3 ottobre 2007

In Olanda inventano un'altra Messa (di Sandro Magister)


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In Olanda inventano un'altra messa. Col copyright dei domenicani

La sperimentazione è già in corso. Al posto del prete ci sono uomini e donne designati dai fedeli. E tutti assieme pronunciano le parole della consacrazione, anch'esse variate a volontà. A giudizio dei domenicani olandesi, è questo ciò che vuole il Concilio Vaticano II

di Sandro Magister

ROMA, 3 ottobre 2007 – Nel ridare piena cittadinanza al rito antico della messa, con il motu proprio Summorum Pontificum, Benedetto XVI ha detto di voler reagire anche a quell'eccesso di "creatività" che nel rito nuovo "ha portato spesso a deformazioni della liturgia al limite del sopportabile".

Stando a quel che accade in alcune aree della Chiesa, questa creatività incide non solo sulla liturgia ma sugli stessi fondamenti della dottrina cattolica.

In Olanda, a Nimega, nella chiesa dei frati agostiniani, ogni domenica la messa è presieduta assieme da un protestante e da un cattolico, che a turno curano uno la liturgia della Parola e il sermone, l’altro la liturgia eucaristica. Il cattolico è quasi sempre un semplice laico, e spesso è una donna. Per la preghiera eucaristica, ai testi del messale si preferiscono i testi composti dall’ex gesuita Huub Oosterhuis. Il pane e il vino sono condivisi da tutti.

Nessun vescovo ha mai autorizzato questa forma di celebrazione. Ma padre Lambert van Gelder, uno degli agostiniani che la promuove, è sicuro d'essere nel giusto: "Nella Chiesa sono possibili diverse forme di partecipazione, noi siamo parte della comunità ecclesiale a tutti gli effetti. Non mi considero affatto scismatico".

Sempre in Olanda, i domenicani hanno fatto di più, con il consenso dei provinciali dell'ordine. Due settimane prima dell'entrata in vigore del motu proprio "Summorum Pontificum" hanno distribuito in tutte le 1300 parrocchie cattoliche un opuscolo di 38 pagine intitolato “Kerk en Ambt”, Chiesa e ministero, nel quale propongono di trasformare in regola generale ciò che in vari luoghi già si pratica spontaneamente.
La proposta dei padri domenicani è che, in mancanza di un prete, sia una persona scelta dalla comunità a presiedere la celebrazione della messa: “Non fa differenza che sia uomo o donna, omo o eterosessuale, sposato o celibe”. La persona prescelta e la comunità sono esortati a pronunciare insieme le parole dell'istituzione dell'eucaristia: “Pronunciare queste parole non è una prerogativa riservata al prete. Tali parole costituiscono la consapevole espressione di fede dell’intera comunità”.

L'opuscolo si apre con l'esplicita approvazione dei superiori della provincia olandese dell'ordine dei frati predicatori e dedica le prime pagine a una descrizione di ciò che accade di domenica nelle chiese d'Olanda.
Per la scarsità di preti, non in tutte le chiese si celebra la messa. Dal 2002 al 2004 il numero complessivo delle messe domenicali in Olanda è calato da 2200 a 1900. Viceversa, nello stesso periodo è aumentato da 550 a 630 il numero dei "servizi di Parola e comunione": cioè le liturgie sostitutive, senza il prete e quindi senza celebrazione sacramentale, nelle quali la comunione si fa con ostie consacrate in precedenza.
In alcune chiese la distinzione tra la messa e il rito sostitutivo è percepita con chiarezza dai fedeli. Ma in altre no, le due cose sono considerate di eguale valore, interscambiabili in tutto. Anzi, il fatto che sia un gruppo di fedeli a designare l'uomo o la donna che guida la liturgia sostitutiva consolida negli stessi fedeli l'idea che la loro scelta "dal basso" sia più importante dell'invio di un sacerdote da fuori e "dall'alto".
E lo stesso accade per la formulazione delle preghiere e per l'ordinamento del rito. Si preferisce dar libero campo alla creatività. Le parole della consacrazione, nella messa, sono spesso sostituite da "espressioni più facili da capire e più in sintonia con la moderna esperienza di fede". Nel rito sostitutivo, capita di frequente che alle ostie consacrate si aggiungano ostie non consacrate e si distribuiscano tutte assieme per la comunione.
In questi comportamenti i domenicani olandesi individuano tre aspettative diffuse:

– che siano scelti "dal basso" gli uomini e le donne ai quali affidare la presidenza della celebrazione eucaristica;

– che auspicabilmente "la scelta di queste persone sia seguita da una conferma, o benedizione, o ordinazione da parte dell'autorità della Chiesa";

– che le parole della consacrazione "siano pronunciate sia da coloro che presiedono l'eucaristia, sia dalla comunità di cui essi sono parte".

A giudizio dei domenicani olandesi, queste tre aspettative hanno pieno fondamento nel Concilio Vaticano II.

