29 aprile 2008
Il viaggio di Papa Benedetto XVI negli Stati Uniti: il commento del politologo Galgani
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Il viaggio di papa Benedetto XVI negli Stati Uniti
Pier Francesco Galgani
Il 21 aprile, l’aereo di papa Benedetto XVI è atterrato all’aeroporto internazionale di Fiumicino proveniente da New York, ultima tappa di un viaggio di sei giorni negli Stati Uniti. La visita era iniziata il 15 aprile con l’arrivo a Washington dove ad attenderlo vi era il presidente americano George W. Bush e sua moglie Laura.
L’obiettivo principale del lungo viaggio del pontefice negli Stati Uniti era di contribuire a restituire una immagine positiva della Chiesa cattolica dopo lo scandalo dei preti pedofili. La vicenda, esplosa nel 2002, con le rivelazioni di abusi sessuali su minori ad opera di sacerdoti americani, ha rappresentato un duro colpo alla credibilità della Chiesa cattolica non solo negli Stati Uniti, ma anche nel mondo.
L’atteggiamento di basso profilo con cui il predecessore di Joseph Ratzinger, Giovanni Paolo II, aveva gestito lo scandalo, in gran parte dovuto al progressivo indebolimento delle sue condizioni di salute, necessitava di un intervento deciso del nuovo pontefice per fugare ogni residuo dubbio sulla condanna vaticana di tali vergognosi episodi.
Una vicenda che, tra l’altro, ha comportato l’esborso da parte di varie diocesi americane di oltre due miliardi di dollari di risarcimenti per le vittime.
L’eccezionale accoglienza ottenuta da Benedetto XVI sia in termini di folle acclamanti sia di positivi commenti dei mass media statunitensi - che hanno seguito quasi minuto per minuto ogni suo spostamento previsto dall’agenda - sembra indicare che la scommessa del papa tedesco di restaurare credibilità e autorità morale alla Chiesa cattolica nel nuovo mondo sia stata vincente.
Le due grandi celebrazioni liturgiche tenute a Washington e allo Yankee Stadium di New York, unito alla visita del pontefice a Ground Zero hanno toccato le corde più intime della sensibilità religiosa e morale degli americani. Alcuni hanno sostenuto che Ratzinger non doveva limitarsi a condannare gli abusi di pedofilia, ma avrebbe dovuto compiere azioni reali. Tuttavia, l’affermazione papale secondo cui la Chiesa dovrebbe puntare ad avere più buoni sacerdoti che tanti sacerdoti è riuscita a “bucare” il video e ha contribuito a sostenere le ragioni della Chiesa più di mille parole o azioni.
Se il papa sembra quindi aver conseguito il principale obiettivo della sua visita, il viaggio di Ratzinger ha rivelato anche una non comune sintonia tra lui e il presidente Bush. L’attuale inquilino della Casa Bianca è un cristiano evangelico, un credo che non riconosce l’autorità morale e religiosa del vescovo di Roma, tuttavia, ha più volte ribadito di provare un profondo rispetto per il papa tedesco.
I due si erano incontrati durante la visita di Bush a Roma del giugno 2007, ma la decisione del presidente di recarsi alla base di Andrews per accogliere in prima persona il pontefice, un onore che Bush non aveva mai tributato a nessun leader straniero, indica che l’ex governatore del Texas ha voluto assegnare alla visita di Benedetto XVI e alla sua figura un significato molto particolare.
Anche se permangono dissensi sulla pena di morte, l’embargo a Cuba e soprattutto l’Iraq, i due uomini sono accomunati da convergenze su temi quali l’opposizione ai matrimoni gay, la ricerca sulle cellule staminali, l’aborto e l’eutanasia, punti essenziali di quella “cultura della vita” capace di unire il leader del cattolicesimo e il presidente della nazione statunitense, nata dalla cultura illuminista e in cui la separazione tra Chiesa e Stato è un valore costituzionale.
La stessa distanza sull’Iraq pare meno evidente poiché Ratzinger, pur condividendo da cardinale gli strali lanciati da Giovanni Paolo II contro Bush e la sua scelta di invadere la nazione mesopotamica, è stato eletto al soglio di Pietro molto tempo dopo l’inizio della guerra. Inoltre, Bush si è circondato di molti consiglieri cattolici e guarda alla Chiesa cattolica come a un bastione importante contro la secolarizzazione della società occidentale.
Sembrano lontani i tempi in cui i cattolici erano “papisti”, agenti di una autorità religiosa ottusa e oscurantista oppure trovavano spazio dubbi sulla possibile elezione di un cattolico alla presidenza, esemplificati nella frase di Eleanor Roosevelt che, rivolgendosi a John Kennedy, disse: “Il Paese è pronto a eleggere alla presidenza un cattolico purché questo sia in grado di mantenere la separazione tra Chiesa e Stato e non sono sicura che Kennedy possa farlo”.
Oltre al comune sentire su varie questioni sociali, ciò che ha condotto Bush a un graduale avvicinamento al pontefice e al cattolicesimo in generale (di cui, secondo un sacerdote di New York, George jr. ammira anche la maggiore ampiezza di vedute rispetto al credo evangelico) è stato anche il ripetuto accento dell’attuale papa alla lotta al relativismo, visto come strumento necessario a riaffermare la visione etica e valoriale dell’Occidente contro quelle frange dell’estremismo islamico che sono parte del fenomeno terrorista.
In più vi è anche un motivo più banale. In un anno elettorale e nella prospettiva della lotta dei repubblicani per mantenere il controllo della Casa Bianca, Bush non può non tenere conto dell’influenza politica raggiunta dalla minoranza cattolica, forte di 64 milioni di voti, molti dei quali tra i “latinos”.
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