i quali, probabilmente, tutto si saranno aspettati tranne che la nomina di un capo delle cerimonie proveniente da fuori il loro ufficio.
Eppure Ratzinger ha deciso così. Il suo intento è di avere un cerimoniere poco protagonista (mai come nell’era di Piero Marini si è sentito parlare tanto del cerimoniere papale) e che sappia dare alle sue cerimonie quella sontuosità mista a compostezza che non sempre si è vista di recente dentro le mura vaticane.
E chissà che finalmente, nelle messe pontificali, non si tornino a vedere accanto al pontefice il cardinale protodiacono e il secondo cardinale dell’ordine diaconale. Così come era un tempo. Così come dovrebbe essere ancora oggi.

© Copyright Il Riformista, 2 ottobre 2007

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Perchè appena c'è un cambio di ruoli in Vaticano si deve criticare la persona uscente? Il Papa l'ha tenuto per molto tempo, e Mons. Marini è sempre stato molto attento alle messe del papa. Credo ci sia stima tra i due. Probabilmente colui che verrà avrà uno stile differente, ma non si può dire che Piero Marini non abbia dato la giusta dignità e decoro alle messe dei due Papi per i quali ha lavorato. Marco

Anonimo ha detto...

Caro Marco Benedetto XVI in forma diplomatica chiese a Piero Marini di andarsene per ben quattro volte proponendogli anche la Sede Episcopale (delegazione pontificia)di Loreto....ma Marini volle rimanere....