La mossa decisiva del Concilio, a loro giudizio, è stata quella di introdurre nella costituzione sulla Chiesa il capitolo sul "popolo di Dio" prima di quello su "l'organizzazione gerarchica costituita dall'alto al basso dal papa e dai vescovi".
Questo implica sostituire a una Chiesa "piramide" una Chiesa "corpo", con il laicato protagonista.
E questo implica anche una visione diversa dell'eucaristia.

L'idea che la messa sia un "sacrificio" – sostengono i domenicani olandesi – è anch'essa legata a un modello "verticale", gerarchico, nel quale solo il sacerdote può pronunciare validamente le parole della consacrazione. Un sacerdote maschio e celibe, come prescritto da "un'antiquata teoria della sessualità".

Dal modello della Chiesa "popolo di Dio" deriva invece una visione dell'eucaristia più libera e paritaria: come semplice "condivisione del pane e del vino tra fratelli e sorelle in mezzo a cui c'è Gesù", come "tavola aperta anche a gente di differenti tradizioni religiose".
L'opuscolo dei domenicani olandesi termina esortando le parrocchie a scegliere "dal basso" le persone alle quali far presiedere l'eucaristia. Se per motivi disciplinari il vescovo non confermasse tali persone – perché sposate, o perché donne – le parrocchie procedano ugualmente per la loro strada: "Sappiano che esse sono comunque abilitate a celebrare una reale e genuina eucaristia ogni volta che si riuniscono in preghiera e condividono il pane e il vino".
Gli autori dell'opuscolo sono i padri Harrie Salemans, parroco a Utrecht, Jan Nieuwenhuis, già direttore del centro ecumenico dei domenicani di Amsterdam, André Lascaris e Ad Willems, già professore di teologia all'università di Nimega.
Nella bibliografia da essi citata spicca un altro, più famoso teologo domenicano olandese, Edward Schillebeeckx, 93 anni, che negli anni Ottanta finì sotto l’esame della congregazione per la dottrina della fede per tesi vicine a quelle ora confluite nell’opuscolo.
La conferenza episcopale olandese si riserva di replicare ufficialmente. Ma ha già fatto sapere che la proposta dei domenicani appare “in conflitto con la dottrina della Chiesa cattolica”.

Da Roma, la curia generalizia dei frati predicatori ha reagito flebilmente. In un comunicato del 18 settembre – non pubblicato nel sito dell'ordine – ha definito l'opuscolo una "sorpresa" e ha preso le distanze dalla "soluzione" proposta. Ma ha detto di condividere "l'inquietudine" dei confratelli olandesi sulla scarsità di preti: "Può darsi che sentano che l'autorità della Chiesa non abbia trattato sufficientemente questa questione e, di conseguenza, spingano per un dialogo più aperto. [...] Crediamo che a questa inquietudine si debba rispondere con una riflessione teologica e pastorale prudente tra la Chiesa intera a l'ordine domenicano".
Dall'Olanda, i domenicani hanno annunciato una prossima ristampa dell'opuscolo, le cui prime 2500 copie sono andate presto esaurite.

Il testo integrale dell'opuscolo, in traduzione inglese:

> The Church and the Ministry

Gli sviluppi della vicenda, in lingua olandese, nel sito dei domenicani d'Olanda:

> Dominicaans Nederland - Nieuws

Delle questioni sollevate dai domenicani olandesi ha trattato il sinodo dei vescovi del 2005 sull'eucaristia, traendo indicazioni radicalmente diverse.
Nell'esortazione apostolica postsinodale "Sacramentum caritatis" Benedetto XVI ha dedicato alle "assemblee domenicali in assenza di sacerdote" il paragrafo 75. Eccolo:

"Riscoprendo il significato della Celebrazione domenicale per la vita del cristiano, è spontaneo porsi il problema di quelle comunità cristiane in cui manca il sacerdote e dove, di conseguenza, non è possibile celebrare la santa Messa nel Giorno del Signore. Occorre dire, a questo proposito, che ci troviamo di fronte a situazioni assai diversificate tra loro. Il Sinodo ha raccomandato innanzitutto ai fedeli di recarsi in una delle chiese della Diocesi in cui è garantita la presenza del sacerdote, anche quando ciò richiede un certo sacrificio. Là dove, invece, le grandi distanze rendono praticamente impossibile la partecipazione all'Eucaristia domenicale, è importante che le comunità cristiane si radunino ugualmente per lodare il Signore e fare memoria del Giorno a Lui dedicato. Ciò dovrà tuttavia avvenire nel contesto di un'adeguata istruzione circa la differenza tra la santa Messa e le assemblee domenicali in attesa di sacerdote. La cura pastorale della Chiesa si deve esprimere in questo caso nel vigilare perché la liturgia della Parola, organizzata sotto la guida di un diacono o di un responsabile della comunità al quale tale ministero sia stato regolarmente affidato dall'autorità competente, si compia secondo un rituale specifico elaborato dalle Conferenze episcopali e a tale scopo da esse approvato. Ricordo che spetta agli Ordinari concedere la facoltà di distribuire la comunione in tali liturgie, valutando attentamente la convenienza di una certa scelta. Inoltre, si deve fare in modo che tali assemblee non ingenerino confusione sul ruolo centrale del sacerdote e sulla componente sacramentale nella vita della Chiesa. L'importanza del ruolo dei laici, che vanno giustamente ringraziati per la loro generosità al servizio delle comunità cristiane, non deve mai occultare il ministero insostituibile dei sacerdoti per la vita della Chiesa. Pertanto, si vigili attentamente a che le assemblee in attesa di sacerdote non diano adito a visioni ecclesiologiche non aderenti alla verità del Vangelo e alla tradizione della Chiesa. Piuttosto dovrebbero essere occasioni privilegiate di preghiera a Dio perché mandi santi sacerdoti secondo il suo cuore. Toccante, a questo proposito, quanto scriveva il Papa Giovanni Paolo II nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979, ricordando quei luoghi dove la gente, privata del sacerdote da parte del regime dittatoriale, si riuniva in una chiesa o in un santuario, metteva sull'altare la stola ancora conservata e recitava le preghiera della liturgia eucaristica fermandosi in silenzio 'al momento che corrisponde alla transustanziazione', a testimonianza di quanto 'ardentemente essi desiderano di udire le parole che solo le labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare'. Proprio in questa prospettiva, considerato il bene incomparabile derivante dalla celebrazione del Sacrificio eucaristico, chiedo a tutti i sacerdoti una fattiva e concreta disponibilità a visitare il più spesso possibile le comunità affidate alla loro cura pastorale, perché non rimangano troppo tempo senza il Sacramento della carità".

