28 aprile 2008

Mons. Ravasi: "La Bibbia e quell'idioma così familiare ai Padri" (Osservatore Romano)


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Quell'idioma così familiare ai Padri

di Gianfranco Ravasi

È significativo che, in Italia, il sessantadue per cento degli intervistati si sia dichiarato favorevole all'insegnamento della Bibbia nelle scuole, a prescindere dall'insegnamento della religione. Ciò significa che finalmente sembra prendere il via quella consapevolezza che ha visto delle opposizioni anche nel mondo ecclesiale ed ecclesiastico. Il testo biblico deve essere considerato anche un grande testo culturale. È un orientamento che abbiamo sostenuto sottoscrivendo numerosi appelli e documenti insieme a un folto gruppo di persone costituito in prevalenza da rappresentanti del mondo laico: i cofirmatari erano infatti in prevalenza laici, non credenti, agnostici o comunque lontani da interessi religiosi.
Insomma rimane sempre valida la famosa battuta di Umberto Eco: "Perché i nostri ragazzi devono sapere tutto degli eroi di Omero e nulla di Mosè"? Ben sapendo tra l'altro che se ci fermiamo al versante dell'ethos ci possiamo rendere conto di quanto la Bibbia abbia condizionato il Novecento, e non soltanto il mondo occidentale, non soltanto gli Stati Uniti. Pensiamo per esempio cosa significhi, bene o male, il decalogo.
Aveva ragione Kieslowski, quando ha fatto il suo film, il Decalogo: "Sì, noi il decalogo lo respingiamo talvolta come qualcosa di passatista, del paleolitico spirituale dell'occidente, e lo violiamo sistematicamente. Eppure quelle dieci stelle sono sempre nel cielo della nostra umanità". E lui non era un credente.
Quindi riconosciamo l'importanza della Bibbia nelle scuole perché permetta di comprendere la nostra identità.
Diceva Thomas S. Eliot "Se noi perdiamo questi riferimenti, cristiani soprattutto - lui diceva - non se ne va soltanto la nostra cultura. Se ne va il nostro volto". Per questo io auspico l'inserimento dell'insegnamento della Bibbia nelle scuole. Anche se questo comporterà una serie di altri problemi poiché bisognerà fare, per esempio, un protocollo d'insegnamento. Speriamo che ciò sia possibile.
Conseguenza di questo sarebbe la consuetudine al testo biblico. E ciò vale per i credenti e per i non credenti. È veramente significativo che il settantacinque per cento degli intervistati negli Stati Uniti, il che vuol dire sostanzialmente tutti i lettori, abbia letto quest'anno almeno un brano della Bibbia. In Italia abbiamo invece solo il ventisette per cento di lettori. Secondo me la consuetudine con il testo è un aspetto importante. C'è una frase spesso citata di Nietzsche, il quale si è costantemente battuto contro le scritture ebraico-cristiane ritenendole una grande iattura per la cultura dell'occidente. Nel materiale preparatorio alla sua opera Aurora, ripeteva spesso questa frase: "Tra ciò che noi proviamo alla lettura dei salmi o alla lettura di Pindaro o di Petrarca c'è la stessa differenza tra la patria e la terra straniera". E lui era un protestante. Per lui la Bibbia era già una sorta di imprinting che devi far fatica a cancellare. Del resto non dobbiamo dimenticare che il tedesco, la lingua tedesca, pura, nobile è nata con la traduzione della Bibbia di Lutero nel 1533. Cosa che per esempio non è avvenuta per l'italiano nonostante vi fossero tante traduzioni della Bibbia. Pensate che dal Duecento al Cinquecento, contrariamente a quanto si dice, c'erano almeno una dozzina di traduzioni integrali della Bibbia in volgare. Alcune, per esempio quella di un camaldolese del quattrocento, hanno avuto ben diciannove edizioni. Quindi non è vero che fosse del tutto assente, però non ha costituito questa sorta di consuetudine.
Ecco questa consuetudine è quello che noi dobbiamo cercare di promuovere nella nostra comunità. Per adesso è qualcosa di simile a quello che si diceva dei Padri della Chiesa: "I Padri della Chiesa non parlano della Bibbia. Parlano la Bibbia". Sant'Agostino, per esempio, ha sessantamila citazioni delle Scritture nelle sue opere; vuol dire che era il tessuto normale con cui lui costruiva il suo testo. Ecco su questo punto penso si debba fare veramente qualcosa di più.

(©L'Osservatore Romano - 28-29 aprile 2008)

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