28 aprile 2008

Cultura biblica e fondamentalismo non vanno d'accordo (Osservatore Romano)


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Presentati nella Sala Stampa della Santa Sede i primi risultati di un'indagine statistica e sociologica sulla lettura della Bibbia tra la popolazione adulta dei credenti di nove nazioni

Cultura biblica e fondamentalismo non vanno d'accordo

di Marilena Amerise

Il 29 aprile il sociologo Luca Diotallevi, dell'università Roma Tre, l'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e il vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, presentano in Sala Stampa Vaticana la prima sintesi dei risultati di un'indagine sulla lettura delle Scritture condotta in nove Paesi, volta ad analizzare il rapporto della popolazione adulta con la Bibbia, sia dal punto di vista sociologico che da quello pastorale. Il coordinatore della ricerca, Diotallevi, ha diretto il gruppo di lavoro scientifico che ha prodotto un documento articolato in due sezioni: la prima delle quali propone una valutazione scientifica dei dati raccolti; la seconda illustra i risultati raggiunti con l'ausilio di tavole statistiche.
Terreno di indagine sono nove Paesi - Stati Uniti d'America, Regno Unito, Germania, Olanda, Francia, Polonia, Russia, Spagna, Italia - con un campione fortemente rappresentativo di popolazione adulta di fedeli cristiani. Diotallevi sottolinea come l'indagine abbia avuto tra i suoi obbiettivi "quello di comprendere che cosa spinge a leggere la Bibbia. Leggere la Scrittura è infatti un comportamento e i comportamenti si diffondono per imitazione. Pertanto legge la Bibbia chi partecipa a realtà associative e liturgiche nelle quali è sviluppata la pratica della lettura". Questo è il primo dato emerso a livello sociologico. L'altro dato riguarda l'atteggiamento verso la Bibbia da parte del campione analizzato e generalmente si tratta di un atteggiamento positivo. "La diffusione della lettura della Bibbia in questi nove Paesi si spiega non soltanto sul piano della pura credenza, ma su quello della pratica religiosa, tuttavia - osserva Diotallevi - è forte la sensazione da parte degli intervistati di trovarsi di fronte a un testo di non facile lettura e di non facile comprensione".