Per una lettura complessiva dell'esortazione postsinodale "Sacramentum caritatis" vedi in www.chiesa:

> "Sacramentum caritatis": alla domenica tutti alla messa (14.3.2007)

www.chiesa

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Come denunciò Paolo VI: «il fumo di Satana è entrato per qualche fessura nel Tempio di Dio». Anche dai frati predicatori!!!!!!!!!!

Qua ci vuole proprio uno come P. Gabriele Amorth!!!!!
http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=2564

Anonimo ha detto...

Questa è la sequenza logica di ideie come queste:
E l’assemblea, cioè lo spazio dove la comunità si raduna, che è il primo segno della presenza di Cristo. “Quando due o tre si raduneranno nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Allora il sacerdote guarda là dove Cristo è presente». Marini Piero, ex-mastro cerimoniere su Avvenire del 6 marzo 2005

In questa frase di Piero Marini si ripropone un errore, una mezza eresia, denunciata dai cardinali Ottaviani e Bacci nel loro “Breve esame critico del Novus Ordo Missae” presentado a Paolo VI, quando hanno dato l' allerta sulla definizione di Messa data dal Novus Ordo e sullo stesso Novus Ordo:

“Cominciamo dalla definizione di Messa che si presenta al par. 7, vale a dire in apertura al secondo
capitolo del Novus Ordo: «De structura Missæ».
«Cena dominica sive Missa est sacra synaxis seu congregatio populi Dei in unum convenientis,
sacerdote præside, ad memoriale Domini celebrandum. Quare de sanctæ ecclesiæ locali
congregatione eminenter valet promissio Christi “Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine
meo, ibi sum in medio eorum” (Mt. 18, 20)».
La definizione di Messa è dunque limitata a quella di «cena», il che è poi continuamente ripetuto (n.
8, 48, 55d, 56); tale «cena» è inoltre caratterizzata dalla assemblea, presieduta dal sacerdote, e dal
compiersi il memoriale del Signore, ricordando quel che Egli fece il Giovedí Santo.
Tutto ciò non implica: né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del
sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla
presenza dell’assemblea. Non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali
della Messa e che ne costituiscono pertanto la vera definizione. Qui l’omissione volontaria equivale
al loro «superamento», quindi, almeno in pratica, alla loro negazione.
Nella seconda parte dello stesso paragrafo si afferma - aggravando il già gravissimo equivoco - che
vale «eminenter» per questa assemblea la promessa del Cristo: «Ubi sunt duo vel tres congregati
in nomine meo, ibi sum in medio eorum» (Mt. 18, 20). Tale promessa, che riguarda soltanto la
presenza spirituale del Cristo con la sua grazia, viene posta sullo stesso piano qualitativo, salvo la
maggiore intensità, di quello sostanziale e fisico della presenza sacramentale eucaristica”.

Per vedere tutto il testo, ecco il link:

http://introiboadaltaredei.files.wordpress.com/2006/12/breve-esame-ottaviani-bacci.pdf

mariateresa ha detto...

certo che in Olanda hanno poche ideee ma ben confuse.

Utnapishtim ha detto...

