13 maggio 2008

Card. Ruini: Teologia e cultura. Incontri confronti e scontri tra due terre di confine (Osservatore)


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Teologia e cultura

Incontri confronti e scontri tra due terre di confine

Il cardinale vicario di Roma nel pomeriggio del 12 maggio presenta alla Fiera del Libro di Torino il volume Rieducarsi al cristianesimo. Il tempo che stiamo vivendo (Milano, Mondadori, 2008, pagine 102, euro 15). Il libro raccoglie suoi interventi - tutti risalenti al 2007 - dedicati ai grandi mutamenti del nostro tempo. Pubblichiamo l'inizio della lectio che il cardinale tenne un anno fa proprio alla Fiera di Torino.

di Camillo Ruini
Cardinale vicario di Roma

Il rapporto tra teologia e cultura è stato fondamentale nel passato, sia per la teologia, e più ampiamente per il cristianesimo e la sua espansione missionaria, sia per la cultura, o meglio per le varie culture e civiltà nelle quali il cristianesimo si è inserito e che esso stesso ha in larga misura plasmato o anche generato. Ciò è avvenuto già nell'epoca neotestamentaria, quando la fede in Gesù Cristo è nata nel mondo culturale giudaico e subito dopo è entrata in quello ellenistico-romano, iniziando a trasformare entrambe queste culture, che del resto non erano rigidamente separate ma tra loro assai intrecciate.
Poi tale processo ha caratterizzato tutta l'epoca patristica, attraverso un confronto serrato della teologia dei Padri (non solo gli apologeti) con la filosofia e gli stili di vita allora dominanti. Ciò è andato di pari passo con l'affermarsi della missione cristiana e ne ha anzi costituito una dimensione essenziale. Al termine di questo itinerario la fede cristiana era diventata il fattore più influente e determinante di quella cultura, che pure manteneva i suoi tratti propri e specifici e naturalmente il suo dinamismo di evoluzione storica.
A lungo, e attraverso complesse fasi successive che hanno a che fare con le grandi migrazioni di popoli avvenute al passaggio tra l'antichità e il medioevo e con le ulteriori fasi di espansione missionaria del cristianesimo tra i popoli germanici e slavi, è perdurato e si è per vari aspetti esteso e anche istituzionalizzato questo ruolo centrale del cristianesimo nella cultura. Una formulazione classica ed esemplare di tale centralità si può vedere nella prima questione della Summa Theologiae di san Tommaso d'Aquino, dedicata alla Sacra doctrina, dove si afferma non solo che questa dottrina è scienza, in un senso superiore, e sapienza, ma che, essendo una in se stessa, si estende a tutto ciò che appartiene alle diverse scienze filosofiche, speculative e pratiche, e al contempo ha rispetto a esse una dignità che le trascende e un radicale primato, e tuttavia deve avvalersi di loro, secondo il principio che la grazia non toglie ma presuppone e perfeziona la natura.
Sappiamo bene come non solo questo primato ma il rapporto stesso tra cristianesimo e cultura, teologia e cultura, sia progressivamente entrato in crisi fin dai primi inizi dell'epoca moderna, a partire da quella che è stata chiamata la "svolta antropologica", che ha posto l'uomo al centro, e poi dalla nascita della scienza detta "galileiana" e dalle guerre di religione europee, che hanno reso in qualche modo necessario concepire e gestire la sfera pubblica etsi Deus non daretur.
Non è il caso di soffermarsi qui su queste ben note problematiche. Vorrei piuttosto ricordare che all'interno della teologia medievale, e in forma eminente con san Tommaso, la distinzione e, nella distinzione, il rapporto reciproco tra ragione e fede, filosofia e teologia, sono stati oggetto di approfondimento sistematico: come ha mostrato magistralmente Etienne Gilson in uno studio pubblicato già nel 1927 sui motivi per i quali san Tommaso ha criticato sant'Agostino (Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin, in "Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age", 1, pp. 5-127), la base teoretica di questo approfondimento è da ritrovarsi nella gnoseologia e ontologia di matrice aristotelica, che hanno consentito appunto una distinzione più chiara e sistematica tra le capacità conoscitive intrinseche all'uomo e la luce che egli riceve dalla presenza divina in lui.
Una tesi storico-teologica largamente diffusa, e sviluppata soprattutto da un autore della portata di Henri de Lubac, sulle orme di Maurice Blondel, ritiene che l'insistenza unilaterale su questa distinzione, affermatasi nella "seconda scolastica", cioè appunto ai primi inizi dell'età moderna, abbia contribuito all'emarginazione del cristianesimo e della teologia dagli sviluppi della cultura, rappresentandone involontariamente una legittimazione teologica.
Personalmente posso concordare con questa valutazione, a patto di non esagerare il suo concreto peso storico. Mi preme sottolineare però che essa non deve portare a un giudizio negativo sulla validità intrinseca, e anche sulla necessità e fecondità storica, di quella distinzione sistematica. Essa infatti nasce in ultima analisi dal riconoscimento del carattere divino e trascendente della rivelazione cristiana, anzitutto nel suo centro che è Gesù Cristo ma anche, per quanto riguarda la vocazione dell'umanità a partecipare gratuitamente, nello Spirito Santo, al rapporto filiale che Cristo ha con il Padre.
Dall'altra parte essa scaturisce dal riconoscimento della consistenza interna delle creature, proprio perché esse sono opera di Dio (cfr Gaudium et spes, 36). Soltanto sulla base di questa distinzione, inoltre, è possibile un rapporto con la ragione moderna e contemporanea e con la rivendicazione di libertà che pervade la nostra cultura, rispettando e valorizzando quei loro dinamismi che hanno consentito di conseguire, negli ultimi secoli, risultati straordinari.

(©L'Osservatore Romano - 12-13 maggio 2008)

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