L'indagine ha messo in luce che nell'opinione pubblica esiste anche una piccola quota di fondamentalisti; essi tuttavia, continua Diotallevi, "non rivelano di possedere una cultura biblica (...) a riprova che il fondamentalismo è espressione di disagio sociale e non di cultura". Uno dei risultati raggiunti dalla ricerca è proprio un'ulteriore conferma che "i fondamentalisti o i letteralisti conoscono la Bibbia molto meno di coloro che nei confronti della Bibbia assumono un atteggiamento critico".
Il curatore dell'indagine sottolinea anche un altro dato significativo: "Le difficoltà incontrate dalle Chiese cristiane nelle società occidentali non sono effetto diretto di società secolarizzate; bisogna pertanto cercare la spiegazione dei dislivelli nelle strategie che le Chiese adottano. "La Chiesa cattolica - evidenzia il coordinatore del progetto - deve avere fiducia nelle risorse di fondo quali liturgia, parrocchie e associazionismo, quelle che conferiscono forza all'esperienza ecclesiale. Un caso su tutti: anche il Paese che presenta il maggior tasso di secolarizzazione, la Francia, ci mostra come le Scritture siano in grado di produrre esperienza ecclesiale".
L'indagine ha consentito di far luce su un settore molto vasto, analizzando anche il modo in cui gli intervistati si pongono in relazione con il testo biblico e le problematiche a esso collegate. Monsignor Ravasi, dal canto suo, sottolinea come i risultati più significativi emersi da tale ricerca possano essere riassunti almeno in cinque punti: "In primo luogo è affiorata la consapevolezza della comprensione della Bibbia; il cinquanta per cento degli intervistati ha infatti affermato la necessità di una strumentazione interpretativa che possa far comprendere il testo nella sua dimensione teologica e in quella storica. In secondo luogo c'è la coscienza che la Bibbia costituisce il grande codice della cultura occidentale ed è pertanto un riferimento culturale imprescindibile. Ciò è comprovato dal favore espresso dagli intervistati all'insegnamento della Bibbia al di fuori dell'ora di religione: la Bibbia è percepita infatti come testo che ha plasmato l'èthos e che costituisce una grande stella polare etica anche laica". In terzo luogo - prosegue monsignor Ravasi - "il fatto che negli Stati Uniti solo il sette per cento non possiede una Bibbia mentre in Europa la percentuale sale notevolmente, sottolinea l'esigenza di produrre nuove edizioni. Proprio a questo proposito è in uscita un originale esperimento di proposta ermeneutica a cura dell'Editrice San Paolo: un'edizione caratterizzata da una molteplicità di prospettive: da quella storico-critica, a quella teologica e a quella liturgica. Il quarto punto riguarda la lettura della Bibbia: dall'indagine è emerso infatti come negli Stati Uniti il settantacinque per cento degli intervistati avesse letto almeno un brano biblico nell'ultimo anno, in Italia il ventisette per cento, mentre in Spagna la percentuale si abbassa notevolmente. Ciò mostra che esiste ancora un campo importante per la catechesi che aiuta a leggere e a comprendere il testo. È questo un ambito non solo di impegno ecclesiale, ma anche di impegno culturale.
Il quinto punto riguarda la preghiera con la Bibbia: è curioso notare come la Bibbia non incida più di tanto sulla spiritualità. Ciò dimostra che il testo biblico è considerato come un testo di tipo culturale, ma non caratterizza lo stile individuale di preghiera. È pertanto necessario rivalutare la Scrittura anche come sussidio indispensabile per la preghiera personale".
Monsignor Ravasi conclude le sue riflessioni notando che "nel mondo laico attuale la Bibbia è generalmente un testo stimato e considerato, il che contrasta un atteggiamento riduzionista secondo cui le Scritture sono solo un libro di leggende o di miti; tuttavia insorge, anche in ambito cattolico, una corrente che ridimensiona fortemente il rilievo della scrittura ebraico-cristiana. Bisogna invece tenere ben salda la consapevolezza delle radici ebraico-cristiane, che non devono certo essere sottovalutate nei nuovi e legittimi metodi di interpretazione del testo biblico, quali il metodo retorico, semiotico, antropologico, narrativo. Nell'ermeneutica del testo biblico bisogna comunque tenere sempre presente che l'eredità classica si è sposata con l'eredità ebraico-cristiana".
Dal punto di vista pastorale, monsignor Paglia ha sottolineato a sua volta l'importanza di questa indagine: "I risultati della ricerca confermano le indicazioni del Concilio Vaticano II che hanno rimesso le Scritture nelle mani dei fedeli e riaffermato il legame tra Scritture ed Eucaristia; mostrano quanto la Bibbia sia intimamente legata alla Chiesa: infatti dai dati si evidenzia che l'ascolto delle Scritture è un momento importante per la crescita delle comunità. In base ai dati statistici emerge inoltre che la Scrittura resta il campo più fecondo per il dialogo ecumenico. Questi risultati se per un verso confermano le scelte pastorali, per altro verso spingono a essere più audaci. Nonostante gli enormi progressi fatti, le Scritture non sono ancora il libro della preghiera di tutti i cristiani e in tal senso l'esortazione della costituzione conciliare Dei Verbum (capitolo sesto) affinché la Bibbia sia la fonte della vita spirituale deve trovare nuove e più efficaci forme di attuazione. A mio avviso è necessario, come notava già nel 1956 il cardinale Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, che all'inizio di questo nuovo millennio nasca o rinasca l'entusiasmo per le Sacre Scritture".

(©L'Osservatore Romano - 28-29 aprile 2008)

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