Non ho idea di quante volta Paolo VI si sia rivoltato nella tomba per tutte le volte in cui le sue parole su "il fumo di satana" sono state usate a sproposito, contro di lui e contro il Concilio Vaticano II che lui intensamente volle così come fu.
E pare veramente grottesco che iniziative di buona volontà mosse da comunità di religiosi vengano fatte oggetto di attacchi simili a quelli fatti da "anonimo".
Non posso sapere chi sia costui che scrive, ma si intravede la carne dell'uomo sotto l'abito talare, la volontà di preservare i privilegi del suo mestiere, la paura che la terra sfugga sotto i piedi, altrimenti non si giustificherebbe una simile reazione. La reazione ufficiale difatti, lungi dal nominare Satana, è assai più indulgente con gli olandesi e, per quanto fermamente ribadisca l'insostituibilità del ministro, non stigmatizza affatto la pratica illustrata.

francesco ha detto...

sarebbe bene che chi si dice anonimo avesse un atteggiamento più rispettoso verso un arcivescovo della Chiesa cattolica e verso la Liturgia... non è più tollerabile il riferimento a documenti discutibili sotto il profilo teologico, tra l'altro falsamente attribuiti ad alcuni cardinali...
detto questo la situazione della chiesa in Olanda è nota... e sinceramente non scandalizza più... forse è utile al gioco di magister di far paura a chi in Italia non ha mai visto cose del genere... da noi certi abusi non ci sono mai stati e se pure sono accaduti sono stati limitati in piccoli gruppi e per poco tempo... in Italia, grazie a vescovi come Lercaro, Brandolini, Magrassi e tanti altri la liturgia è sempre stata rinnovata e in piena continuità con la Tradizione intera della Chiesa...
di che cosa ha realmente paura magister (o chi per lui) e chi lo segue?

Luisa ha detto...

Penso "signor pane di mandorla" che Paolo VI ha senza dubbio dovuto soffrire parecchio, in vita e nella sua tomba, nei 20 anni che hanno seguito il CV II vedendo quello che stava succedendo e come la lettera del Concilio era tradita, manipolata.
Il Concilio fu forse come lui lo volle, non certo quello che seguì!
Quanto a definire inizativa di buona volontà,quella dei domenicani olandesi.....una volontà è orientata verso un obiettivo... una buona volontà è diretta verso un`obiettivo buono, è più che chiaro che l`obiettivo si pone al di fuori della Chiesa cattolica, , nè l`obiettivo nè la volontà mi sembrano buoni! !
Per quel che riguarda le reazioni ufficiali, di chi sta parlando? Non c`è nessuna indulgenza e ancor meno approvazione, i superiori domenicani a Roma sono piuttosto imbarazzati e restano moderati...le libertà prese da certi olandesi non stupiscono più nessuno, non per questo sono lecite .

Luisa ha detto...

Sappiamo ,Francesco, quanto Magister sia caro al suo cuore, ma non vedo che cosa gli rimprovera. Magister da un`informazione, ci informa delle derive che succedono in certi Paesi, ancor meno capisco la sua allusione ad un`eventuale paura di Magister.
Sappiamo tutti che lei non lo apprezza ma da qui a ridurre ogni suo intervento a negative e scure lamentele di chi sta temendo non so quale catastrofe annunciata.....
La sua antipatia è troppo radicale, di che cosa ha paura lei ,Fancesco?

francesco ha detto...

ciò che rimprovero a magister è quello di usare la sua professionalità giornalistica per screditare continuamente qualche membro della Chiesa o per mettere nella Chiesa gli uni contro gli altri... da bravo professionista qual è lo fa in modo tale che questa cosa sembra non apparire, come se desse delle semplici notizie di agenzia...
e mi sembra importante far notare questo modo, cristianamente poco morale, di dare le notizie... soprattutto perché fomenta la divisione nel popolo di Dio e ne da un'immagine molto più simile a certe indisciplinate aule parlamentari che alla realtà così com'è...
paura non ne ho, ma sdegno, questo sì...
forse per questo son così radicale!

Luisa ha detto...

Grazie Francesco per la sua risposta!
Siccome a me piace capire, sono andata sui 2 siti di Magister , Settimo cielo e Chiesa, ho rapidamente ripercorso i titoli degli articoli che ho letto a suo tempo e non arrivo a intravedere, anche prendendo una lente, le intenzioni che lei presta a Magister.
Eppure le assicuro sono abbastanza preparata o attrezzata per leggere fra le linee...
Vedo molte informazioni, analisi, certo personali, come lo sono le sue, Francesco, credo capire che come lei non ama Magister, Magister non ama il card. Bertone...ma quante informazioni sulla Chiesa, e non solo italiana, per fortuna abbiamo avuto Magister dopo Ratisbona, per citare solo un esempio.
Lo sento vicino alla sensibilità di Papa Benedetto.... e per un vaticanista è un fatto abbastanza raro per non sottolinearlo.
Non vedo niente di cristianamente immorale nel giornalismo di Magister...direi piuttosto l`esatto contrario......ma forse ho due fette di salami sugli occhi.

Utnapishtim ha detto...

X Luisa
Pare proprio che il mio nome non vi piaccia e che sia diventata una moda quello di tradurmelo. Prego, se questo può servire alla vostra dialettica.
Vediamo
"un`obiettivo"
ehm, curioso, le piace italianizzare ma non ha dimestichezza con la lingua.

"è più che chiaro che l`obiettivo si pone al di fuori della Chiesa cattolica, , nè l`obiettivo nè la volontà mi sembrano buoni!"

questa è una sua opinione ed è altamente discutibile.


"Per quel che riguarda le reazioni ufficiali, di chi sta parlando?"

Ho semplicemente letto l'articolo fino in fondo così composto e presentato da Raffaella. Il Sacramentum Caritatis, affrontando questo vecchio problema, mi pare adotti una impostazione ben diversa da quella di stigmatizzare chi opera in un contesto diverso da quello come il nostro in cui i ministri sono sovrabbondanti.
Che poi ribadisca il fatto che i ministri siano indispensabili, questo è fuor di dubbio. Ma per dirimere le controversie è proprio necessario assalire questa gente che, ripeto, di buona volontà, con accuse dogmatiche? Ratzinger invitava piuttosto i sacerdoti a recarsi in quei luoghi, quindi in parole povere, se davvero vi stanno a cuore le anime di quei dissidenti, meno chiacchere e più biglietti del treno :)

Luisa ha detto...

Scusi ,Mr. posso permettermi di porle una domanda? E le assicuro che non c`è nessun pre-giudizio nella mia domanda : " lei è cattolico?"
Mi permetto di domandarle ciò, lasciandola evidentemente libero di rispondere o no. Non ho nessun pregiudizio verso le altre religioni sono circondata da protestanti, musulmani e atei, ci ripettiamo a vicenda, non li critico e loro non si permettono di disprezzare la mia fede o ancora il Magistero del Papa. C`è talvolta incomprensione, e da lì possono nascere discussioni ,scambi ricchi umanamente e intellettualmente.
Quando la leggo e non solo su questo blog, osservo un suo giudizio perentorio sulla Chiesa, quello che dovrebbe, secondo lei, essere e non è, lei sembra avere idee molto chiare su che cosa debba essere la Chiesa cattolica e nello stesso tempo ho l`impressione che lei non faccia parte del gregge che ha alla sua guida il Vescovo di Roma.
E poi mi domando anche fino dove può andare una certa malafede, in effetti lei si riferisce all`articolo del post, dicendo che è da quel articolo che lei deduce che c`è indulgenza da parte della Chiesa, ebbene leggo e rileggo non vedo niente del genere, la conferenza episcopale olandese si è pronunciata chiaramente contro queste pratiche che sono in conflitto con la dottrina della Chiesa cattolica.
Quanto poi alla Sacramentum caritatis, le consiglio di leggerla con attenzione, perchè ci vuole un forte dose di immaginazione per cercare di farle dire quello che lei vorrebbe farle dire!
È chiaro che la mancanza di preti, genera un vuoto, che le comunità cercano di colmare, ma pur sempre restando nella linea della tradizione della fede e :
"L'importanza del ruolo dei laici, che vanno giustamente ringraziati per la loro generosità al servizio delle comunità cristiane, non deve mai occultare il ministero insostituibile dei sacerdoti per la vita della Chiesa. Pertanto, si vigili attentamente a che le assemblee in attesa di sacerdote non diano adito a visioni ecclesiologiche non aderenti alla verità del Vangelo e alla tradizione della Chiesa. Piuttosto dovrebbero essere occasioni privilegiate di preghiera a Dio perché mandi santi sacerdoti secondo il suo cuore."
Sacramentum caritatis- Benedetto XVI
Preghiamo dunque perchè Dio invii sempre più operai nella sua vigna, preghiamo anche perchè in attesa di un sacerdote, le comunità sappiano radicare la loro buona volontà nei fondamenti della dottrina cattolica senza lasciarsi andare a creatività abusive,

Scusi...piccolo dettaglio ma non capisco la sua ironia sulla parola "obiettivo", non si dice forse: fissare un obiettivo, orientare un`attività verso un `obiettivo?
Imparo molto su questo blog, sopratutto grazie a Mariateresa....

Luisa ha detto...

Ho dimenticato di scusarmi presso Mr. Mandelbrot per aver tradotto il suo nome..la tentazione era troppo forte.
Curiosa come sono, avendo un pò di tempo,sono andata su Google e ho trovato, Benoît Mandelbrot, grande matematico franco americano...uno scientifico come lei....
Mi sembra capire che lei detesta il pensiero unico, preferisce le dispute, le controverse, come segnale di vita e dinamismo, con questa chiave di lettura si possono leggere i suoi interventi e riflessioni....
Quanto alla mia domanda sulla sua religione...la può dimenticare...potevo evitare.... anche se era l`espression edi una semplice e sincera curiosità senza nessun` altra connotazione.

Anonimo ha detto...

Prima di tutto, non so quale differenza così importante c'è tra usare un pseudonimo o omettere il proprio nome.
Poi: parlo da cattolico apostolico romano e basta!!!!!!!!!
Adesso vediamo in che contesto ha utilizzato Paolo VI la spressione "fumo di satana" e poi se può dire veramento quello che gli stava a cuore.

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1972/documents/hf_p-vi_hom_19720629_it.html

IX ANNIVERSARIO DELL'INCORONAZIONE DI SUA SANTITÀ

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Giovedì, 29 giugno 1972



Al tramonto di giovedì 29 giugno, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, alla presenza di una considerevole moltitudine di fedeli provenienti da ogni parte del mondo, il Santo Padre celebra la Messa e l’inizio del suo decimo anno di Pontificato, quale successore di San Pietro.
Con il Decano del Sacro Collegio, Signor Cardinale Amleto Giovanni Cicognani e il Sottodecano Signor Cardinale Luigi Traglia sono trenta Porporati, della Curia, e alcuni Pastori di diocesi, oggi presenti a Roma.
Due Signori Cardinali per ciascun Ordine, accompagnano processionalmente il Santo Padre all’altare.
Al completo il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con il Sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Giovanni Benelli, ed il Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, arcivescovo Agostino Casaroli.
Diamo un resoconto della Omelia di Sua Santità.

Il Santo Padre esordisce affermando di dovere un vivissimo ringraziamento a quanti, Fratelli e Figli, sono presenti nella Basilica ed a quanti, lontani, ma ad essi spiritualmente associati, assistono al sacro rito, il quale, all’intenzione celebrativa dell’Apostolo Pietro, cui è dedicata la Basilica Vaticana, privilegiata custode della sua tomba e delle sue reliquie, e dell’Apostolo Paolo, sempre a lui unito nel disegno e nel culto apostolico, unisce un’altra intenzione, quella di ricordare l’anniversario della sua elezione alla successione nel ministero pastorale del pescatore Simone, figlio di Giona, da Cristo denominato Pietro, e perciò nella funzione di Vescovo di Roma, di Pontefice della Chiesa universale e di visibile e umilissimo Vicario in terra di Cristo Signore. Il ringraziamento vivissimo è per quanto la presenza di tanti fedeli gli dimostra di amore a Cristo stesso nel segno della sua povera persona, e lo assicura perciò della loro fedeltà e indulgenza verso di lui, non che del loro proposito per lui consolante di aiutarlo con la loro preghiera.

LA CHIESA DI GESÙ, LA CHIESA DI PIETRO

Paolo VI prosegue dicendo di non voler parlare, nel suo breve discorso, di lui, San Pietro, ché troppo lungo sarebbe e forse superfluo per chi già ne conosce la mirabile storia; né di se stesso, di cui già troppo parlano la stampa e la radio, alle quali per altro esprime la sua debita riconoscenza. Volendo piuttosto parlare della Chiesa, che in quel momento e da quella sede sembra apparire davanti ai suoi occhi come distesa nel suo vastissimo e complicatissimo panorama, si limita a ripetere una parola dello stesso Apostolo Pietro, come detta da lui alla immensa comunità cattolica; da lui, nella sua prima lettera, raccolta nel canone degli scritti del Nuovo Testamento. Questo bellissimo messaggio, rivolto da Roma ai primi cristiani dell’Asia minore, d’origine in parte giudaica, in parte pagana, quasi a dimostrare fin d’allora l’universalità del ministero apostolico di Pietro, ha carattere parenetico, cioè esortativo, ma non manca d’insegnamenti dottrinali, e la parola che il Papa cita è appunto tale, tanto che il recente Concilio ne ha fatto tesoro per uno dei suoi caratteristici insegnamenti. Paolo VI invita ad ascoltarla come pronunciata da San Pietro stesso per coloro ai quali in quel momento egli la rivolge.

Dopo aver ricordato il brano dell’Esodo nel quale si racconta come Dio, parlando a Mosè prima di consegnargli la Legge, disse: «Io farò di questo popolo, un popolo sacerdotale e regale», Paolo VI dichiara che San Pietro ha ripreso questa parola così esaltante, così grande e l’ha applicata al nuovo popolo di Dio, erede e continuatore dell’Israele della Bibbia per formare un nuovo Israele, l’Israele di Cristo. Dice San Pietro: Sarà il popolo sacerdotale e regale che glorificherà il Dio della misericordia, il Dio della salvezza.

Questa parola, fa osservare il Santo Padre, è stata da taluni fraintesa, come se il sacerdozio fosse un ordine solo, e cioè fosse comunicato a quanti sono inseriti nel Corpo Mistico di Cristo, a quanti sono cristiani. Ciò è vero per quanto riguarda quello che viene indicato come sacerdozio comune, ma il Concilio ci dice, e la Tradizione ce l’aveva già insegnato, che esiste un altro grado del sacerdozio, il sacerdozio ministeriale che ha delle facoltà, delle prerogative particolari ed esclusive.

Ma quello che interessa tutti è il sacerdozio regale e il Papa si sofferma sul significato di questa espressione. Sacerdozio vuol dire capacità di rendere il culto a Dio, di comunicare con Lui, di offrirgli degnamente qualcosa in suo onore, di colloquiare con lui, di cercarlo sempre in una profondità nuova, in una scoperta nuova, in un amore nuovo. Questo slancio dell’umanità verso Dio, che non è mai abbastanza raggiunto, né abbastanza conosciuto, è il sacerdozio di chi è inserito nell’unico Sacerdote, che è Cristo, dopo l’inaugurazione del Nuovo Testamento. Chi è cristiano è per ciò stesso dotato di questa qualità, di questa prerogativa di poter parlare al Signore in termini veri, come da figlio a padre.

IL NECESSARIO COLLOQUIO CON DIO

«Audemus dicere»: possiamo davvero celebrare, davanti al Signore, un rito, una liturgia della preghiera comune, una santificazione della vita anche profana che distingue il cristiano da chi cristiano non è. Questo popolo è distinto, anche se confuso in mezzo alla marea grande dell’umanità. Ha una sua distinzione, una sua caratteristica inconfondibile. San Paolo si disse «segregatus», distaccato, distinto dal resto dell’umanità appunto perché investito di prerogative e di funzioni che non hanno quanti non possiedono l’estrema fortuna e l’eccellenza di essere membra di Cristo.

Paolo VI aggiunge, quindi, che i fedeli, i quali sono chiamati alla figliolanza di Dio, alla partecipazione del Corpo Mistico di Cristo, e sono animati dallo Spirito Santo, e fatti tempio della presenza di Dio, devono esercitare questo dialogo, questo colloquio, questa conversazione con Dio nella religione, nel culto liturgico, nel culto privato, e ad estendere il senso della sacralità anche alle azioni profane. «Sia che mangiate, sia che beviate - dice San Paolo - fatelo per la gloria di Dio». E lo dice più volte, nelle sue lettere, come per rivendicare al cristiano la capacità di infondere qualcosa di nuovo, di illuminare, di sacralizzare anche le cose temporali, esterne, passeggere, profane.

Siamo invitati a dare al popolo cristiano, che si chiama Chiesa, un senso veramente sacro. E sentiamo di dover contenere l’onda di profanità, di desacralizzazione, di secolarizzazione che monta e vuol confondere e soverchiare il senso religioso nel segreto del cuore, nella vita privata o anche nelle affermazioni della vita esteriore. Si tende oggi ad affermare che non c’è bisogno di distinguere un uomo da un altro, che non c’è nulla che possa operare questa distinzione. Anzi, si tende a restituire all’uomo la sua autenticità, il suo essere come tutti gli altri. Ma la Chiesa, e oggi San Pietro, richiamando il popolo cristiano alla coscienza di sé, gli dicono che è il popolo eletto, distinto, «acquistato» da Cristo, un popolo che deve esercitare un particolare rapporto con Dio, un sacerdozio con Dio. Questa sacralizzazione della vita non deve oggi essere cancellata, espulsa dal costume e dalla realtà quotidiana quasi che non debba più figurare.

SACRALITÀ DEL POPOLO CRISTIANO

Abbiamo perduto, fa notare Paolo VI, l’abito religioso, e tante altre manifestazioni esteriori della vita religiosa. Su questo c’è tanto da discutere e tanto da concedere, ma bisogna mantenere il concetto, e con il concetto anche qualche segno, della sacralità del popolo cristiano, di coloro cioè che sono inseriti in Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote.

Oggi talune correnti sociologiche tendono a studiare l’umanità prescindendo da questo contatto con Dio. La sociologia di San Pietro, invece, la sociologia della Chiesa, per studiare gli uomini mette in evidenza proprio questo aspetto sacrale, di conversazione con l’ineffabile, con Dio, col mondo divino. Bisogna affermarlo nello studio di tutte le differenziazioni umane. Per quanto eterogeneo si presenti il genere umano, non dobbiamo dimenticare questa unità fondamentale che il Signore ci conferisce quando ci dà la grazia: siamo tutti fratelli nello stesso Cristo. Non c’è più né giudeo, né greco, né scita, né barbaro, né uomo, né donna. Tutti siamo una sola cosa in Cristo. Siamo tutti santificati, abbiamo tutti la partecipazione a questo grado di elevazione soprannaturale che Cristo ci ha conferito. San Pietro ce lo ricorda: è la sociologia della Chiesa che non dobbiamo obliterare né dimenticare.

SOLLECITUDINI ED AFFETTO PER I DEBOLI E I DISORIENTATI

Paolo VI si chiede, poi, se la Chiesa di oggi si può confrontare con tranquillità con le parole che Pietro ha lasciato in eredità, offrendole in meditazione. «Ripensiamo in questo momento con immensa carità - così il Santo Padre - a tutti i nostri fratelli che ci lasciano, a tanti che sono fuggiaschi e dimentichi, a tanti che forse non sono mai arrivati nemmeno ad aver coscienza della vocazione cristiana, quantunque abbiano ricevuto il Battesimo. Come vorremmo davvero distendere le mani verso di essi, e dir loro che il cuore è sempre aperto, che la porta è facile, e come vorremmo renderli partecipi della grande, ineffabile fortuna della felicità nostra, quella di essere in comunicazione con Dio, che non ci toglie nulla della visione temporale e del realismo positivo del mondo esteriore!».

Forse questo nostro essere in comunicazione con Dio, ci obbliga a rinunce, a sacrifici, ma mentre ci priva di qualcosa moltiplica i suoi doni. Sì, impone rinunce ma ci fa sovrabbondare di altre ricchezze. Non siamo poveri, siamo ricchi, perché abbiamo la ricchezza del Signore. «Ebbene - aggiunge il Papa - vorremmo dire a questi fratelli, di cui sentiamo quasi lo strappo nelle viscere della nostra anima sacerdotale, quanto ci sono presenti, quanto ora e sempre e più li amiamo e quanto preghiamo per loro e quanto cerchiamo con questo sforzo che li insegue, li circonda, di supplire all’interruzione che essi stessi frappongono alla nostra comunione con Cristo».

Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.

PER UN «CREDO» VIVIFICANTE E REDENTORE

Come è avvenuto questo? Il Papa confida ai presenti un suo pensiero: che ci sia stato l’intervento di un potere avverso. Il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere cui si fa allusione anche nella Lettera di S. Pietro. Tante volte, d’altra parte, nel Vangelo, sulle labbra stesse di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini. «Crediamo - osserva il Santo Padre - in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. Appunto per questo vorremmo essere capaci, più che mai in questo momento, di esercitare la funzione assegnata da Dio a Pietro, di confermare nella Fede i fratelli. Noi vorremmo comunicarvi questo carisma della certezza che il Signore dà a colui che lo rappresenta anche indegnamente su questa terra». La fede ci dà la certezza, la sicurezza, quando è basata sulla Parola di Dio accettata e trovata consenziente con la nostra stessa ragione e con il nostro stesso animo umano. Chi crede con semplicità, con umiltà, sente di essere sulla buona strada, di avere una testimonianza interiore che lo conforta nella difficile conquista della verità.

Il Signore, conclude il Papa, si mostra Egli stesso luce e verità a chi lo accetta nella sua Parola, e la sua Parola diventa non più ostacolo alla verità e al cammino verso l’essere, bensì un gradino su cui possiamo salire ed essere davvero conquistatori del Signore che si mostra attraverso la via della fede, questo anticipo e garanzia della visione definitiva.

Nel sottolineare un altro aspetto dell’umanità contemporanea, Paolo VI ricorda l’esistenza di una gran quantità di anime umili, semplici, pure, rette, forti, che seguono l’invito di San Pietro ad essere «fortes in fide». E vorremmo - così Egli - che questa forza della fede, questa sicurezza, questa pace trionfasse su tutti gli ostacoli. Il Papa invita infine i fedeli ad un atto di fede umile e sincero, ad uno sforzo psicologico per trovare nel loro intimo lo slancio verso un atto cosciente di adesione: «Signore, credo nella Tua parola, credo nella Tua rivelazione, credo in chi mi hai dato come testimone e garante di questa Tua rivelazione per sentire e provare, con la forza della fede, l’anticipo della beatitudine della vita che con la fede ci è promessa».

Anonimo ha detto...

CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

ISTRUZIONE

Redemptionis sacramentum

su alcune cose che si devono osservare ed evitare
circa la Santissima Eucaristia

1.Graviora delicta

[172.] I graviora delicta contro la santità del Santissimo Sacrificio e sacramento dell’Eucaristia vanno trattati seguendo le «Norme relative ai graviora delicta riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede»,[280] vale a dire:

a) sottrazione o ritenzione a fine sacrilego o il gettar via le specie consacrate;[281]

b) tentata azione liturgica del Sacrificio eucaristico o sua simulazione;[282]

c) concelebrazione proibita del Sacrificio eucaristico insieme a ministri di Comunità ecclesiali i quali non hanno la successione apostolica, né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;[283]

d) consacrazione a fine sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica o anche di entrambe al di fuori della celebrazione eucaristica.[284]


http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20040423_redemptionis-sacramentum_it.html

brustef1 ha detto...

Buono a sapersi, devo andare in Olanda per lavoro e perciò per pregare "come Dio comanda" frequenterò le chiese ortodosse.

Utnapishtim ha detto...

X Luisa.
Perdoni lei la mia villania... Ho sottolineato il banale errore grammaticale di "un'obbiettivo" (non ci vuole l'apostrofo) solo perchè mi sono sentito un po' aggredito. Accetti le mie scuse.
Da parte mia, anche se vedo che alla risposta lei ci è arrivata benissimo da sola, posso provare a rispondere alla sua domanda sulla mia religione.
Ebbene no, non sono cattolico. Lo sono stato. Sono ancora adesso molto interessato alle cose di Chiesa, ma non sono cattolico.
Spero però che si avverta il senso di rispetto (e comunione - se mi è concesso) che nutro per coloro che, avendo fede, cercano di vivere migliorando il mondo secondo l'immagine e la somiglianza di quel Dio che amano.
Federico

Luisa ha detto...

Grazie Mr. Mandelbrot per la sua gentile risposta!
Cercare di vivere come testimoni del messaggio evangelico è una grande gioia ma anche una grande responsabilità !
Essere coscienti dell`immenso dono che abbiamo ricevuto , della presenza di Dio in noi e nei nostri fratelli dovrebbe guidare ogni nostro pensiero, parola e atto...so che purtroppo non è sempre così,troppo spesso ci perdiamo nel labirinto del nostro piccolo ego.